Piero Colaprico, la Repubblica 23/6/2014, 23 giugno 2014
“CI BASTANO 10 NANOGRAMMI DI SANGUE E IL KILLER È INCASTRATO”
[Intervista a Giampietro Lago] –
BERGAMO.
Lei, tenente colonnello Giampietro Lago dei Ris di Parma, è uno dei genetisti che ha estrapolato il Dna di “Ignoto 1” dai resti di Yara. E dell’inchiesta non può parlare. Da dove si comincia, quando c’è una macchia mista di Dna?
«Il rilievo delle tracce è la primissima fase della ricerca su una scena del crimine, che può essere un cadavere, alcuni vestiti, una stanza, uno spazio aperto, qualsiasi luogo con una sostanza biologica. Quindi, se vedo, osservo e raccolgo. Sempre più spesso, però, ci sono situazioni in cui non riesco a distinguere la macchia. Quindi, l’esperto di rilievi prende intero oggetto e lo porta in laboratorio, e là con il microscopio e il più tecnologie cerca la traccia».
Spesso si sente parlare di luminol…
«Per evidenziare le tracce latenti si applicano fonti luminose a lunghezza d’onda variabile, perché la materia organica, anche se sta tra fango, olio, sporcizia, interagisce in maniera discriminata dal resto e io riesco a distinguere i punti in cui posso avere la traccia biologica. Il luminol agisce chimicamente, basta pochissima presenza biologica — sangue, saliva, liquido seminale — perché ci sia una luminescenza».
È vero che il luminol vede una goccia di sangue in una vasca da bagno?
«Sì, arriviamo al milionesimo di grammo, o milionesimo di litro».
Forse può aiutarci a capire usando un caso scientificamente simile a quello di Yara: Elisa Claps. Venne trovata sulla sommità di una chiesa, dopo moltissimo tempo, e la macchia di sangue dell’assassino — già condannato — era stata contaminata dai liquidi della decomposizione.
«Me ne sono occupato io. In origine c’era un indumento, con tracce esogene, e cioè di Restivo, il suo assassino. Al Dna di Restivo si era sovrapposto, in maniera copiosa, il Dna della vittima. Ma anche in questo caso, in alcune aree, era rimasto il sangue dell’assassino».
Ritorniamo dunque alla macchia mista, con due Dna, che non si riesce a vedere sulle prime…
«Occorre fare un lavoro di scansione genetica. Non vedo la macchia, ma spero che ci sia, quindi faccio una griglia fisica e, pezzo per pezzo, cerco. E se spunta una componente di Dna diversa dalla vittima, posso fare come una zoommata, passo dai due centimetri che sto analizzando ai due millimetri, per evidenziarla».
Quanto basta per avere il Dna?
«Una decina di nanogrammi, tenga conto che un nanogrammo è un miliardesimo di grammo».
È possibile adesso una domanda sul caso Yara? Quanti prelievi avete fatto sui suoi resti?
«Un migliaio. Ma una volta che abbiamo acceso il faro e siamo stati capaci di estrarre il Dna, perché in questi quadrati si è trovata la componente maschile, siamo arrivati a “Ignoto 1”. E, tornando generici, se su corpi così decomposti c’è una componente maschile così copiosa, vuol dire che la traccia, per resistere così tanto tempo, era abbondante. Cioè, se l’assassino si ferisce leggermente, quella che lascia è una traccia pulita, ma poi la degradazione è fortissima».
Quindi la vittima sta per morire, l’estraneo si ferisce: il Dna dell’estraneo si rileva con grandissima difficoltà?
«No, è rilevabile in maniera tranquilla, a patto che si sia individuata la zona».
Un genetista parla del Dna come di un file del computer…
«È un esempio perfetto. In una macchia mista di sangue ci sono milioni di copie dei due file, a noi ne interessa soprattutto uno. E le copie di questo file sotto le intemperie vengono cancellati, ma rovinati. Cioè riesco a leggerli, ne perdo 500, poi mille, poi centomila, ma il fatto che spesso non si capisce da parte di chi non sa è questo, basta che ce ne resti qualcuno da leggere, perché sono tutti uguali».
E così si arriva al Dna del presunto assassino. Entriamo in laboratorio, la contaminazione è possibile?
«Il Dna di un tizio non s’inventa.
Se c’è, è quello, Posso però contaminarlo con quello dei tecnici, o per altri prelievi, non a caso abbiamo il Dna di chiunque sia entrato in laboratorio».
Perché se ci sono tredici o quindi marcatori il Dna viene ritenuto «certo», cioè che appartiene proprio a quella persona?
«È una questione statistica. Dimentichi il Dna, e pensi che l’assassino è alto un metro e 73. Poi che ha gli occhi azzurri. Poi i capelli scuri. Poi che calza 43. E così via. Nel Dna ci sono i polimorfismi, cioè segmenti di Dna diversissimi tra individui. E così, dopo varie caratteristiche, la probabilità che ci siano due Dna uguali diventa di zero virgola tanti zeri, infinitamente di più della popolazione mondiale. E sul caso Yara, ma questo lo sapete, sono stati comparati ventuno marcatori».
Piero Colaprico, la Repubblica 23/6/2014