Mario Ajello, Il Messaggero 21/6/2014, 21 giugno 2014
«LA MIA VITA, UN AFORISMA»
[Intervista a Roberto Gervaso] –
L’aforisma è come un tweet. Ma i tweet, come gli aforismi, bisogna saperli fare. Se Roberto Gervaso ”cinguettasse” sarebbe un campione, ma per un fatto generazionale non lo fa: e che peccato! Intanto sta scrivendo la sua autobiografia, che avrà per titolo «Il cane nero e il mio raggio di sole» (sottotitolo: «Come ho sconfitto la depressione», Mondadori), ma soprattutto sta per vincere, oggi, a Capri, il premio Biagio Agnes alla carriera giornalistica. Un riconoscimento notevole e meritato.
Gervaso, qual è il primo aforisma che le viene alla mente?
«Il matrimonio ci insegna tante cose. Soprattutto che potevamo farne meno».
Quanti aforismi ha scritto nella sua vita?
«Quindicimila».
E quanti ne sa a memoria?
«Non più di cinque o sei».
Per esempio?
«Donne, diavoli senza i quali la vita sarebbe un inferno».
Perché le piace la forma d’espressione secca, la fucilata verbale?
«Perché mi sono accorto che tutti i grandi personaggi - da Simenon a Dalì, da Segovia a Borges, da Arthur Miller ad Asimov - avevano in comune una cosa: la sintesi. Che è la cosa più difficile».
Perché è così complicata?
«Perché richiede il minimo di parole, una grande chiarezza d’idee, la conoscenza della materia, il coraggio e anche un pizzico di cinismo».
Cinismo a parte, gli intellettuali italiani sono sprovvisti di questi requisiti. Lo crede anche lei?
«Ma certo. E chi, come molti di loro, dice con dieci parole ciò che può dire con cinque è capace di qualsiasi delitto».
Il più bravo aforista chi é?
«Il duca di La Rochefoucauld. Visse nel ’600. Ed è stato l’antenato di tutti gli aforisti».
Tra gli italiani, saltando qualche secolo, meglio Leo Longanesi o Ennio Flaiano?
«Longanesi è il più geniale. Flaiano il più sarcastico».
Pareggio?
«Direi di sì».
Mino Maccari?
«Un genio. Diceva, a proposito di Longanesi il quale come lui era un tappo: ”È nato nel secolo decimonano”. Questi erano anche maestri di epitaffi. Longanesi, sulla tomba, fece incidere il motto: ”Torno subito”».
Ma perché in Italia domina invece il profondismo da sociologi di periferia o di borgata?
«Perché quando dici la verità ti bruci i vascelli alle spalle. E l’intellettuale vuole sempre avere a portata di mano il carro del vincitore».
La complessità sgrammaticata come truffa?
«Scrivere oscuro per nascondere il proprio pensiero. O, peggio ancora, per nascondere la propria assenza di pensiero. Chi ha talento è quasi sempre un uomo coraggioso».
È vero che il suo amico Montanelli era un gran bugiardo?
«Lo era. Però le bugie di Indro erano più spiritose e più accattivanti della realtà. E, alla fine, diventavano esse stesse realtà».
Il più grande giornalista?
«Longanesi. Montanelli mi diceva: ”Se non avessi avuto come maestro Longanesi, non sarei diventato Montanelli”. Il più strutturato e il più colto è stato Prezzolini. Posso considerarlo il mio maestro».
Flaiano lo ha conosciuto?
«L’ho visto una volta. Aveva avuto un infarto e subito dopo aveva lasciato la moglie. E andò a vivere in albergo. Montanelli ed io andammo a trovarlo. Montanelli gli chiese: ”Perché in un momento così drammatico hai lasciato tua moglie?”. E lui, nel letto di ospedale: ”Perché non volevo più sentirmi tanto solo”».
Quando prende in mano un libro d’oggi, che cosa pensa?
«Penso a Spengler, e al suo ”Tramonto dell’Occidente”, e Orwell con ”1984”».
Perché Orwell?
«Orwell ha spiegato che, dopo l’acme, una civiltà comincia ad ammalarsi e muore. Oggi l’unica cosa da leggere sono i classici. Tacito descrive la decadenza nel periodo di Nerone e lo fa con queste parole: ”Tutto è a pezzi”. Sallustio descrive le prime guerre civili, che porteranno all’assassinio di Cesare e all’impero di Augusto, con questa espressione: ”Tutto è in vendita”. Cioè parlava dello scandalo del Mose, di quello dell’Expo, di quello della guardia di finanza».
Lei vince un premio giornalistico, ma perché non frequenta giornalisti?
«Perché, se li avessi frequentati, non avrei vinto il premio alla carriera per il giornalismo».
Questo è un aforisma?
«Certo che lo è».
Per finire, ammesso che possa esistere un aforisma buono, ne può dire uno?
«Crederei in Dio, anche se non esistesse».
La solita paura della morte, che prende anche i super laici?
«La morte o è un ponte o è un abisso. Per chi ha fede è un ponte, per chi non ce l’ha è un abisso. Per me, è un traghetto che potrebbe anche affondare».