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 2014  giugno 23 Lunedì calendario

140 MILIARDI DI FATTURATO

Secondo il rapporto 2012 Sos Impresa il giro d’affari delle mafie nel nostro paese ammonta a circa 140 miliardi di euro (stesso dato stimato da uno studio di Confesercenti) con un utile che raggiunge quota 108 miliardi. Alla realizzazione dell’enorme fatturato contribuiscono organizzazioni mafiose sia italiane che straniere, ma soprattutto clan e famiglie radicate nel Mezzogiorno che hanno negli ultimi decenni esteso la propria influenza anche nelle regioni del Centro e del Nord, dal Lazio al Veneto, dalla Toscana alla Lombardia. Grazie alle relazioni semestrali del ministro dell’Interno al Parlamento “sull’attività svolta e sui risultati conseguiti dalla Direzione Investigativa Antimafia” è possibile tracciare una mappa di tutti i gruppi criminali siciliani, calabresi e campani presenti sul territorio, comune per comune. L’elevato numero di clan o famiglie dedite alle attività illecite è il chiaro segnale di un forte radicamento del fenomeno mafioso sul territorio. Abbiamo elencato i sodalizi attivi nelle maggiori province.

PALERMO/1 – La relazione del ministro relativa all’operato della Dia nel primo semestre del 2012 (l’ultima ad essere pubblicata in Rete) rivela la presenza nel territorio metropolitano di Palermo di 15 mandamenti controllati da ben 78 famiglie. Nel dettaglio nella zona ovest della città sono presenti i mandamenti mafiosi di San Lorenzo e Resuttana (famiglie di San Lorenzo, Tommaso Natale/Cardillo, Sferravacallo e Mondello); nelle zone centrale e orientale del capoluogo operano i mandamenti Boccadifalco (famiglie di Boccadifalco-Passo di Rigano, Torretta e Uditore), Noce (famiglie della Noce, Malaspina-Cruillas e di Altarello), Pagliarelli (famiglie di Pagliarelli, Corso Calatafimi, Rocca Mezzo Monreale, Borgo Molara e Villaggio Santa Rosalia), Porta Nuova (famiglie di Porta Nuova, Palermo centro, Borgo vecchio e Kalsa), Brancaccio ( famiglia di Roccella, Corso dei Mille, Ciaculli e Brancaccio), Santa Maria del Gesù (famiglie di Santa Maria del Gesù, Villagrazia di Palermo e guadagna).

PALERMO/2 – In provincia sono presenti altri 8 mandamenti, principalmente attivi in investimenti immobiliari, edilizia, estorsioni, movimento terra e cave estrattive: Misilmeri (famiglie di Belmonte Mezzagno, Misilmero, Bolognetta. Villafrati/Cefalà Diana e Santa Cristina Gela), Bagheria (famiglie di Bagheria, Villabate, Casteldaccia e Ficarazzi), Corleone (famiglie di Corleone, Prizzi, Marineo, Godrano, Roccamena, Lercara Friddi e Mezzojuso), San Giuseppe Jato (famiglie di Monreale, Altofonte, San Cipirello, Camporeale e San Giuseppe Jato), Caccamo (famiglie di Trabia, Caccamo, Vicari, Roccapalumba, Baucina, Cimmina, Valledolmo e Ventimiglia di Sicilia), San Mauro Castelverde (famiglie San Mauro Castelverde, Colelsano, Gangi, Lascari, Polizzi Generosa e Campofelice di Roccella), Cinisi/Carini (famiglie Capaci, Carini, Cinisi, Isola delle femmine, Terrasini e Villagrazia di Carini) e Partinico (famiglie di Partinico, Montelepre, Borghetto e Giardiniello).

