Gianni Lanzotti, Il Tempo 22/6/2014, 22 giugno 2014
LA FIAMMA DI OLIMPIA ARDE NEL CIELO DI ROMA
[26 agosto 1960]
I Giochi della XVII Olimpiade, assegnati cinque anni fa dal Comitato Olimpico Internazionale alla Città Eterna, sono stati inaugurati ieri alle 17,26 quando il Presidente della Repubblica, alzatosi in piedi, ne ha solennemente proclamato l’apertura. Per l’occasione, Roma ha sfoderato una delle giornate più belle di tutta l’annata, quale soltanto una città italiana sa offrire. Neanche una nube. Un cielo terso, magnifico, di un azzurro carico, indorato dai caldissimi (anche troppo: abbiamo visto dei colleghi, inviati dal Continente nero, sudare in un modo che non dovrebbe essere capitato loro neanche nei Paesi d’origine) raggi del sole ha sovrastato la scena multicolore che ha avuto per stupendo scenario lo Stadio Olimpico. Uno Stadio Olimpico attrezzato per l’occasione, senza porte di calcio, senza linee di delimitazione del campo di gioco, con eleganti passerelle gettate a mo’di ponte sopra il fossato che delimita la rossa pista ellittica.
I cancelli d’ingresso sono stati aperti al pubblico alle 14, ma già da mezzogiorno - e anche prima - la gente, specialmente gli stranieri, si era accampata nei dintorni, in attesa di essere ammessa all‘interno. Tale precauzione si rivelera poi superflua perché lo stadio, per quanto al completo, non risulterà gremitissimo: durante la cerimonia, infatti, saranno stati presenti circa novantacinquemila spettatori. Ce ne sarebbe entrato qualche migliaio di più. L’afflusso verso l’impianto - che ha veramente suscitato l’ammirazione di coloro che lo hanno visto per la prima volta - si è svolto in maniera abbastanza soddisfacente. Sarebbe andato anche meglio se le disposizioni sul traffico fossero state un po’ meno rigide e un po’ più logiche: lasciare dei ponti sul Tevere completamente deserti e intransitabili non è servito assolutamente a nulla, anzi ha contribuito a congestionare il traffico laddove le macchine sono state convogliate. Tanto è vero che lo stesso Presidente del Consiglio, on. Fanfani, ha stentato a trovare la via giusta per arrivare all’Olimpico. Il suo autista è riuscito a pilotare la macchina fino a destinazione, percorrendo l’ultimo tratto contromano e giungendo solo alle 16,15, vale a dire con un po’ di ritardo. Prima di Fanfani erano arrivati, il Presidente della Camera, il Presidente della Corte Costituzionale, i ministri Segni, Andreotti, Pella, Spataro, Gonella, Scelba, Sullo, Bosco, Codacci-Pisanelli, Piccioni, Giardina e Folchi, i membri del C.I.O. al completo, donna Carla con i figlioli, il sindaco Cioccetti, il sindaco di Melbourne (che consegnerà poi la bandiera olimpica al primo cittadino di Roma), il Principe-Bernardo d’Olanda con la figlia Beatrice, il principe Costantino di Grecia, il principe Olag di Norvegia, il principe del Liechtenstein (che parla un curioso italiano appreso in Etiopia da un suo inserviente che era stato ascaro), il principe di Liegi con la consorte Paola, la regina Federica di Grecia, i capi di Stato Maggiore delle tre armi, numerosissimi deputati ed esponenti del mondo politico e di quello economico.
Diverse personalità artistiche e cinematografiche sparse sulla tribuna centrale hanno pure attirato l’attenzione del pubblico. Ammiratissimi, nel caleidoscopio, il cantante Eddie Fischer ed Elizabeth Taylor, abbronzatissima e paludata in un fantasioso vestito multicolore (...).
