Enza Cusmai, Il Giornale 21/6/2014, 21 giugno 2014
QUELLI CHE CAMBIANO SESSO IN ITALIA. OLTRE MILLE INTERVENTI
Inghilterra, Belgio, Thailandia, California. Sono le nuove mete di un turismo sanitario un po’ speciale, quello battuto da chi vuole cambiare sesso: un lui che vuole trasformarsi in lei, una lei in un lui. Ma anche in Italia la gente sgomita per cambiare carta d’identità. E oltre 1.100 persone si sono già trasformate senza spendere un euro: l’Asl copre tutti i costi dell’intervento chirurgico e la fase preliminare ancora più lunga e complessa.
Bisogna infatti subire almeno un anno di terapia psicologica e ormonale e con il via libera degli specialisti si deve ottenere dal tribunale l’autorizzazione all’intervento. Alla fine, tutto sarà modificato: la rettifica anagrafica su tutti i documenti, tranne il casellario giudiziario e il certificato integrale di nascita. Per ribaltare i ruoli nella società, dunque, bisogna aspettare minimo 2- 3 anni. Anche la parte chirurgica ha la sua trafila. Se per passare da maschio a femmina occorrono un paio di interventi, nell’altro caso possono essere necessarie cinque operazioni differenti, per rimuovere utero, ovaie e seno, per una falloplastica e per la protesi del pene.
Un calvario a cui vengono sottoposti solo coloro che sono davvero determinati. «La terapia ormonale ti consente di fare il test di vita reale, io sono Carlo ma mi sento Carlotta: cresce il seno, cambia la voce. Viceversa, con l’ormone maschile,cresce la barba, aumenta la massa muscolare e diminuisce il seno», spiega Carlo Trombetta, urologo e pilastro del CeDIG Trieste, centro per la diagnosi e la terapia dei disturbi d’identità di genere. L’esperto ha trasformato centinaia di uomini in donne. Ma pecca di modestia. «Io sono l’ultima ruota del carro, prima serve il percorso con psicologo e endocrinologo. Poi interveniamo noi in via definitiva».
Il centro funziona a pieno ritmo, interventi mutuabili o a pagamento ( 15 mila euro) e l’utenza è insospettabile.
«C’è tanta normalità, potrebbero essere i nostri vicini di casa, non bisogna considerarli animali da circo». A Torino esiste il Cidigem (Centro Interdipartimentale Disturbi Identità di Genere) dell’ospedale Molinette fondato dall’urologo Dario Fontana nel 2005. «A Torino fu fatto il primo intervento di cambio di sesso uomo-donna italiano. Attualmente si effettua un intervento al mese e siamo arrivati a quota 80. Ma si potrebbe fare molto di più».
L’esperto spiega che «il problema spesso inizia in età infantile, dove la bambina si mette le scarpe del papà o viceversa quelle della mamma». E non è un caso che al San Camillio di Roma, il Servizio di adeguamento tra identità fisica e identità psichica (Saifip), offra consulenza ai genitori di bambini e adolescenti che hanno problemi inerenti la sfera sessuale. Nella capitale sono in 333 ad aver cambiato sesso, mentre a Napoli se ne contano 250. Ma per Vincenzo Mirone, ordinario urologia alla Federico II, la strada è in salita. «Siamo fermi da un anno per carenza di mezzi e di reparti, però in 20 anni abbiamo fatto 250 interventi, uomo- donna, l’età media è sui trent’anni». Anche a Bari, l’urologo Francesco Lafranceschina, (50 interventi) sostiene che al Policlinico mancano i mezzi e le liste di attesa si allungano. Per questo, Girolamo Morelli, del Policlinico Universitario di Pisa, ha sentito la necessità di creare una nuova struttura di rif erimento. «Siamo aperti da due anni fa e abbiamo già operato 25 persone. Io lavoro anche a Londra e da quelle parti chiedono 30 mila euro per il cambio di sesso».
Anche Fulvio Colombo, direttore del dipartimento di andrologia del policlinico Sant’Orsola di Bologna (50 persone operate dal 2004), spiega che in Italia tutto è mutuabile ma serve pazienza. «Se vuoi saltare la fila devi pagare 15 mila euro, contro i 50 mila di San Francisco. Altro discorso è la Thailandia, dove tutto è più economico ma sbrigativo e meno sicuro dal punto di vista medico».