AGRIGENTO – La mafia di Agrigento si è progressivamente professionalizzata fino ad assumere un ruolo di primo piano nelle gerarchie criminali siciliane, ricoprendo inoltre posizioni di punta anche in ambito nazionale e internazionale. Nella provincia Cosa nostra è uscita vincente dal conflitto con altre organizzazioni stiddare ed altre residue organizzazioni, e si mostra molto attiva nel campo dell’imprenditoria e delle opere pubbliche, settore che rappresenta il principale business dell’organizzazione. Stando a quanto riporta la relazione del Viminale sull’operato della Dia ad inizio 2012, i clan locali pretenderebbero percentuali di circa il 2% sull’importo complessivo di ogni appalto, “secondo un collaudato sistema di drenaggio delle risorse pubbliche”. Altre attività riguardano la grande distribuzione, lo smaltimento dei rifiuti, la costruzione di manufatti edilizi, la fornitura di calcestruzzo. La nuova cupola agrigentina sarebbe composta dunque da 8 mandamenti: Campobello di Licata (famiglie di Canicattì/Licata, Ravenusa, Camastra, Castrofilippo, Grotte e Comitini-Racalmuto); Giardina Gallotti (famiglie di Realmonte, Porto Empedocle, Siculiana, Lampedusa); Burgio (famiglie di Lucca Sicula, Villafranca Sicula e Caltabellotta); Ribera (famiglie di Cattolica Eraclea, Montallegro, Calamonaci); Santa Margherita Belice (famiglie di Montevago e Menfi); Sambuca di Sicilia (famiglia di Sciacca); Cianciana (famiglie di Bivona, Santo Stefano Quisquina, Alessandria della Rocca, Casteltermini, Arogana, Cammarata, San Giovanni Gemini, Ioppolo Giancaxio, Raffadali, Sant’Angelo Muxaro, San Biagio Platani, Santa Elisabetta); Agrigento (famiglie di Favara, Palma di Montechiaro e Naro).

TRAPANI – La provincia di Trapani, guidata dal superlatitante Matteo Messina Denaro, è articolata in quattro mandamenti, che raggruppano complessivamente 17 famiglie: Trapani, che si estende verso Nord Ovest (famiglie di Trapani, Valderice, Custonaci e Paceco); Alcamo, che si estende invece verso Nord Est ed è maggiormente vicino all’area palermitana (famiglie di Alcamo, Calatafini e Castellammare del Golfo); Castelvetrano, che si estende verso sud est, vicino all’area agrigentina (famigliedi Castelvetrano, Campobello di Mazara, Salaparuta/Poggioreale, Partanna, Gibellina e Santa Ninfa); infine, Mazara del Vallo, a sud est (famiglie di Mazara del Vallo, Salemi, Vita e Marsala). Messina Denaro, capo della provincia e del mandamento di Castelvetrano, è massimo esponente di Cosa nostra siciliana. Nel suo territorio le cosche cercano di agire in maniera “sommersa”, con i gruppi criminali che da circa vent’anni vivono in una situazione di sostanziale assenza di conflitti. Dalle ultime indagini sono emerse la diffusione della pratica estorsiva, soprattutto ai danni di imprenditori del settore edile, e l’infiltrazione nel settore degli appalti pubblici, classiche attività della mafia della regione.

CALTANISSETTA – Come la mafia agrigentina anche Cosa nostra nissena coltiva interessi nel Nord Italia, in particolare nelle aree di Genova e Busto Arsizio. Nella provincia di Caltanissetta, in particolare a Gela e Niscemi, conserva una certa influenza anche la stidda, organizzazione con propensione all’accordo sistematico con le famiglie di Cosa nostra operanti nello stesso territorio, “ai fini di un’equa ripartizione delle attività criminali” come estorsioni, traffico di droga, usura e controllo degli appalti. Il controllo degli affari illeciti è suddiviso anche qui in 4 mandamenti: Vallelunga Pratameno (famiglie di Vallelunga Pratameno, Caltanissetta, San Cataldo Marianopoli e Villaba); Mussomeli (famiglie di Mussomeli, Capofranco, Montedoro, Serradifalco Bompensiere e Milena); Gela (famiglie di Gela e Niscemi); Riesi (famiglie di Riesi, Mazzarino e Sommatino).

