Giuseppe Remuzzi, Corriere della Sera 21/6/2014, 21 giugno 2014
LA CASA NUOVA DI CARAVAGGIO È LA SCOMMESSA DI NAPOLI
Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, è tornato ieri nella sua città per inaugurare le rinnovate Gallerie d’Italia di Palazzo Zevallos Stigliano, il museo che dal 2007 Banca Intesa Sanpaolo ha messo a disposizione della città. Una testimonianza che ribadisce l’impegno della presidenza della Repubblica per la difesa del patrimonio, che invita i privati a un sempre maggiore impegno nella tutela (come anticipato ieri sul «Corriere» dal suo consigliere per i beni culturali, Luis Godard) e che è servito anche a sottolineare le priorità da seguire nell’impegno culturale. La costruzione del palazzo che ospita il rinnovato museo si deve al mercante spagnolo Giovanni Zevallos che, nel 1635, per la somma di 12.500 ducati, acquistò una grande casa con giardino su via Toledo con l’intenzione di costruirci la propria dimora. Qui, nel 1723, per il matrimonio tra Ferdinando di Stigliano e Maria Luisa Caracciolo, Alessandro Scarlatti presentò la sua cantata Erminia con il più noto castrato dell’epoca, Farinelli. Qui, nel Novecento, ci fu la sede della Comit (il banco di Napoli, poi acquisito da Intesa, era il vicino di casa in un palazzo piacentiniano) finché, nel 2007, il palazzo è diventato uno dei poli museali offerti da Intesa Sanpaolo alle città italiane (gli altri sono le Gallerie d’Italia in piazza Scala a Milano e Palazzo Leoni Montanari a Vicenza). «A distanza di sette anni abbiamo avvertito l’esigenza di rinnovare la casa per l’ultimo Caravaggio», ha affermato il presidente del Consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo, Giovanni Bazoli, facendo riferimento al Martirio di Sant’Orsola del Merisi qui conservato. «Abbiamo attuato un piano di ampliamento del percorso museale, che oggi prevede l’esposizione di 120 opere, un’operazione dettata dalla volontà della banca di condividere con i cittadini il nostro patrimonio culturale. Sono fermamente convinto — ha concluso — di ripristinare il legame storico tra la banca e la cultura, e non solo in termini di conservazione, ma anche di nuova progettualità». Gli ha fatto eco Maurizio Barracco, presidente del Banco di Napoli, ricordando un vecchio episodio legato alla peste: «Qui, dal 1527, i cittadini si impegnarono a versare del denaro per un bene collettivo. Fu il primo esempio di raccolta diffusa di fondi privati. Credo che oggi sia importante il ritorno dell’impegno a favore della collettività. La civiltà di un Paese — ha concluso citando Haskell — si misura dall’accesso per tutti alla cultura».
Il nuovo allestimento del palazzo (chiuso il lunedì), messo a punto dal curatore Fernando Mazzocca, che lo ha presentato ieri insieme allo storico d’arte Marco Carminati, «è un nuovo tassello culturale in una città dove ci sono molte difficoltà per il patrimonio, con musei e chiese spesso chiuse, ma dove si effettuano anche nuove acquisizioni», come ha detto Fabrizio Vona, soprintendente del Polo museale.
Il nuovo percorso prevede un ampio utilizzo della parte nobile del palazzo. Saliti dallo scalone di onore, si entra negli appartamenti del primo piano, che riflettono il gusto cosmopolita di chi vi ha abitato: sette sale, rispetto alle tre precedentemente utilizzate; di particolare rilievo la sala degli amorini, la sala degli stucchi (dove è conservato il dipinto che Caravaggio realizzò nel 1610 poco prima della morte, acquistato per la banca da Mattioli), la sala pompeiana (dedicata a spazi multimediali) e la sala degli uccelli (dove sono esposte le restanti opere).
La prima parte del museo è dedicata alla pittura religiosa di ispirazione caravaggesca, con una Giuditta che decapita Oloferne di Louis Finson da un perduto originale del Merisi, con opere dell’atelier Gentileschi fino a tele di Solimena e Luca Giordano (il Ratto di Elena) che ci introducono nel barocco napoletano. Seguono tele di Van Wittel (con immagini di Roma e Napoli di gran fascino), di Gaspare Traversi (l’Hogart napoletano) e, quindi, la parte più cospicua del museo, quella delle opere dell’Ottocento napoletano, con le scuole di Posillipo e di Resina. La scuola di Posillipo è caratterizzata da una poetica impressionistica fusa con la temperie paesaggistica delle tavole dei viaggiatori del Grand Tour: il principale esponente qui esposto è Anton Smink Pitloo. La seconda scuola è, invece, più simile ai Macchiaioli ed è espressa qui da Nicola Palizzi. Piccole, ma commoventi, due tele del maggior napoletano del XIX secolo, Domenico Morelli, La terrazza, forse ispirata al racconto Isabella Orsini duchessa di Bracciano del Guerrazzi (1884) e la Dama col ventaglio, che raffigura quella che divenne la moglie di Gemito. Il percorso si conclude con la pittura napoletana del Novecento, ovvero con le sculture, le terrecotte e i disegni di Vincenzo Gemito, «un altro grande tormentato come Caravaggio», ha ricordato Mazzocca.
L’ambizione e la speranza è che un polo del Progetto Cultura di Intesa Sanpaolo come questo di Napoli non sia una roccaforte all’interno di un sistema pieno di problemi (vedi il caso di Carditello con le minacce all’ex ministro Bray e le condizioni più che precarie di molti beni culturali) ma una porta aperta alla cittadinanza. L’altra speranza è che il Paese superi la cultura postmoderna degli eventi per qualcosa di più duraturo e quotidianamente presente sul territorio, come indicato dal presidente della Repubblica.