Sergio Romano, Corriere della Sera 21/6/2014, 21 giugno 2014
COME LA RESA SENZA CONDIZIONI PROLUNGÒ LA GUERRA DI HITLER
Con stile hollywoodiano e un po’ kitsch, si è dato nei giorni scorsi ampio rilievo al 70° anniversario dello sbarco in Normandia. Sbarco che è stato presentato come l’evento decisivo della Seconda guerra mondiale, l’inizio della fine. Più che inizio della fine, lo chiamerei il colpo di grazia. Infatti tre altri avvenimenti accaduti tra il novembre 1942 e la tarda primavera 1943 avevano praticamente già deciso il conflitto: la perdita dell’Africa per le forze dell’Asse, la caduta di Stalingrado col disfacimento dell’armata di Von Paulus, la catastrofica sconfitta nella battaglia dell’Atlantico. Come ben sappiamo, dal giugno 1943 inizia la rotta definitiva e solo pochi illusi potevano credere in un’inversione di tendenza nell’andamento della guerra. Per inciso, lo sbarco è avvenuto il 6 giugno del 1944 e Roma era caduta in mano alleata già due giorni prima. (Altro discorso per il Giappone).
Aldo Morpurgo
Caro Morpurgo,
V i è un altro fattore, tuttavia, che modifica in parte il quadro descritto nella sua lettera. Nel gennaio del 1943, in una villa a pochi chilometri da Casablanca, il presidente Roosevelt, arrivato con un idrovolante da Miami, incontrò Winston Churchill. L’invito fu esteso a Stalin, ma questi rispose che l’assedio di Leningrado non gli avrebbe permesso di lasciare il suo Paese. Accompagnati dai loro collaboratori, i due uomini di Stato, dopo avere parlato della guerra nel Mediterraneo e dello sbarco in Sicilia, lanciarono un rassicurante messaggio all’Unione Sovietica: gli Stati Uniti e la Gran Bretagna avrebbero proseguito la lotta sino alla vittoria totale. Fu quella l’occasione in cui venne pronunciata pubblicamente una frase fatale — «unconditional surrender», resa senza condizioni — che avrebbe pesantemente condizionato la fase finale del conflitto. Quelle parole significavano che non vi sarebbero state paci separate, che nessuna potenza si sarebbe accordata con la Germania per interrompere il conflitto. La dichiarazione evitò i sospetti reciproci che avevano già turbato il rapporto tra gli Alleati e rinsaldò le relazioni degli anglo-americani con lo Stato sovietico. Ma ebbe anche l’effetto di prolungare probabilmente la guerra e di rendere poco credibile chiunque, nel campo tedesco, avesse suggerito di aprire trattative per la ricerca di una via d’uscita.
Il principio della guerra a oltranza fu ribadito nella conferenza tripartita di Teheran del novembre 1943. Churchill, Roosevelt e Stalin si accordarono sullo smembramento della Germania. Il presidente americano propose la creazione di cinque Stati: una Prussia più piccola di quella del Grande Federico, un più grande Hannover (lo Stato tedesco da cui era giunta la famiglia reale britannica), la Sassonia con l’aggiunta di Lipsia e della sua provincia, l’Assia con il Sud della Renania, la Baviera con il granducato di Baden e il Württemberg; mentre il canale di Kiel, Amburgo, la Ruhr e la Sarre sarebbero state affidate al controllo delle Nazioni Unite. Churchill, invece, si sarebbe accontentati di tre Stati: Prussia, Germania del centro e Germania del Sud. Stalin trattò i due progetti con scetticismo, ma disse di avere molti dubbi sulla possibilità di riformare il popolo tedesco.
Vi furono tedeschi coraggiosi, nel luglio dell’anno seguente, per cui la eliminazione di Hitler avrebbe comunque riscattato la Germania agli occhi del mondo. Ma il programma della resa senza condizioni convinse altri tedeschi a proseguire la lotta ed ebbe per risultato la distruzione fisica di una buona parte dell’Europa. Lo scoppio della Guerra fredda nel 1947 modificò interamente il quadro politico. Gli Stati tedeschi, anziché cinque o tre, furono soltanto due. Dopo essere stati considerati irriformabili, i tedeschi divennero nuovamente stimabili e apprezzabili: quelli dell’Ovest per le democrazie occidentali, quelli dell’Est per l’Unione Sovietica.