Marco Ventura, Il Messaggero 23/6/2014, 23 giugno 2014
CONDANNE E INNOCENTI SALVATI, QUANTO CONTA IL DNA
Colpevole o innocente? La prova del Dna è la “prova regina”, quella che ti assolve o ti condanna. Ma quanto è attendibile? E da sola può bastare? O va ricostruito e raccontato il crimine con tutti i suoi ingredienti: movente, arma, protagonisti? Contro Massimo Giuseppe Bossetti, presunto assassino di Yara Gambirasio, le risultanze scientifiche sembrano oggi schiaccianti. Il profilo di “Ignoto 1” emerso dalla traccia organica su slip e leggins della povera 13enne di Brembate di Sopra presenta una «piena compatibilità» di caratteristiche genetiche (21 “marcatori”) col materiale organico lasciato da Bossetti sul boccaglio d’un etilometro. «La traccia biologica è qualitativamente e quantitativamente affidabile - dice la criminologa Roberta Bruzzone - il liquido è molto cellularizzato, quindi con ogni probabilità è sangue, e trovandosi nella parte interna dello slip, nel punto in cui un colpo d’arma da taglio ha reciso gli indumenti, nasce da contatto diretto, probabilmente contestuale al colpo col quale l’aggressore potrebbe essersi ferito. Un ottimo punto di partenza, ma il resto è tutto da ricostruire».
Una diffidenza di fondo esprime il penalista Fabio Lattanzi: «L’esperienza giudiziaria ha dimostrato che tante prove scientifiche considerate certe, anzi certissime, come il guanto di paraffina, sono invece inaffidabili. Per esempio le particelle binarie e poi le ternarie. Come quella del caso Marta Russo trovata su una finestra, che poi si è scoperto non essere un residuo di sparo». Nei tribunali la prova del Dna serve, ma anche no. Bufera in aula nel processo Kercher, per il Dna su un coltello e sul gancetto del reggiseno: corrispondenze «inoppugnabili», smontate dai periti della Corte. Sul primo c’era il Dna di Amanda ma non quello di Meredith, la vittima. Sul secondo, poteva esserci stata contaminazione. Smascherato dal Dna lo stupratore Luca Bianchini, al quale però erano stati sequestrati materiale pornografico e cartine stradali con i luoghi delle aggressioni.
LE CRITICITÀ
Ma non sempre la corrispondenza è colpevolezza. Il piccolo morso e le tracce sul reggiseno di Simonetta Cesaroni, in Via Poma, erano di Raniero Busco, che però era il suo ex fidanzato (innocente). Nel delitto di Garlasco, in carcere Alberto Stasi per il Dna di Chiara Poggi sui pedali della bicicletta, che sembravano sangue ma non lo erano. Clamoroso lo sbaglio su Peter Hankin, il barista di Liverpool indicato come omicida di Annalisa Vincentini a Castiglioncello: prosciolto «per manifesto errore nella schedatura genetica». Spesso il Dna scagiona. Nel 2009, negli Stati Uniti, si calcolò che 248 detenuti (17 condannati a morte) erano stati rilasciati grazie al test genetico. L’ultimo caso a New York: i cinque «stupratori di Central Park», risarciti con 40 milioni. Nel caso di Yara le criticità riguardano esiguità della traccia, difficoltà di ripetere il test, incertezza che sia sangue. Ma la criminologa Bruzzone si dice perplessa per altro. «La madre di Bossetti si è sottoposta al test nel 2012. Il figlio lo sapeva ma non gliel’ha impedito, e non è scappato. Perché? In ogni caso, il test dimostra solo che era sulla scena del crimine». Ma è lui il killer?