Sergio Romano, Corriere della Sera 22/6/2014, 22 giugno 2014
UN INTELLETTUALE DA RICORDARE BORGESE FRA GUERRA E FASCISMO
Mi incuriosisce la figura di Giuseppe Antonio Borgese, di cui il settimanale «Sette» ha brevemente ricordato la figura di critico letterario e collaboratore del «Corriere» durante il primo conflitto mondiale, tra i primi ad avere consapevolezza che la guerra si combatteva anche dalle colonne dei giornali. A tale riguardo, «Sette» ricorda il memoriale inviato il 26 maggio 1917 al governo e per conoscenza al direttore del «Corriere» Luigi Albertini. Che cosa sosteneva con tale scritto? Perché, in seguito, i rapporti con il «Corriere» si deteriorarono e Borgese cessò la collaborazione?
Gianna Torresani
Verona
Cara signora,
Borgese aveva troppi interessi e troppi talenti per essere facilmente collocabile all’interno di una qualsiasi categoria intellettuale. Fu filosofo e giornalista, romanziere, commediografo, critico letterario, saggista e polemista, professore universitario e agitatore di idee. Venne scoperto da Benedetto Croce e fu per alcuni anni uno dei più autorevoli interpreti del suo sistema filosofico. Ma ruppe clamorosamente con il maestro quando cominciò ad abbozzare una diversa concezione del mondo. Fu un eccellente germanista, ma all’università di Milano, dove insegnò sino all’inizio degli anni Trenta, ebbe anche una cattedra di Estetica.
Entrò nella vita pubblica quando prese partito per l’intervento dell’Italia nella Grande guerra. Fra il 1917 e il 1918, mentre era già uno dei maggiori collaboratori del Corriere , ne influenzò la linea editoriale promuovendo il «Congresso di Roma». Il progetto era ambizioso: riunire i rappresentanti di tutte le nazionalità irredente dell’Impero austro-ungarico e proclamare al mondo il loro diritto all’indipendenza. Sostenuto dal Corriere di Luigi Albertini e da altre personalità politiche e culturali, il Congresso fu uno degli eventi che maggiormente contribuirono alla dissoluzione dell’Impero asburgico e alla nascita dello Stato jugoslavo. Molti, dopo la fine della guerra, sosterranno tuttavia che quel Congresso aveva permesso al nuovo Stato balcanico di rimettere in discussione i vantaggi territoriali che l’Italia aveva negoziato con gli Alleati prima dell’intervento.
Il memorandum pubblicato da Sette contiene riflessioni e proposte sulla funzione della propaganda durante la guerra ed è probabilmente una sorta di autocandidatura per uno dei cinque uffici all’estero di cui l’autore proponeva la creazione: Parigi, Londra, New York, Pietrogrado e Berna. Borgese era stato chiamato alle armi ed era allora sottotenente di Marina, ma era stato appena trasferito a Milano dove la sua collaborazione con il Corriere sarebbe stata più intensa. Mandò il testo del memorandum ad Albertini, probabilmente, perché sperava che il Corriere avrebbe appoggiato la realizzazione del progetto.
Dopo la fine della guerra, Borgese, fedele alla filosofia del Patto di Roma, fu pubblicamente contrario a certe rivendicazioni territoriali italiane nell’Adriatico e venne considerato un «rinunciatario» negli ambienti nazionalisti e fascisti. Quando due dei suoi studenti furono brutalmente malmenati ed ammoniti a non frequentare le sue lezioni, Borgese accettò l’invito di un’università della California. Cominciò allora, nel 1931, la seconda parte della sua vita, non meno agitata e interessante della prima.