Roberto Perrone, Corriere della Sera 23/6/2014, 23 giugno 2014
IL CONTROPIEDE: INVENTATO, ESPORTATO E POI DIMENTICATO
DA UNO DEI NOSTRI INVIATI SAN PAOLO — L’ultimo contropiede della storia del calcio italiano si verifica il 4 luglio 2006 in una calda notte di Dortmund, al Westfalenstadion. È il minuto 120+2, come recitano i brogliacci Fifa e l’Italia è in vantaggio per 1-0 nella semifinale della Coppa del Mondo contro la Germania, gol di Grosso (119’). La Germania attacca. Cannavaro, in quel torneo un incrocio tra l’Uomo Ragno e Iron Man, respinge (due volte) un pallone di testa e poi lo lascia a Totti che allunga in verticale a Gilardino che racconterà: «Sentivo Del Piero urlare: arrivo, arrivo». Il capitano della Juventus si fa tutta la fascia di corsa, ma ha ancora fiato e lucidità: Gilardino difende bene il pallone al limite dell’area con un tedesco alle spalle e, senza guardare, lo manda avanti. Del Piero lo colpisce con il piatto a giro di prima, 2-0 e siamo a Berlino. È storia.
Da allora il contropiede, marchio di fabbrica del nostro calcio, è andato in archivio insieme con il brogliaccio ufficiale di quella partita. Nel senso che noi non lo pratichiamo più. Cresciuti a catenaccio e contropiede, ora ci vergogniamo a pronunciare questi termini. Ma, ammesso che il catenaccio sia una cosa brutta (lo possiamo mascherare: come l’avarizia diventa un’intelligente gestione delle proprie finanze, il catenaccio può essere rinominato: un’attenta manovra difensiva), il contropiede non lo è di certo. E infatti, ora che noi ce ne siamo liberati come un retaggio del passato, tutti gli altri se ne sono impossessati. Il Belgio ha appena battuto la Russia con una micidiale ripartenza (a proposito di alleggerimento dei termini) con palla conquistata davanti alla propria area. Lo stesso aveva imbandito all’Algeria nella prima partita (rete del napoletano Mertens). L’Olanda possiede il più grande contropiedista esistente, Arjen Robben (rivedere i gol alla Spagna e all’Australia). La Francia, contro la Svizzera, ha messo in piedi uno spettacolo pirotecnico con Benzema terminale perfetto. La Germania è micidiale nel verticalizzare la sua azione offensiva. Sabato si sono esibiti nel contropiede anche i giocatori di Iran e Ghana, i primi mancando di pochissimo (causa esperienza) il gol contro l’Argentina, i secondi annichilendo la Germania e sprecando per un passaggio troppo ritardato, nel finale, un’azione in cui erano in vantaggio 4 contro 2.
E noi? Ora che il tiki-taka percorre il suo Sunset Boulevard con l’eliminazione dei maestri spagnoli, noi sembriamo volercene appropriare. Il problema è culturale. È vero che la grande rivoluzione sacchiana ha portato una nuova consapevolezza nel calcio italiano e un gioco più propositivo, ma questo non presuppone la cancellazione del contropiede. Il controllo non esclude la capacità di sfruttare gli spazi, all’occorrenza. Eppure. Sembra che una epidemia abbia cancellato il contropiede. La squadra che ha dominato il calcio italiano negli ultimi tre anni, la Juventus di Antonio Conte, ad esempio, non lo prevede. A memoria ricordiamo qualche verticalizzazione, ma nulla di più. Nel campionato italiano concluso a maggio senz’altro il gruppo più brillante, in questa noble art, è stato quello della Roma con Gervinho protagonista assoluto. E con lui Alessandro Florenzi, un giocatore che avrebbe potuto fare comodo a Prandelli per tirare fuori il contropiede azzurro dalla naftalina.