Attilio Bolzoni, la Repubblica 23/6/2014, 23 giugno 2014
IL BOSS E IL PRETE
Vi siete mai chiesti perché la Cupola si chiama Cupola? «Tutti noi uomini d’onore pensiamo di essere cattolici, Cosa nostra si vuole farla risalire all’apostolo Pietro», confessava Leonardo Messina in un’estate di tanti anni fa. E rivelava anche l’esistenza di una “Bibbia della mafia”, sepolta nelle campagne fra le zolfare abbandonate di Riesi. Farneticazioni di un pentito? Lo sproloquio di un piccolo boss che ormai non contava più niente e voleva salvarsi la pelle e l’anima? Chiesa e mafia, mafia e chiesa. Tutti pregano. In tasca hanno sempre un santino. O l’immagine di un Cristo, di una Madonna. Sono religiosissimi. E ostentano la loro devozione. Siciliani. Calabresi. Campani. Capi, sottocapi, soldati. Il confine è ed è sempre stato invisibile. Per secoli.
Dove si riunisce ogni anno il 2 settembre la crema della ‘ndrangheta? Al Santuario della Madonna dei Polsi, 865 metri d’altezza in una vallata dell’Aspromonte dove il torrente Bonamico sfiora il paese di San Luca e poi si tuffa nel Mar Jonio. Lì la Santa prende decisioni strategiche, ordina delitti, stringe alleanze e – raccontano – custodisce le 12 Tavole della ‘ndrangheta.
Che cos’è la mafia? «Una marca di formaggio», rispondeva Sua Eminenza Ernesto Ruffini, arcivescovo di Palermo che benediceva notabili e boss mentre stavano facendo brutta una delle città più belle del mondo. Che cos’è la mafia? «È un’invenzione dei comunisti», urlava il capo della chiesa siciliana alle folle. E intanto taceva sulle Giuliette imbottite di tritolo, le “sparatine”, sulle centinaia di morti che si raccoglievano per le strade.
Come si difendeva in aula nel 1951 a Viterbo – dove si celebrava il processo per la strage di Portella della Ginestra – Gaspare Pisciotta, cugino traditore del bandito Salvatore Giuliano? «Siamo un corpo solo: banditi, polizia e mafia, come il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo». Più chiaro di così.
«Gesù Gesù, anche un parrino in Cosa Nostra», esclamò stupefatto Antonino Calderone guardando suo fratello Giuseppe quando gli presentarono come uomo d’onore padre Agostino Coppola, parroco di Carini. Nella sagrestia nascondeva i soldi dei sequestri di persona dell’ “Anonima Liggio”, qualche anno prima aveva sposato in gran segreto – insieme altri due preti della diocesi di Monreale rimasti sconosciuti – Totò e Ninetta, Salvatore Riina e Antonina Bagarella.
Parrino in siciliano vuole dire prete ma anche padrino. «Io non faccio parte della chiesa ma i parrini li ho sempre rispettati», sussurrava l’assessore regionale Vincenzo Lo Giudice ai boss dell’Agrigentino prima che l’arrestassero per le sue complicità. La chiesa intesa come mafia, i parrini come mafiosi.
Nei primi anni ’80 abbiamo conosciuto a Palermo un prete, Fra’ Giacinto – il suo vero nome era Stefano Castronovo – che andava in giro con una pistola a tamburo che però non gli servì a niente quando gli scivolarono alle spalle per “astutarlo”, spegnerlo per sempre. Prima di noi, negli anni ’60, i cronisti siciliani frequentavano ogni giorno le aule di giustizia del Tribunale di Caltanissetta dove venivano processati quattro cappuccini che terrorizzavano con le estorsioni gli abitanti di Mazzarino. I diavoli del convento, li chiamavano.