Sfollato lo Stadio Olimpico e spenti i televisori che da mezzo mondo hanno seguito la cerimonia delrinaugurazione dei Giochi, bisogna dire che quella di ieri è stata una buona giornata per l’Italia e per Roma. È stata una buona giornata non soltanto perché la commozione del cerimoniale e il grande spettacolo della folla si sono dilatati per la primavolta con la rapidità, l’immediatezza e le possibilità di diffusione del più moderno fra i mezzi di comunicazione, ma anche perché gli italiani hanno potuto rivivere per qualche istante e in forme moderne, una parvenza della loro antica civiltà.
Dopo tanti anni di ostinato rifiuto del mondo classico in genere e della romanità in particolare, l’invito alla classicità e alla romanità è esploso ieri dagli schermi televisivi, per mezzo di un rito modernizzato e ricostruito quanto si voglia, ma indiscutibilmente solenne e spontaneamente sentito dalla marea degli spettatori. La classicità, in fondo, non è archeologia, non è minuziosa ricostruzione di pepli e di toghe fino, all’ultima piega; essa è soprattutto sentimento.
Fra tante insegne moderne e modernissime, fra gente dei più lontani popoli, fra atleti delle discipline più varie, si è avvertita ieri la vitalità di questo sentimento. E il cielo, gli alberi, i marmi hanno contribuito a far si che l’Olimpiade di Roma apparisse fin dal primo giorno diversa, e più autentica, di tutte le altre.Se al successo emotivo della prima giornata seguirà, nello svolgimento delle gare e nel forse più difficile smistamento degli spettatori, anche il successo organizzativo e sportivo, sarà tanto di guadagnato.
Tuttavia già alcuni risultati si possono considerare acquisiti per Roma e per l’Italia, a cominciare dall’imponente complesso delle opere pubbliche, progettate e realizzate negli ultimi anni, in vista della celebrazione dei Giochi. Le opere pubbliche non si misurano soltanto a miliardi e a metri cubi, secondo la moderna mania statistica: esse esprimono anche la cifra artistica di un paese e di un’epoca, sono il biglietto da visita di una civiltà. Le guide dei monumenti di tutte le città di questo mondo, da Atene a Pechino, sono per nove decimi un catalogo di grandi opere pubbliche del passato. Sotto questo puntodi vista, è già unanime il giudizio sulle opere erette a Roma per la XVII Olimpiade: esse si inseriscono nel ricchissimo elenco dei monumenti di Roma, non soltanto con dignità, ma con onore.
Il nome dell’architetto Pier Luigi Nervi, autore o coautore delle più moderne e segnalate costruzioni sportive romane, appare oggi nelle maggiori pubblicazioni straniere come quello di un artista di eccelsi meriti; e basterebbe solo questo arricchimento di Roma e delle sue bellezze a segnare i XVII Giochi Olimpici fra gli eventi storici della nostra città e a dar loro un significato superiore a quello di una sia pur solenne e grandiosa manifestazione sportiva. A proposito degli edifici approntati dagli italiani a Roma per queste Olimpiadi si è riparlato di «lusso dei poveri» e si sono fatti i soliti discorsi sulle baracche, i braccianti meridionali e via dicendo. Non condividiamo questi avari giudizi, che partono da una retorica altrettanto falsa di quella del tutto va bene », anche se di segno diverso. In primo luogo, le opere pubbliche sono sempre state una delle principali occasioni di lavoro, e lo sono state in questo caso ancor più che in altri, dato che a Roma la mano d’opera edilizia è in grandissima parte di origine o di recente immigrazione meridionale. In secondo luogo, le opere pubbliche hanno una loro funzionalità economica, e cominciano a dimostrarla proprio in questi giorni, accogliendo migliaia di ospiti stranieri paganti e suscitando ammirazione e discussioni in tutto il mondo, dove altri milioni di stranieri sentiranno accresciuto il desiderio di avvicinarsi e vedere di persona le meraviglie della Roma moderna.
Gianni Lanzotti