CATANIA – Il panorama criminale catanese risulta il più rilevante ed influente dell’intera Sicilia orientale. La gestione degli affari illeciti nella provincia viene spartita da due pincipali raggruppamenti di forze. Da una parte sono schierate le famiglie di Cosa Nostra di Catania (clan Santapaola e Mazzei) e di Caltagirone (clan La Rocca). Dall’altra i clan Cappello, Laudani, Pillera, Sciuto, Cursoti). Allo scopo di mantenere una posizione di leadership i gruppi Santapaola e Mazzei sarebbero riusciti a ricomporre una storica rivalità attraverso un’alleanza strumentale agli interessi economici. La famiglia di Caltagirone, dal canto suo, godrebbe di considerazione anche in ambienti siciliani. Nel complesso – rileva la Dia - dalle investigazioni emerge una Cosa nostra siciliana arretrata rispetto ai livelli di devastante capacità militare e di imponenza economica che la connotavano nel passato. Ma resta immutato il forte radicamento sul territorio e la conseguente capacità di penetrazione nel tessuto sociale.

REGGIO CALABRIA/ 1 - Della ‘ndrangheta si evidenzia negli ultimi anni la capacità di condizionamento delle amministrazioni locali, causa tra l’altro di numerosi provvedimenti di sciogliemento per infiltrazione mafiosa, e la propensione ad esportare attività illecite nelle aree più ricche e sviluppate d’Italia. Si rilevano inoltre tante intimidazioni nei confronti degli amministratori pubblici, ad opera di gruppi criminali che tentano di impedire scelte innovative (si ricordino le minacce rivolte ad Elisabetta Tripodi, sindaco di Rosarno, e a Maria Carmela Lanzetta, primo cittadino di Monasterace). A Reggio Calabria la mafia è articolata in tre mandamenti e sub-strutture di coordinamento competenti su altrettante, specifiche, aree del territorio. Per quanto riguarda il mandamento tirrenico, nella piana di Gioia Tauro è confermata – stando alla relazione Dia 2012 – la posizione di rilievo della cosca Piromalli, dedita soprattutto al traffico di stupefacenti. Nel comprensorio di Rosarno e San Ferdinando opera invece la cosca Pesce-Bellocco. Mentre il comune di Palmi rimane suddiviso tra le cosche Parrello e Gallico. Nel comune di Seminara risultano attive le cosce Santaiti-Gioffrè, detti “Ndoli-Siberia-Geniazzi”, e Caia-Laganà-Gioffrè, detti “Ngrisi”. Nell’area di Rizziconi, con diramazioni anche nel Nord Italia, esercita la propria egemonia la famiglia mafiosa dei Crea. Nel territorio di Castellace opera la consorteria criminale Rugolo. Mentre ad Oppido Marittima, negli anni ’80 teatro di una sanguinosa faida tra le famiglie Bonarrigo e Zumbo, si sono verificati fatti di sangue – fa sapere ancora la Dia – che lasciano sospettare una ripresa del confitto. Nel comprensorio Sinopoli-Sant’Eufemia-Cosoleto opera la famiglia Alvaro. Sono consolidate le leadership delle famiglie Facchineri e Albanese-Raso-Gullace a Cittanova, Longo-Versace a Polistena, Polimeni-Gugliotta a Oppido Marittima, Petullà-Ierace-Auddino e Foriglio-Tigani a Cinquefrondi. Nel comune di Taurianova è attivo il gruppo Zagari-Viola-Fazzalari insieme alla meno influente cosca Avignone-Asciutto. La cosca Maio opera in una frazione della stessa località. Nel comune di Giffone svolge attività illecite la cosca Larosa. A Scilla, infine, esercita la propria influenza la cosca Nasone-Gaietti.

