Pierpaolo Velonà, Corriere della Sera 21/6/2014, 21 giugno 2014
LICENZIAMENTI E TAGLI NEI PARTITI LA BATTAGLIA DEI TESORIERI
MILANO — «Sono un tesoriere senza tesoro». Salvatore Ruggeri è l’uomo che amministra la cassaforte dell’Udc. E pur non avendo vissuto in prima linea i tempi d’oro della Dc, tradisce una nota di rimpianto per i bei tempi andati mentre elenca le difficoltà dell’ultimo bilancio: «Abbiamo messo in cassa integrazione 20 persone. Ci rimangono solo dieci dipendenti, ma se vogliamo continuare la nostra storia, saremo costretti a trasferirli sul budget dei parlamentari. Siamo passati da una gestione di 12 milioni degli anni passati, ai 4 milioni del 2013 e quest’anno avremo a disposizione solo 400 mila euro. La campagna elettorale non ci ha premiato, di contributi elettorali ne sono arrivati pochissimi. Abbiamo pure dovuto cambiare sede a Roma: sempre in via Due Macelli, ma al piano di sotto. Pagheremo 8 mila euro al mese, prima erano 30 mila». L’unica consolazione, per Ruggeri, è la consapevolezza di essere in buona compagnia.
Da quest’anno, i partiti dovranno fare i conti con la legge che eliminerà (progressivamente) il finanziamento pubblico sostituendolo con il contributo volontario dei cittadini. E così la crisi — che ha già intaccato sedi, benefit e costi delle campagne elettorali — inizia ora ad abbattersi sui dipendenti dei partiti con l’ingresso in politica di un istituto, la cassa integrazione, finora esclusivo delle cronache aziendali.
Forza Italia ha da poco congedato con una lettera di licenziamento 41 dipendenti ereditati dal vecchio Pdl (molti dei quali di area ex An) che non saranno riassorbiti nel nuovo partito e sta chiudendo sedi a raffica in tutto lo Stivale. Ha il fiato corto anche il Pd che in Sicilia ha messo in cassa integrazione 13 collaboratori di vecchia data e nelle federazioni provinciali stringe la cinghia già da un bel po’. Il tesoriere nazionale dei Democratici Francesco Bonifazi dovrà fare salti mortali per non tagliare i 202 dipendenti assunti al Nazareno: «Nel 2014 ci siamo impegnati a non licenziare nessuno — dice Bonifazi —. Potremmo però valutare l’introduzione del regime di solidarietà. Con la nuova legge sul finanziamento pubblico avremo meno entrate, ma puntiamo comunque al pareggio del bilancio». Sarebbe già un buon risultato. Chiudendo il consuntivo 2013 del suo partito — all’epoca guidato dal tandem Bersani-Epifani — Bonifazi ha definito la situazione «estremamente complessa». L’anno scorso il Pd ha incassato 37,6 milioni di euro e ne ha spesi 48,9. «Ecco, per dare credibilità alla politica è molto importante che i partiti non producano più le perdite del passato», avverte il tesoriere renziano. Per fare luce sulle cause del passivo, i Democratici si sono affidati alle indagini dello studio legale Dla Piper che ha setacciato i conti della vecchia gestione scoprendo numerose falle. Per esempio il peso eccessivo di servizi e forniture (1,1 milioni di consulenze, 373 mila euro per il sito web); o gli affitti troppo alti per sedi poco utilizzate; oppure i costi eccessivi dell’attività politica (6,9 milioni per le elezioni 2013 e più di un milione per forum, segreteria e iniziative). La spending review, tra i Dem, è già iniziata: nel 2009 le Europee erano costate 13,5 milioni, quest’anno 3,3 milioni di euro.
Stringe la cinghia anche la Lega Nord, uscita con le ossa rotte dalla gestione Belsito. Del piano-austerity si sta occupando personalmente il segretario Matteo Salvini che dice: «Prima guardo i numeri e poi vediamo. Ma noi, oltre ai dipendenti, abbiamo anche uno zoccolo duro di volontari». Ed è tutta in salita, ancor più in queste ore, la strada del tesoriere di Sel Sergio Boccadutri: «Noi non abbiamo licenziato nessuno ma abbiamo solo 12 dipendenti. Ma se non saremo in grado di fare una grande campagna di autofinanziamento, dovremo rivedere tante cose».