Angela Calvini, Avvenire 22/6/2014, 22 giugno 2014
BALIANI: «IL TEATRO È CIVILE»
«In questo periodo sono impegnatissimo tra un film con la Archibugi, il prossimo Decamerone con Accorsi a teatro e la regia di un’opera sulla strage di Piazza della Loggia ( Il sogno di una cosa ) appena andata in scena a Brescia e in autunno al Piccolo di Milano. Ma ora mi sono preso 15 giorni per stare a Nairobi a organizzare una grande festa con i miei ragazzi di strada che seguo da 12 anni». È difficile dare una definizione per Marco Baliani, attore, regista, scrittore e, soprattutto, padre di quel teatro civile che lo vede in prima fila accanto a Marco Paolini e Ascanio Celestini. Uno dei suoi maggiori successi (insieme a Corpo di stato sul caso Moro) è Lola che dilati la camicia, ispirato alla storia vera di una donna ’dimenticata’ per tutta la vita in un manicomio, e ancora applaudito (dopo 18 anni di rappresentazioni) in questi giorni (fino a stasera) al Teatro dell’Elfo di Milano. Ma il progetto che ora gli sta più a cuore è quello lanciato nel 2002 con Amref per il recupero dei ragazzi di strada di Nairobi attraverso il teatro, da cui è nato lo spettacolo Pinocchio nero che ha anche vinto il premio Ubu nel 2005.
Baliani, ha lasciato il set della Archibugi per volare in Africa? Di che tratta?
«Certo, l’ho fatto non appena terminate le riprese di Il nome del figlio, una commedia ’umana’ tratta dal grande successo francese, teatrale e cinematografico, Le Prénom (Cena tra amici) di Alexandre de la Patellière. Nel cast ci sono Alessandro Gassman, Micaela Ramazzotti, Valeria Golino, Luigi Lo Cascio, Rocco Papaleo: una cena amichevole tra due giovani coppie imparentate con figli rivela e svela tensioni familiari mai sopite. Io sono la presenza paterna in questa famiglia, che appare nei flash back, ebreo comunista pesantemente ’presente’ ».
E a Nairobi cosa sta facendo ora?
«Sono orgoglioso di dire che ora i ragazzi possono camminare con le loro gambe. Gli ultimi due anni e mezzo li abbiamo passati a formare i formatori, io e altri amici artisti: ogni due mesi a turno scendevamo a fare lezione di teatro. Ora ci sono i ragazzi che hanno debuttato nel Pinocchio nero del 2002 che sono pronti a sostituirci. In questi giorni stiamo facendo una grande festa, con spettacoli di strada e pupazzi. Se considero che nel 2002 c’erano solo 20 bambini in questa casa accoglienza, ed ora ce ne sono 580, penso che ne sia valsa la pena».
Lei si è sempre interessato di progetti per l’infanzia.
«Io ho sempre lavorato con i bambini disagiati negli anni 70 e 80, specie nelle periferie di Napoli. Volevo fare una esperienza al limite e Giulio Cederna, da anni impegnato con l’Africa, mi propose di andare a Nairobi. Lo scopo è tirar via i ragazzi dalla strada con l’arte, non quello di farli diventare attori professionisti, anche se però alcuni lo sono diventati. Il teatro è usato come deterrente e come luogo di aggregazione. Mi piace lavorare in situazioni non canoniche dove ci sono più possibilità di scoprire cose. Finalmente questo modo di fare teatro è stato riconosciuto, basti pensare alle esperienze col carcere di Armando Punzo e la sua Compagnia della Fortezza e dei fratelli Taviani».
Anche la sua Lola è una degli ultimi, dei dimenticati.
«Lola che dilati la camicia si basa su una lettera del 1914, spedita quindi esattamente 100 anni fa al suo medico da una giovane donna rinchiusa ingiustamente in manicomio. Non ricevette mai risposta e venne dimenticata da tutti, fino ad essere ’ritrovata’ novantenne nel 1978 all’apertura del suo istituto. È la storia di un’emarginata, una storia di segregazione al femminile che assomiglia tanto a quello che sta succedendo in tutto il mondo alle donne uccise, assalite, vituperate, uccise».
Un’altra avventura è stata portare nei teatri l’«Orlando furioso» di Ariosto con Accorsi. Ora affronterete Boccaccio.
«È stata una bella sfida, nessuno si aspettava che Stefano potesse lavorare in quella direzione. Insieme a lui ho ricreato da Ariosto un testo divertito, che potesse arrivare ai giovani che troppo spesso si annoiano a leggere i classici sui banchi di scuola. Debutteremo a ottobre alla Pergola di Firenze con il Decamerone di Boccaccio di cui curo testo, regia e drammaturgia. A Firenze si sta morendo di peste. Per me la peste è la nostra società, fatta di corruzione morale e materiale. Immagino dei cantori che per alleviare le nostre sofferenze ci facciano evadere coi dei racconti dal carcere della nostra vita. Racconti che, però, riproducono appunto la corruzione, la sopraffazione, i vizi della nostra società».
A proposito di racconti, non le vien voglia, anche grazie a questo Papa, di riprendere il suo «Francesco a testa in giù» che nel 2000 interpretò davanti alla Basilica di Assisi?
«Guardi, ho scoperto che quel testo che raccontava la straordinaria storia del santo, è stato ripreso in molti seminari. Ed è incredibilmente in linea con questo Papa, che trovo sia geniale dal punto vista della comunicazione. Azzecca ogni cosa, nessun politico riesce a stargli al passo, guardate cosa ha fatto con Mazen e Perez. Ha capito che l’unica rivoluzione per cambiare il nostro sistema economico, è una rivoluzione spirituale, non politica. E certo, tornare a parlare di san Francesco potrebbe essere un’idea».