REGGIO CALABRIA/2 – Nel mandamento centro, ovvero sulla città di Reggio Calabria, operano in posizione di supremazia le cosche storicamente dominanti: De Stefano, Condello, Libri, Tegano. Altri gruppi operano limitata autonomia operativa sullo stesso territorio. I Serraino, nel comune di Cardeto, nel quartiere di San Sperato e nelle frazioni di Cataforio, Mosorrofa e Sala di Mosorrofa; i Ficara-Latella, nella parte sud della città, la cosca Iamonte, nel comprensorio di Melito Porto Salvo; i Lo Giudice, nel quartiere di Santa Caterina; i Borghetto-Caridi-Zincato-Rosimini, nei rioni Modena e Ciccarello; i Cruciti, legati ai De Stefano, nei quartieri di Condera-Pietrastorta; i Labate, nel quartiere Gebbione, a sud della città; gli Alampi, federati con i Libri, nella frazione di Tunca.

REGGIO CALABRIA/3 – Nel mandamento ionico della provincia reggina – rileva ancora la Dia – si conferma la leadership delle famiglie Brabaro-Trimboli a Platì, e Nirta-Strangio e Pelle-Vottari a San Luca. Ad Africo il controllo delle attività illecite appartiene alla cosca Morabito-Palamara-Bruzzaniti. Sono presenti anche le cosche Maisano, Rodà, Vadalà e Talia. A Siderno si conferma la leadership della cosca Commisso. Nel comprensorio è attiva anche il gruppo Costa-Curciarello. A Marina di Gioiosa Ionica le famiglie Aquino e Mazzaferro. A Gioiosa Ionica le cosche Jerinò e Scali-Ursino, quest’ultima federata con i Costa-Curciarello. Nell’alta fascia ionica opera la cosca Ruga-Metastasio. La zona di Locri è divisa tra i Cordì e i Cataldo, che sembrano aver raggiunto un accordo stabile dopo 40 anni di faida. Nel comune di Careri sono attive le famiglie Cua, Ietto e Pipicella, legate ai blasonati gruppi criminali di San Luca e Platì. A Melito Porto Salvo opera la famiglia Iamonte. A Roghudi e Roccaforte del Greco risultano invece attive le consorterie dei Pangallo, Maesano, Favasuli e Zavettieri. Il comprensorio di San Lorenzo, Bagaladi e Condofuri è controllato dalla cosca Paviglianti, in contatto con le famiglie Flachi, Trovato, Sergi e Papalia, gruppi proiettati anche in Lombardia e in stabili rapporti, a loro volta, con le cosche reggine dei Latella e dei Tegano, con i Tromboli di Platì e gli Iamonte di Melito Porto Salvo.

CATANZARO – La Dia rivela che, ad inizio 2012, il panorama criminale della provincia di catanzaro non è mutato. Nel capoluogo continuano la loro attività le storiche consorterie criminali unitamente al clan degli zingari, che sta acquistando maggiore autonomia, soprattutto nello spaccio di stupefacenti.

COSENZA – A Cosenza è presente un gruppo criminale rom che ha assunto a tutti gli effetti il rango di ‘ndrina e un potere riconosciuto anche ai vertici della ‘ndrangheta. Tra il capoluogo e la zona di Sibari sono presenti cosche federate che fanno capo alla famiglia Abruzzese, capace di scalzare la cosca Forastefano, erede della storica famiglia Carelli. In città opera la potente compagine Lanzino e la cosca che fa capo alla famiglia Bruni. Sul litorale ionico della provincia mantengono saldo il loro potere le cosche dei Forastefano, a Cassano, e degli zingari di Lauropoli, mentre a Rossano, per tutta la zona a Sud della costa fino a Cariati insiste il gruppo di Nicola Acrì. Sull’area tirrenica, poi, esercita la sua influenza la cosca Muto. Nel paolano sono attive la cosca Martello-Ditto-Scofano e la famiglia Serpa. Ad Amantea i gruppi Besaldo e Africano-Gentile. A Paterno Calabro la famiglia Chirilli. A Rende il gruppo Di Puppo. A nord del capoluogo, infine, si segnala la presenza di elementi affiliati a quella che era la cosca castrovillarese capeggiata da Antonio Di Dieco. Per quanto concerne i reati commessi, a Cosenza si rivela un numero maggiore di denunce per estorsione rispetto alle altre province calabresi.