In tempi più recenti, un segno inequivocabile della sua venerazione ce l’ha lasciato Bernardo Provenzano in quel suo miserabile covo di Montagna dei Cavalli. Inventario degli oggetti sequestrati al vecchio Bernardo: tre santini di carta raffiguranti Maria SS Addolorata-Santuario di Corleone; un santino di carta raffigurante Maria SS delle Grazie di Corleone; un santino di carta raffigurante Sacro Cuore di Gesù; un santino di carta raffigurante Cardinale Pietro Marcellino Corradini; un quadro con cornice in legno di colore marrone raffigurante e con la scritta “La Madonna delle Lacrime di Siracusa”; un quadretto, privo di cornice, in cartone raffigurante una donna e con la scritta “Maria Regina dei cuori Maria Regina delle famiglie”; due santini raffiguranti rispettivamente uno Maria SS del Rosario di Tagliavia e l’altro B. Bernardo Da Corleone Cappuccino; settantatré santini raffiguranti il Cristo con la scritta “Gesù confido in te”. Ogni lettera di Provenzano spedita alla moglie cominciava con una frase: “Io con il volere di Dio…”.
Esiste un Dio dei mafiosi? Esiste ed è un Dio cattivo, piegato alle loro regole, un Dio che trasforma il bene in male. Così non c’è mai conflitto fra la fede e l’adesione ai principi dell’organizzazione.
Del Dio dei mafiosi ne parla in un bellissimo libro – “La mafia devota” - Alessandra Dino dell’università di Palermo, analisi e racconto su una chiesa non è e non è mai stata una sola, ma sempre divisa sulla mafia. Anche recentemente. Nonostante le parole degli ultimi tre Papi. Anche dopo l’anatema di Giovanni Paolo II sotto i Templi della Valle di Agrigento il 9 maggio del 1993: «Mafiosi, covertitevi».
Qualche mese dopo i sicari di Brancaccio hanno ucciso a Palermo don Pino Puglisi. Era un altro parrino, uno di quelli che i ragazzi cercava di strapparli dall’abbraccio dei boss. Uno dei suoi assassini oggi si veste come un prete e si sente un prete. Si è iscritto a teologia, passa le notti a leggere “Le cinque grandi religioni del mondo” di Emma Brunner-Traut e “Dio uno e Trino” di Piero Coda. Lui, Gaspare Spatuzza, dice che ha una grande voglia di «cacciare il male» che si è portato dentro per tanto tempo.
Da padre Puglisi a Peppe Diana, da Italo Calabrò - il primo sacerdote reggino che già nel 1984 puntava il dito contro «quegli uomini che non hanno onore» - a don Pino De Masi che nella sua Polistena ha fatto sorgere la prima cooperativa italiana sui terreni sequestrati ai boss, i Mammoliti della Piana.
Ci sono preti e preti. I mafiosi sono tutti uguali. Nitto Santapola aveva studiato dai salesiani e la famiglia voleva che facesse il sacerdote. Don Calogero Vizzini, patriarca mafioso nell’immediato dopoguerra, aveva due zii vescovi, due fratelli preti e un altro zio parroco. Pietro Aglieri ha una sorella suora e nella sua tana da latitante aveva un altare. Una sua riflessione: «Io mi trovo a mio agio con Dio, c’è molta confusione fra peccati e reati». Come era conosciuto Michele Greco, signore di Ciaculli, amico di baroni e assassini, cardinali e generali? Il “papa” della mafia. Ogni giorno recitava la liturgia delle Ore: i salmi, la lode mattutina, dell’ora terza, della sesta, della nona, i vespri e la compieta, che è la preghiera della notte.
Come ha difeso Antonina Brusca suo figlio Giovanni accusato della strage di Capaci? «Dio sa bene come stanno le cose, io Giovanni l’ho tirato su con la religione, io sono una dama di carità, una vincenziana, io sono una persona umana e lo Spirito Santo illuminerà la mente dei giudici».
Il più razionale – cartesiano - di tutti i mafiosi è senza dubbio Giuseppe Guttadauro, medico e capomandamento di Brancaccio. A proposito di mafia e chiesa diceva a un amico: «Il peccato di mafia non esiste. Dove sta scritto questo peccato? Trovati un prete intelligente che capisca queste cose».
Attilio Bolzoni