VARIE 22/6/2014, 22 giugno 2014
APPUNTI PER GAZZETTA - LA GUERRA DELL’IMMUNITA’ PARLAMENTARE
ROMA - La partita delle riforme è a un passaggio chiave, a tre giorni dall’incontro tra Matteo Renzi e i 5 stelle, e in vista dell’inizio della discussione in aula e dell’approvazione. Un via libera che il ministro delle Riforme garantisce arriverà entro la fine di giugno. Il meccanismo però si è inceppato sul ripristino dell’immunità ai senatori, che nel disegno di legge originario di riforma del Senato non c’era più e ora è rientrata dalla finestra.
Dubbi sono stati sollevati sia all’interno del Pd, sia dal Movimento 5 Stelle. E il ministro Maria Elena Boschi, in una lunga intervista a Repubblica oggi in edicola (l’integrale su Repubblica+), prende un po’ le distanze dalla genesi di questa modifica: "Il governo aveva fatto una scelta opposta, perché si sarebbe creata una distinzione tra i consiglieri regionali e i sindaci che sono senatori e tutti gli altri". Poi però smorza: "Sul punto si può discutere, ma non è centrale".
SONDAGGIO / Eliminarla? Dite la vostra
E sempre sulle pagine del nostro quotidiano in edicola (l’integrale su Repubblica+) interviene Roberto Calderoli (Lega Nord), uno dei firmatari della proposta, che già ieri aveva ribadito la bontà della propria idea ma che aveva chiesto - se si deve togliere l’immunità ai ’nuovi’ senatori - di eliminarla anche ai deputati.
L’accordo Un Senato dei cento con meno poteri
Calderoli risponde soprattutto ai grillini che accusano i promotori della norma di un accordo con Silvio Berlusconi e con Forza Italia. Idea che il senatore respinge con forza: "Forza Italia neppure lo sapeva, l’abbiamo messa nel testo perché il nuovo Senato non sarà un dopolavoro per i sindaci. I due rami del parlamento avranno poteri diversi, ma entrambi con poteri veri".
VIDEOSCHEDA L’immunità negli altri Paesi europei
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A intervenire, da Forza Italia, è Maurizio Gasparri: "Aboliamo del tutto il Senato - dice - e approviamo la riforma presidenzialista. Serve un salto di qualità. Le soluzioni sin qui trovate sono compromessi al ribasso inaccettabili. Sfidiamo il Pd su questo punto".
Più tardi Paolo Romani, capogruppo dei senatori azzurri, si sfila e dichiara all’Huffington post: "Forza Italia non c’entra con l’immunità. E io non ne ho mai parlato. È una norma messa dai due relatori Calderoli e Finocchiaro (Pd) senza dire niente a nessuno". Dunque - chiede l’Huffington - nel recente incontro con il ministro Boschi non ne avete parlato? "Assolutamente, no. Mai fatto cenno all’immunità dei senatori".
L’unico a spezzare una lancia in favore dell’immunità è Fabrizio Cicchitto, deputato del Ncd: "Non si capisce perchè dovrebbe essere totalmente eliminata la questione immunità. Sarà impegno di ogni forza politica non eleggere in Senato chi ne potrebbe usufruire strumentalmente per fini della propria situazione giudiziaria".
Parole durissime continuano ad arrivare dal Movimento 5 Stelle. Su Twitter è la deputata Giulia Di Vita a dire: "Pd in preda ad altri segnali contrastanti. L’accordo sulla porcata del Senato fino a ieri era una vittoria, oggi un pò meno... chissà domani". E poi: "Nuova giustificazione per immunità ai senatori - rincara la dose in un altro tweet - parità di trattamento con i deputati. Il Pd ha palesi difficoltà con il concetto di "parità".
Di "immunità da brividi" e di un "Pd senza più alibi" parlerà, a ruota, il pentastellato Luigi Di Maio, vicepresidente della Camera, che dice: "Sembra incredibile ma a distanza di 10 anni il padre del Porcellum Calderoli, colui che ideò la legge elettorale più incostituzionale della nostra storia, mette a segno un altro colpo da brividi: l’immunità parlamentare per sindaci e consiglieri regionali che siederanno in Senato".