CROTONE – A Crotone e dintorni è dominante l’attività della famiglia Comberiati. In provincia permangono le storiche cosche Vrenna-Bonaventura-Corigliano. Ad Isola Capo Rizzuto operano gli Arena e Nicoscia. A Cutro i Grande, Aracri e Gragone. A Cirò i Farao-Marincola.

VIBO VALENTIA – Per quanto concerne la provincia di Vibo Valentia la relazione del ministro sull’attività della Dia relativa al 2012 rivela il rischio di rieplosione di una guerra tra gruppi criminali minori sotto lo sguardo neutrale di sodalizi di maggior peso, come la cosca Mancuso. Nelle Serre vibonesi è emerso ad esempio uno scontro tra cosche Loielo e Maiolo.

NAPOLI/1 – Come le altre grandi organizzazioni criminali italiane, anche la camorra campana è saldamente radicata nel tessuto sociale. Ma l’universo camorristico presenta scenari che la Dia definisce “convulsi” e “magmatici”, che disegnano un “sistema che spazia da modelli primari, nel caso di compagini che operano territorialmente dedicandosi prevalentemente alle attività predatorie, sino a forme evolute, quelle riferibili alle organizzazioni più complesse, in grado di disporre di ingenti risorse, imporre il predominio territoriale e, soprattutto, imbastire un tessuto relazionale con settori significativi in ambito sociale, politico ed imprenditoriale”. Nei quartieri centrali e borghesi della città di Napoli, San Ferdinando, Chiaia e Posillipo, si concentra soprattutto il racket delle estorsioni nei confronti di commercianti, spaccio e conseguente reimpiego di capitali. A Posillipo è attivo il clan Calone. A Mergellina e Torretta le famiglie Piccirillo e Frizziero. Sul versante del Pallonetto di Santa Lucia il clan Elia, in sinergia con i sodalizi Mariano e Pesce dei quartieri spagnoli e con i referenti del clan Mazzarella. A Montecalvario opera il clan Mariano, favorito rispetto ad altri gruppi dall’alleanza stretta con gli Elia, con la famiglia Lepre, originaria dell’Avvocata, e un gruppo capeggiato da un soggetto appartenente al clan Pesce. Nei quartieri Vicaria, San Lorenzo, Mercato e Poggioreale, compreso il quartiere che ingloba i rioni Forcella, Duchesca e Maddalena la leadership è esercitata dal clan Mazzarella, che detiene il controllo delle estorsioni e sviluppa grandi traffici di merci contraffatte e droga. I Mazzarella sono supportati dal clan Caldarelli e dal gruppo Mauro, della zona Case nuove, e dalla famiglia Casella di Poggioreale. Nel quartiere Porto e nella zona di Rua Catalana, sfruttando le defezoni degli elementi di spicco del clan Prinno, opera il gruppo Trongone. Al Rione Sanità e in gran parte del quartiere Stella, dopo la disarticolazione giudiziaria subita dal clan Misso e dal gruppo Torino, si sono integrati sul territorio alcuni affiliati al clan Lo Russo di Miano e un gruppo autoctono legato alle famiglie Vastarella e Tolomelli. Nel quartiere San Carlo Arena e nelle zone Doganella, Vasto, Arenaccia e Ferrovia si rivela invece la presenza del potente clan Contini, che si oppone agli acerrimi nemici della famiglia Mazzarella. La relazione su attività e risultati della Dia precisa che l’organizzazione del gruppo Contini è dotata di una enorme robustezza finanziaria, reggiunta, negli anni, riciclando e reimpiegando il denaro del traffico di stupefacenti e del racket dell’usura e delle estorsioni ai commercianti, compiute anche fuori dalla Campania.

