Fiorenza Sarzanini, Corriere della Sera 21/6/2014, 21 giugno 2014
IL FRATELLO DELLA VITTIMA: AVEVA PAURA DELL’UOMO CON LA BARBETTA
DALLA NOSTRA INVIATA BERGAMO — Potrebbe averla controllata, pedinata. Mentre Yara Gambirasio faceva ginnastica artistica, Massimo Giuseppe Bossetti era nei pressi della Città dello Sport di Brembate Sopra. È successo almeno tre volte nei giorni precedenti la sparizione della ragazzina. Il clamoroso dato arriva dall’analisi delle celle telefoniche ripetuta in queste ore dagli specialisti dello Sco della polizia e dal Ros dei carabinieri. E sembra confermare l’ipotesi degli inquirenti che l’uomo avesse «puntato» la sua vittima, che ne abbia studiato le abitudini prima di avvicinarla la sera del 26 novembre 2010 e portarla via. Prima di ucciderla. La circostanza si aggiunge ai «gravi indizi di colpevolezza» elencati dal giudice Ezia Maccora che ha ordinato la custodia cautelare in carcere per il muratore di 43 anni ritenuto l’assassino di Yara.
I cinque punti dell’accusa
Sono cinque i punti intorno ai quali ruota l’accusa. Oltre al Dna, alle polveri di calce trovati addosso alla vittima e ai dati relativi al cellulare, ci sono le «incongruenze» nel racconto dell’indagato e le bugie raccontate da sua madre Ester Arzuffi ostinata a negare che i due gemelli non siano i figli del marito Giovanni Bossetti, ma di Giuseppe Guerinoni. E il quadro si è arricchito due giorni fa con un’ammissione fatta dallo stesso indagato durante l’interrogatorio: «Quando venne fuori la storia che l’assassino era il figlio illegittimo di Guerinoni andai da mia madre Ester e gli chiesi se lo conosceva». Perché? Bossetti dice di non aver mai saputo di avere un altro padre. Quella richiesta potrebbe quindi essere indicativa della sua volontà di scoprire se l’inchiesta poteva puntare a lui o se invece andava in una direzione sbagliata.
La prova del Dna
Nessun dubbio ha il giudice sull’attendibilità delle analisi che hanno consentito di individuare «Ignoto 1» analizzando la traccia trovata sugli slip e sui leggins della vittima. Per questo sottolinea che «gli esiti dell’indagine genetica sul Dna presentano natura di prova e non di mero elemento indiziario». E per evidenziarne «l’importanza investigativa» fa propria la relazione del Ris dell’Arma quando sottolinea come «l’elemento è stato isolato in un’area attigua a uno dei margini recisi dell’indumento. La zona dei leggins è corrispondente alla sottostante parte degli slip e ciò fa escludere che la presenza di «Ignoto 1» sia dovuta a un fugace maneggiamento degli indumenti apparendo confortata l’evidenza che a produrre le tracce sia stato un fluido abbondantemente cellularizzato». Nessuna contaminazione casuale, dunque. Lo fa notare il comandante del Ros Mario Parente quando ricorda che «lo stesso Bossetti esclude di aver mai conosciuto la vittima», quindi è impossibile che in precedenza ci stato anche un fugace contatto. Certamente non si tratta di sperma o saliva, i genetisti ritengono sia sangue. «Bossetti potrebbe essersi ferito leggermente mentre infieriva con un’arma da taglio sulla vittima», spiega il pubblico ministero Letizia Ruggeri.
Le polveri di calce
Nell’albero bronchiale di Yara sono stati trovati residui di «polveri riconducibili a calce». Le analisi effettuate hanno escluso che possa averle respirate «a casa, in palestra, in piscina o sullo sterrato del campo dove è stata ritrovata», il giudice ritiene che «la contaminazione sia dovuta a un contatto con parti anatomiche (più facilmente mani) o indumenti indossati da terzi imbrattate da tali sostanze». Non solo: «Sulle scarpe e sugli indumenti indossati da Yara la sera della scomparsa sono state rinvenute piccole sfere di ferro-cromo-nichel legate al mondo dell’edilizia». Secondo il gip questi elementi sono uno dei punti di forza dell’accusa e infatti scrive: «Bossetti opera nel campo dell’edilizia quindi sia le sue mani, sia i suoi indumenti, sia i luoghi dallo stesso frequentati (ad esempio il furgone) possono essere contaminati da tali sostanze. Quindi è probabile che le tracce ritrovate sul corpo di Yara Gambirasio siano collegate direttamente al contatto che la stessa ha avuto con l’indagato la sera della sua scomparsa».
Il tracciato del telefono
Alle 17.30 del 26 novembre 2010 Yara esce di casa per andare in palestra. Il tragitto è di poche centinaia di metri, impiega al massimo dieci minuti. Alle 17.45 Massimo Giuseppe Bossetti è nella stessa area, parla al cellulare con il cognato. Scrive il giudice: «L’utenza intestata all’uomo aggancia la cella di via Natta di Mapello compatibile con le celle agganciate dall’utenza in uso a Yara Gambirasio e alle 18.49, quando riceve un sms dall’amica Martina, aggancia la medesima cella. Tale ultima circostanza assume rilievo in una valutazione globale e non isolata degli indizi a carico di Bossetti. La circostanza che il cellulare dell’indagato abbia agganciato la cella di Mapello rafforza il quadro probatorio a suo carico in quanto è certo che Bossetti la sera del 26 novembre non si trovava in un luogo diverso da quello in cui è scomparsa Yara». Dopo l’emissione dell’ordinanza il quadro si è arricchito di nuovi elementi. Perché l’analisi dei tabulati mostra la presenza di Bossetti davanti alla palestra mentre Yara faceva ginnastica. È lui l’uomo di cui Yara parlò con il fratello Natan? Nel luglio 2012 il ragazzino ricorda che nell’estate del 2010 lei gli confidò di avere «paura di un signore in macchina che andava piano e la guardava male quando lei andava in palestra e tornava a casa percorrendo la via Morlotti. Aveva una barbettina come fosse appena tagliata e una macchina grigia lunga». Yara glielo fece vedere una volta che erano in chiesa. Natan dice che era «cicciotello» e mercoledì scorso, quando gli hanno mostrato le foto, non ha riconosciuto Bossetti. Il giudice ritiene che sia comunque «un indizio che merita di essere approfondito».