La replica, in casa Pd, è di Lorenzo Guerini, vicesegretario dem, che sugli accordi dice: "L’asse con Forza Italia tiene e la riforma del Senato reggerà al passaggio in aula sulla minoranza Pd: serve responsabilità, nessuno si vuole intestare la colpa di far saltare il tavolo delle riforme". Quanto poi alla proposta di reinserire nel testo l’immunità per i senatori, Guerini chiosa: "E’ stata un’iniziativa dei relatori, non è un punto centrale della riforma".
Ma sempre in casa Pd tornano alla carica i ’ribelli’ di Corradino Mineo e Vannino Chiti. A rivolgersi alla Boschi stavolta è Massimo Mucchetti (tra i 14 senatori autosospesi per protesta salvo poi fare marcia indietro): "Nessuno vuole fermare le riforme - dice al ministro -. Ma se ti convincessi che un Senato eletto dal popolo (come quello americano) è meglio di un’imitazione del Bundesrat (fatalmente distorta non essendo l’Italia una repubblica federale) avresti l’unanimità o quasi del Senato. Alla Camera l’iter diventerebbe una passeggiata e, prima della fine del semestre italiano alla Ue, avresti la riforma costituzionale approvata. E dopo potresti sottoporre a referendum confermativo quella che comunque sarebbe una riforma costituzionale approvata dal parlamento del Porcellum".
Anche secondo i tecnici del Senato l’argomento immunità è da approfondire. Nel dossier sulle riforme depositato dall’ufficio studi di Palazzo Madama si legge che il ddl del governo "introduce una non marginale differenziazione" tra deputati e senatori per quanto riguarda le prerogative fra i due rami del Parlamento. "L’assetto costituzionale risultante - continua il dossier - sul punto si risolve in una sostanziale equiparazione del trattamento normativo previsto per i senatori a quello previsto per i consiglieri regionali" che oggi non hanno immunità.
Insomma, conclude il dossier, se si ritiene che "il Senato conservi la natura di organo immediatamente partecipe "del potere sovrano dello Stato", l’equiparazione dei suoi componenti, in tema di prerogative, ai componenti dei consigli regionali potrebbe ritenersi da approfondire, anche alla luce del principio di ragionevolezza".
REPUBBLICA.IT
ROMA. Adesso il patto è suggellato nero su bianco. Lo firmano Partito democratico, Forza Italia e Lega. Lo scrivono insieme Anna Finocchiaro e Roberto Calderoli, i relatori della riforma che ieri hanno presentato venti emendamenti comuni. La spina dorsale del Senato rivoluzionato è questa: 100 componenti, 95 scelti dai consigli regionali, 5 di nomina del presidente della Repubblica. Con funzioni ridotte: non voterà la fiducia al governo e il grosso delle leggi.
Lo stipendio da consigliere regionale che sarà portato a livello di quello dei sindaci maggiori, quindi abbassato. Ma, a sorpresa, nel testo presentato ieri torna l’immunità parlamentare per i senatori: niente arresto, niente intercettazioni se non autorizzate. Una norma che nel provvedimento del governo non c’era. Una garanzia destinata a far discutere.
Renzi festeggia perché ora il traguardo non ha solo il limite temporale del 3 luglio, giorno in cui la riforma arriverà nell’aula di Palazzo Madama e cominceranno le votazioni. C’è un documento organico che si regge sulle gambe di tre partiti e garantisce i voti necessari per arrivare in fondo entro luglio. «È un ottimo punto di arrivo», dice il premier ai suoi collaboratori. Ha funzionato l’asse con Berlusconi, ovvero il patto del Nazareno. L’interlocutore privilegiato è sempre stato l’ex premier, un modo per difendere la prima mossa politica di Renzi sulla scena nazionale. Era e rimane il più affidabile degli alleati. E i voti di Forza Italia sono indispensabili per condurre la barca in porto visto che il gruppo democratico al Senato resta un’incognita. I 14 senatori dissidenti infatti sono di nuovo pronti a lottare contro la riforma di Renzi. «Non molliamo », annuncia Massimo Mucchetti.