NAPOLI/2 – Per quanto riguarda la zona collinare di Napoli il dominio criminale riguarda il clan Caiazzo nel Rione Alto, o “parte alta del Vomero”, e del clan Cimmino all’Arenella, “parte bassa del Vomero”. In quest’area intervengono anche referenti del clan Polverino di Marano di Napoli, portatori di interessi criminosi legati al traffico di stupefacenti, al racket delle forniture di calcestruzzo e perfino di generi alimentari, riuscendo, in quest’ultimo ambito, a consolidare un regime monopolistico della produzione e, in certi casi, anche della distribuzione in varie zone della provincia.

NAPOLI/3 – Lo smantellamento del clan Sarno ha creato un vuoto di potere nella zona orientale della città. A Ponticelli – spiega ancora la relazione del Viminale sull’operato della Dia nel 2012 – è stata registrata una ridotta efficienza del gruppo Esposito, la disarticolazione del cartello Perrella-Cicerone-Ercolani-De Martino, la presenza di alcuni esponenti del clan Cuccaro, del quartiere di Barra, attivi nel mercato della droga, l’operatività dei fiancheggiatori del sodalizio criminale De Luca-Bossa, operante a Cercola. A Barra la ridotta incidenza del clan Aprea ha favorito la rapida ascesa del clan Cuccaro, che – rileva ancora la Dia – tende a proiettarsi anche a Ponticelli. A Barra operano in posizioni di minor rilievo anche rappresentanti dei gruppi Alberto, Guarino e Celeste. A San Giovanni a Teduccio, inoltre, si è esteso il raggio d’azione dei Mazzarella, passati dall’iniziale contrabbando di sigarette a grandi investimenti nel settore della contraffazione, ma anche nel campo della droga, e riuscendo a consolidare basi d’appoggio sulla Costa del Sol, in Spagna. Altre compagini che insistono sul territorio di San Giovanni, infine, sono riconducibili alle famiglie Rinaldi e Altamura, operanti nel Rione Villa, e ai clan Reale e Formicola.

NAPOLI/4 – Lo scenaro criminale della parte settentrionale di Napoli, che comprende anche l’area provinciale di Melito, Mugnano, Marano, Arzano e Casavatore è teatro della spaccatura in seno al clan degli Scissionisti, gli Amato-Pagano, che non intendono perdere posizioni. E’ attivo nella zona anche il potente clan Licciardi, che condividerebbe lo svecchiamento dei capi piazza con giovani boss. Si registra, inoltre, il ritorno del clan Di Lauro, intenzionato a recuperare la vecchia leadership, persa dopo la faida di Scampia.

NAPOLI/5 – Per quanto concerne l’area occidentale del capoluogo campano, a Soccavo risulta egemonico il clan Grimaldi-Scognamillo, dedito prevalentemente alle estorsioni ai commercianti, ma anche al gioco e alle scommesse clandestine, e al controllo delle piazze di spaccio. La Dia rivela di questo gruppo criminale le mire espansionistiche verso il Rione Traiano, dove però si registra il ritorno del clan Puccinelli, che approfitta dello stato di detenzione dei più qualificati referenti dei sodalizi Leone e Cutolo. A Pianura è in corso una rimodulazione degli assetti interni dopo l’antagonismo tra clan Marfella e Lago. A Bagnoli e zona flegrea di Agnano e Cavalleggeri d’Aosta sembra diminuito il numero di azioni intimidatorie dopo l’arresto di numerosi elementi di spicco della famiglia D’Ausilio. A Fuorigrotta, poi, operano il clan Baratto, a forte vocazione imprenditoriale, e un altro gruppo autoctono, il clan Bianco-Iadonisi, attivo nel mercato degli stupefacenti.

