e.l. - a.s., Il Fatto Quotidiano 23/6/2014, 23 giugno 2014
FRANCIA E USA: È ORMAI CADUTO IL MURO DI OMERTÀ
Una donna soldato arruolata nell’esercito americano ha più possibilità di subire una violenza carnale che di morire sul campo di battaglia. Sono dati che fanno impressione quelli forniti dal Pentagono: nel 2012, il 23 per cento delle donne e il 4 per cento degli uomini ha ammesso di avere subito un tentativo di violenza sessuale. In totale le vittime sono 26 mila, di cui 12 mila donne e 14 mila uomini. Numeri enormi, che l’ispettorato del Dipartimento della difesa è riuscito a mettere insieme attraverso un’inchiesta che ha garantito l’anonimato alle vittime.
Perché il problema, negli Stati Uniti come in Italia, è sempre lo stesso: chi viene molestato ha paura di denunciare. Solo una soldatessa su cinque e un soldato su quindici denuncerebbe un superiore che ha tentato un abuso. La ricerca della verità sugli abusi procede per spinte improvvise, nate sulla scorta di scandali episodici, interrotte da lunghi periodi di silenzio. Gli Stati Uniti sono più avanti nella prevenzione rispetto agli altri Paesi perché affrontano il problema da più tempo. La prima volta è stato nel settembre di ventidue anni fa, in un teatro insolito per una gigantesca orgia in divisa: all’Hilton hotel di Las Vegas, in quello che è entrato nei libri di storia come lo scandalo di Tailhook.
Come ogni anno migliaia di aviatori della marina impegnati nell’operazione Desert Storm in Iraq sono chiamati a un meeting di due giorni organizzato da un’associazione di reduci. Il simposio si concluderà con la denuncia di novanta casi di stupro (commessi o tentati). In piscina, nel patio, nei corridoi: ovunque le reclute vengono convinte o costrette a partecipare a giochi a base di alcol e sesso sfrenato. Tra le vittime c’è anche il tenente e pilota di elicottero Paula Coughlin, che denuncia ai suoi superiori di essere stata vittima di uno stupro di massa. Com ’era abitudine, questi tentano di insabbiare tutto, ma lei non si perde d’animo e scrive una lettera alla Casa Bianca.
Il presidente di allora, George Bush padre, decide di incontrarla. Da quel colloquio nascerà la prima grande inchiesta sugli stupri in divisa all’interno dell’esercito. Oltre trecento tra ufficiali e sottoufficiali verranno congedati o puniti.
L’alcol è una costante delle violenze sessuali compiute in divisa. I militari più anziani lo offrono alle reclute più avvenenti. Non, come si potrebbe pensare, per allentare i loro freni inibitori. Ogni shot di bourbon diventa un’arma di ricatto: se tu denunci lo stupro, verrà fuori che avevamo bevuto insieme e verrai congedata con disonore. Una tecnica che ha funzionato fin da quando, il 28 giugno del 1976, l’esercito recluta le prime ottanta soldatesse. Il meccanismo si inceppa però nel 2003 alla base aeronautica di Colorado Springs. Ventidue donne raccontano di essere state violentate con questa tecnica. Il Pentagono indaga, parla con tutte le ex soldatesse uscite dall’accademia e scopre che il 70 per cento aveva subito molestie e un altro 12 per cento una violenza carnale. Due anni dopo il Congresso approverà una legge che permette a tutti i cadetti vittima di violenza sessuale di denunciare il proprio attentatore in forma del tutto anonima, almeno fino alle ultime battute del processo.
Questa la situazione negli Stati Uniti. Non va meglio in Francia: Libération nel marzo scorso ha pubblicato un’inchiesta sugli abusi sessuali in caserma chiamati senza mezzi termini disonore e male assoluto. C’è un particolare, però, che riguarda la Francia: un anno fa il codice militare è stato soppresso e la giurisdizione è passata sotto la magistratura ordinaria. Questo ha permesso in qualche modo di evitare il muro di omertà che spesso si è creato attorno ai casi di violenza sessuale dentro le caserme.
Ma più di ogni altro fattore, decisivo è stato il libro-inchiesta di Leila Minano e Julia Pascual. Un documento che inizia con la storia di Alice, che è stata più volte molestata, costretta a guardare commilitoni che si masturbavano, oppure sculacciata perché aveva disobbedito agli ordini. Un’altra soldatessa che invece ha testimoniato nel libro è stata drogata e violentata diverse volte, diventando la "puttana" della caserma, fino a entrare in depressione ed essere esonerata. Ogni volta che le vittime hanno tentato di sporgere denuncia sono state isolate, derise, con la tecnica, hanno spiegato le autrici, della "pecora nera".
Quando uscì il libro l’allora ministro della Difesa, Michéle Alliot-Marie, aveva commentato: "Non c’è maschilismo nell’esercito francese". Un muro di omertà, anche ai livelli più alti. Ma poi la magistratura ha indagato, con minuzia, e i casi sono emersi. Ora la violenza sessuale nell’esercito non è più nascosta, coperta da un muro di omertà. Ma un nemico da abbattere.
La situazione non è diversa in Germania e nel Regno Unito, neppure nei Paesi scandinavi, tra i primi ad aprire l’esercito alle donne, il problema è superato. Esiste, eccome. E, finalmente, non viene più messo a tacere dai governi di turno.
e.l. - a.s., Il Fatto Quotidiano 23/6/2014