Anche della Lega il premier si fida fino a un certo punto. Non gli è piaciuto come Calderoli ha cercato di intestarsi la vittoria. «Ha bisogno di visibilità, faccia pure. A noi interessano le riforme». Le regioni perdono competenze, competenze che tornano allo Stato. «Il Cnel sparisce. Infrastrutture, energia, commercio con l’estero, turismo tornano alla struttura centrale», elenca Renzi. Vuole dire che il federalismo c’è, ma vengono corretti i guasti dell’eccesso di autonomia locale. «Calderoli prova a rigirare la frittata facendo finta di aver vinto». Non è così, assicurano a Palazzo Chigi. Il senatore leghista ha provato a strappare di più, ha cercato di rompere il muro innalzato da Boschi e Finocchiaro. Quando ha visto che resistevano, ha cercato al telefono Renzi. Invano perché il premier non gli ha risposto. Calderoli si è sfogato su Facebook usando la vecchia terminologia di Bossi: «Abbiamo trovato la quadra. Chi la dura la vince».
Ridimensionato il ruolo della Lega, ora il governo deve trovare la maniera migliore per non cadere in quella che considera, fin dall’inizio, la «trappola » di Beppe Grillo. Mercoledì è fissato l’incontro tra il Pd e i 5stelle. È lo stesso giorno in cui scadono i termini per presentare gli emendamenti dei singoli senatori in commissione. Per questo i grillini chiedono di anticipare di 24 ore il vertice. Chiedono di avere un certo margine di manovra. «Noi vogliamo discutere di tutto, anche del Senato — dice il comico — Ma Renzi deve sapere: o noi o Berlusconi». L’esecutivo ha già scelto. Lo ha confermato il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi: «C’è un accordo, c’è un percorso che facciamo da tempo. È giusto ascoltare tutti ma non si cambia partner all’ultimo minuto». Parole che scatenano la rabbia grillina contro il Pd che «preferisce stringere patti con un pregiudicato ». Ma non smuovono Renzi. Semmai sarà l’esecutivo a riaprire in parte il capitolo dell’Italicum. Ieri la Boschi non ha chiuso lo spiraglio per una legge con le preferenze o i collegi.
Del comico e della Lega il Partito democratico pensa che vanno tenuti a distanza di sicurezza dalle riforme, compresa la legge elettorale, un carro su cui vorrebbero salire se trovassero la porta spalancata di un accordo allargato per l’abolizione del Senato. Le alleanze trasversali infatti sono sempre in agguato. Nel Pd si ricompone la frangia dei 14 autosospesi poi rientrati nel gruppo. Vogliono dare battaglia in aula se i loro emendamenti non troveranno ascolto nella commissione Affari costituzionali.
«Quando il cappotto è allacciato male — esemplifica il senatore Mucchetti — inutile giocare con asole e bottoni. Devi riaprilo e allacciarlo daccapo». In parole povere, «la riforma è un obbrobrio anche con gli emendamenti Finocchiaro-Calderoli». Mucchetti prevede una guerra a tutto campo. Consiglia di sorvegliare la vicenda del reintegro del ribelle Mario Mauro nella commissione. «Potrebbero esserci sorprese». Suggerisce a Renzi «di abbassare la cresta. I suoi paletti non sono articoli di fede. Sono scritture umane come quelle di tutti noi». E spiega che la tregua col capogruppo Luigi Zanda è molto chiara: «L’articolo 67 sull’assenza del vincolo di mandato vale in commissione e in aula. I nostri emendamenti ci saranno».
È fondamentale, per rispettare i tempi e per non riscrivere tutto daccapo, avere i voti necessari. Con Forza Italia e la maggioranza di governo, i dissensi del Pd saranno assorbiti senza problemi.
Ma la partita in casa democratica è solo all’inizio. «Forza Italia è in sofferenza, l’Ncd ha idee simili alle nostre. E non difendiamo i diritti dei cittadini di eleggere i senatori, non una casta», avverte Chiti. Che aggiunge: «Speriamo che Alfano mantenga una posizione per più di 12 ore e non si allinei a Renzi. Almeno stavolta ». Quello che si è mosso nell’Udc, in Scelta civica, in Sel dopo l’uscita dei filo-renziani, dovrebbe mettere al riparo Renzi e la sua riforma. L’obiettivo è la prima lettura entro luglio, che consentirebbe poi all’esecutivo di concentrarsi esclusivamente sui temi economici e sul semestre di presidenza italiana della Ue. «Ora la commissione può cominciare a discutere e a votare per garantire quei tempi che avevamo promesso ed arrivare presto al voto in aula», dice Anna Finocchiaro. L’ostacolo vero è rappresentato proprio dal voto finale di tutti i senatori. Ma un successo immediato nella commissione lascerebbe ai dissidenti dei partiti del patto uno spazio di manovra molto ridotto. Sarebbe difficile rimettere in discussione l’impianto della riforma.