NAPOLI/6 – E’ variegato il quadro anche in provincia. Nella zona occidentale, a Pozzuoli e Quarto, è attivo il clan Longobardi-Beneduce, mentre i comuni di Bacoli e Monte di Procida viene rilevata la presenza dei Pariante. Nella provincia settentrionale, a Giugliano in Campania, si evidenzia per la classica impostazione economico-imprenditoriale il clan Mallardo, che negli anni ha reinvestito ingenti capitali nelle regioni del Nord. Nel 2012 il clan Moccia risulta predominante nella vasta area compresa tra Afragola, Casoria, Cardito, Arzano, Caivano, Frattamaggiore, Frattaminore, Crispano, ed in alcuni comuni dell’Agro Nolano. Risulta in continuo fermento lo scenario dei comuni di Sant’Antimo, Casandrino e Grumo Nevano, dove le attività criminali sono riconducibili ai clan storici Verde, Puca, Ranucci, Marrazzo e D’Agostino-Silvestre. Ad Acerra risultano invece contrapposti invece il clan Crimaldi e il cartello De Falco-Fiore.

NAPOLI/7 – Nella provincia orientale si rileva la presenza della Nuova Alleanza Nolana, inizialmente composta da tranfughi di altre compagini, appartenuti principalmente alla vecchia guardia del clan Russo, al gruppo Ruocco-Somma-La Marca, ai sodalizi Nino-Pianese-Autorino, al cartello Cava-Sangermano-Di Domenico, e alla famiglia Taglialatela. Della Nan è stata provata una saldatura con il clan Fabbrocino, presente nell’area vesuviana e attivo nella conversione di soggetti criminali in soggetti impenditoriali. Il clan Fabbrocino – secondo la Dia – detiene il controllo imprenditoriale del tessuto produttivo e si propone come “archeotipo della camorra a forte vocazione imprenditoriale”. L’influenza maggiore dei Fabbrocino viene esercitata sui territori di Ottaviano, San Giuseppe Vesuviano, Terzigno, Poggiomarino e Striano. Nell’area vesuviana sono presenti anche il gruppo Fusco-Ponticelli, attivo a Cercola, Massa di Somma e nel quartiere di Ponticelli, a Napoli; il clan Arlistico, operante a Somma Vesuviana e Pollena Trocchia, il cartello Panico-Terracciano-Viterbo, che agisce su Sant’Anastasia, il binomio Anastasio-Castaldo, che estende il raggio d’azione sui territori di Somma Vesuviana, Pollena Trocchia, Sant’Anastasia, Castello di Cisterna Brusciano e Pomigliano D’Arco; i Foria e gli Autore, a Pomigliano d’Arco; il clan Ianuale, a Castello di Cisterna, Brusciano e Mariglianella, il clan Veneruso-Rea, a Casalnuovo di Napoli e Volla; infine il clan Rega, a Brusciano e Castello di Cisterna.

NAPOLI/8 – Per quanto riguarda la provincia meridionale di Napoli, a San Giorgio a Cremano opera il clan Abate. Notizie positive arrivano da Portici, dove si evidenziano segnali di rinnovamento culturale che spingono la società civile a ribellarsi alla camorra. Il clan Vollaro, che estende i suoi interessi anche a San Sebastiano al Vesuvio, è una delle compagini maggiormente colpita da attività investigative. Ad Ercolano, poi, le associazioni antiracket offrono sostegno per difendere le vittime delle estorsioni compiute dai clan Ascione-Papale e Birra-Iacomino. A Torre del Greco opera il clan Falanga, attivo perfino nel settore delle onoranze funebri, dove esercita un “controllo monopolistico”. A Torre Annunziata agiscono due grandi cartelli criminali, il clan Gionta-Chierchia e il gruppo Gallo-Limelli-Vangone. A Pompei la scarcerazione di affiliati al clan Cesarano fa ritenere che il gruppo criminale sia ancora in auge. A Scafati opera la famiglia Matrone. A Castellammare e a Gragnano, fino a lambire i comuni della penisola sorrentina, è attivo invece il clan D’Alessandro, considerato “massima espressione della camorra stabile”. I D’Alessandro sono riusciti negli anni a guadagnare posizioni di controllo del tessuto economico-amministrativo di tutta l’area stabiese, dove però sono emersi – rileva la Dia – segnali di rinascita della società civile. A Gragnano, infine, in sinergia con i D’Alessandro opera il clan Di Martino.

