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 2014  giugno 22 Domenica calendario

TELECOM DOPO LA FINE DI TELCO: IL FUTURO RIMANE UN’IPOTESI

Si dice che i ma­trimoni, anche quelle dettati dal più profon­do amore, entrino in cri­si nel settimo anno. Quello che fino a pochi giorni fa ha tenuto insie­me le sorti di Telecom I­talia, il più importante gruppo italiano di tele­comunicazioni, è stato un matrimonio tutto d’interesse, ma nel setti­mo anno della sua vita è addirittura finito con il divorzio.
Assicurazioni Generali e le banche Intesa San­paolo e Mediobanca, in­fatti, hanno chiesto la ’scissione’ di Telco: cioè sciolgono quel veicolo che fino a ieri controlla­va il 22,5% di Telecom, risultando di gran lunga l’azionista singolo più importante.
Telco era nata nel 2007 quando gli italiani (c’e­rano anche i Benetton) si unirono al colosso spa­gnolo Telefonica e rile­varono il pacchetto di ti­toli Telecom che prima faceva capo alla Pirelli di Marco Tronchetti Prove­ra. A sua volta il patron della Pirelli l’aveva com­prato da Roberto Cola­ninno che precedente­mente era diventato pa­tron di Telecom lancian­do un’offerta pubblica d’acquisto (Opa) sulla società che era stata pri­vatizzata a fine del 1997. Il punto è che la prima priva­tizzazione, a o­pera del gover­no Prodi, fu fatta male. Poi arrivò Cola­ninno che nel 1999 si appro­priò di Telecom indebitandosi fino al collo con le solite banche. Il macigno del debito passò nel 2001 a Tron­chetti Provera – che pure lo ridusse – e il debito ha zavorrato anche l’ultimo proprietario Telco.
Come se non bastasse, a complicare il quadro di Telecom sono arrivati i concorrenti perché il mercato delle telecomu­nicazioni è stato libera­lizzato. Vodafone, Wind e 3 hanno iniziato prima in sordina, poi in modo sempre più aggressivo a rubare clienti e quote di mercato all’ex monopo­­lista Telecom che ha gua­dagnato sempre di me­no, mentre restava sotto una montagna di debiti. Insomma, quella di Tele­com privatizzata è una storia di 17 anni dove pochi hanno guadagna­to e molti hanno perso: piccoli e grandi azionisti e, con loro, il Paese che ha una società di teleco­municazioni sempre più in af­fanno. Così qual­cuno pensa che, sciolta Telco, l’ex monopolista possa diventare una public com­pany all’ameri­cana, cioè una società ad azionariato diffuso, tenuto conto che i grandi fondi già oggi ne controllano oltre il 50%. Peccato che negli Stati U­niti le public company esistono perché i loro grandi investitori sono anzitutto quei fondi pensione (che in Italia stentano a partire) dove i lavoratori mettono i lo­ro risparmi. E peccato che non basta che Telco si sciolga perché si risolva il nodo del destino indu­striale di Telecom. Te­lefonica resta socio col 15% circa e la via più lo­gica, Spagna o no, sareb­be di varare una grande alleanza internazionale per le nostre telecomuni­cazioni.
Ma per scegliere questa strada coraggiosa ci vuo­le un soprassalto di vera politica industriale. Al­trimenti Telecom sarà di tutti. Cioè di nessuno.