CASERTA – La provincia di Caserta è regno dei Casalesi, organizzazione che gode di “centralità assoluta”, ma che non è esente da fibrillazioni interne. Lo scenario criminale casalese si presenta in particolare fermento perchè la struttura operativa del clan sta subendo – scrive ancora il Viminale nella relazione del 2012 – gli effetti di numerose condanne giudiziarie. Dopo l’arresto di Zagaria il processo evolutivo potrebbe dunque portare “al riconoscimento di un luovo leader o alla costituzione di una ‘cupola’ formata da più elementi di vertice dei vari clan e famiglie confederate”. Gli interessi economici dei casalesi si concretizzano attraverso la saldatura tra settori dell’imprenditoria cirminale e taluni amministratori locali. Le dinamiche collusive “producono distorsioni che frenano lo sviluppo economico” e sono “finalizzate a favorire il consolidamento sul mercato legale dell’impresa criminale ed a rafforzare un ceto politico amministrativo di tipo affaristico, clientelare e malavitoso”.

BENEVENTO – A Benevento si rileva la perdurante leadership camorristica della famiglia Sperandeo, attiva soprattutto nel mercato delle estorsioni, dello sfruttamento della prostituzione e del narcotraffico. Nell’intera area gli assetti tra organizzazioni sembrano stabili. In provincia sono presenti, i clan Iadanza-Pannella, a Montesarchio, e Pagnozzi, quest’ultimi legati anche ai Perreca di Recale, in provincia di Caserta, e ai Moccia di Afragola, in provincia di Napoli, con i quali coopererebbero in attività illecite in Lazio.

AVELLINO – Per quanto riguarda la provincia di Avellino si distingue per la rilevanza delle proprie attività criminali il clan Cava di Quindici, che dal comune di origine estende il proprio dominio anche a Pago del Vallo di Lauro, Monteforte Irpino, Taurano, Moschiano, Monocalzati, Atripalda e Mugnano del Cardinale, fino alla città capoluogo, dove persisterebbe – stando alla relazione del Viminale, un’alleanza con il locale clan Genovese. I Cava sarebbero attivi anche a Mercato San Severino, in provincia di Salerno, e in alcune località della provincia di Napoli, nel Vesuviano e nel Nolano, in sinergia con il clan Fabbrocino. Gli equilibri criminali sono resi precari dall’altro gruppo camorristico originario di Quindici, il clan Graziano, che estende il proprio raggio d’azione sia nel Vallo di Lauro, l’area influenzata dai Cava, che nel salernitano, come a Mercato San Severino e a Sarno. Per quanto riguarda il territorio della Valle Caudina, infine, è attivo il clan Pagnozzi.

SALERNO – Nella città di Salerno conferma il ruolo egemonico lo storico clan D’Agostino, che – secondo la relazione del ministro dell’Interno – ha superato una fase critica di riorganizzazione dopo la disarticolazione giudiziaria degli anni scorsi. Nella ripresa avrebbe avuto un ruolo determinante la scarcerazione di vecchi alleati. In provincia, vengono rilevate forti presenze camorristiche riconducibili sia a pregiudicati appartenenti a sodalizi criminali autoctoni, sia a formazioni provenienti dalle province di Napoli ed Avellino. Lo scenario più complesso è rappresentato dall’Agro Nocerino-Sarnese. A Pagani la Dia ha rilevato, ad esempio, una forte ramificazione nell’economia legale del clan Fezza-D’Auria. In alcuni casi sarebbero state promosse attività illecite capaci di assicurare lavoro e reddito agli affiliati, ma anche a persone contigue e ai familiari, grazie ai rapporti con politici e impreditori locali.

GLI ALTRI – La relazione del ministro dell’Interno al Parlamento sull’attività e sui risultati conseguiti dalla Direzione Investigativa Antimafia fornisce informazioni anche sulle organizzazioni criminali presenti nelle province di Enna, Siracusa, Ragusa, Messina, Bari, Barletta-Andria-Trani, Foggia, Lecce, Brindisi, Taranto e Potenza (e sulle loro proiezioni extraregionali ed internazionali).