IL FATTO DEL 20 GIUGNO 2014
Senato, Calderoli: “Depositati 20 emendamenti, la riforma può partire”
Il vicepresidente di Palazzo Madama e la presidente della Commissione Affari costituzionali Anna Finocchiaro hanno depositato 20 emendamenti frutto dell’accordo tra Pd, Forza Italia e Lega. Renzi soddisfatto: "Il Senato non sarà elettivo"
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 20 giugno 2014
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Senato, Calderoli: “Depositati 20 emendamenti, la riforma può partire”
Più informazioni su: Anna Finocchiaro, Matteo Renzi, Riforme, Roberto Calderoli, Senato.
Senato non elettivo composto “da 95 senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali e da 5 senatori che possono essere nominati dal presidente della Repubblica“. Tutti, però, con l’immunità parlamentare. E ancora iter legislativo più snello, giudizio preventivo della Consulta sulla legge elettorale, eliminazione della legislazione concorrente tra Stato e Regione e tre delegati per regione per eleggere il Capo dello Stato. E’ questo il contenuto di alcuni emendamenti per la riforma del Senato annunciati dal vicepresidente del Senato Roberto Calderoli e che saranno portati in aula per il voto entro luglio. Emendamenti che emergono dall’accordo tra maggioranza, Lega e Fi. “Trovata la quadra – ha detto – depositati gli emendamenti a firma Calderoli e Finocchiaro alla riforma che è in grado di partire serenamente”. La presidente della commissione Affari costituzionali del Senato Anna Finocchiaro aggiunge che “ora la I commissione può cominciare a discutere e a votare per garantire quei tempi che avevamo promesso ed arrivare al voto in aula entro luglio. Credo che nelle condizioni date abbiamo fatto un buon lavoro”.
Soddisfazione anche da parte del presidente del Consiglio Matteo Renzi che ai suoi dice: “Il Senato non sarà elettivo. Infrastrutture, energia, commercio con l’estero, promozione turistica sono materie che passano dalle Regioni allo Stato, il Cnel viene abolito, le indennità dei consiglieri regionali diventano come quelle dei sindaci. Si tratta di un ottimo punto di arrivo”. E se la Lega “prova a mettere la sua bandierina”, non c’è problema. “Facciano pure – prosegue Renzi- se hanno bisogno di visibilità. A noi interessano le riforme”.
Camera – E’ la sola titolare del rapporto di fiducia con il Governo ed esercita la funzione di indirizzo politico, la funzione legislativa e di controllo del governo.
Senato – In prima battuta esercita la funzione di raccordo tra lo Stato e le Regioni, le Città metropolitane e i Comuni. Non dà la fiducia al governo.
100 senatori – L’Assemblea di Palazzo Madama sarà composta da 100 senatori, anzi di 95 più 5: i primi eletti dai consigli regionali in rappresentanza di Regioni e Comuni, i secondi nominati dal presidente della Repubblica (tra questi rientrano gli attuali senatori a vita). Tra i 95 “territoriali” 74 sono scelti tra i consiglieri regionali, gli altri 21 tra i sindaci. Ogni Regione eleggerà un numero di senatori in proporzione al proprio peso demografico. L’intesa non scioglie il nodo del metodo di elezione, rinviando a una successiva legge ordinaria. I senatori decadono nel momento in cui decade l’organo in cui sono stati eletti (Comune o Regione). Ciò vuol dire che il Senato sarà rinnovato mano mano che si rinnoveranno le assemblee territoriali.
Poteri del Senato – Le leggi sono approvate dalla Camera. Entro 10 giorni il Senato, su richiesta di un terzo dei suoi membri, può chiedere di esaminarle, proponendo modifiche entro 30 giorni. L’ultima parola è però della Camera che decide entro altri 20 giorni. Per le leggi che hanno impatto su Regioni e Comuni la Camera deve pronunciarsi a maggioranza assoluta in caso di richiesta di modifiche da parte del Senato. L’Assemblea di Palazzo Madama ha anche poteri di controllo sull’attuazione delle leggi, delle politiche pubbliche e della pubblica amministrazione. Ha poteri anche sia per la fase di ricezione delle norme Ue che nella fase ascendente prevista dal Trattato di Lisbona.
Riforme costituzionali – Sulle riforme costituzionali il Senato mantiene le attuali competenze legislative.
Elezione Presidente della Repubblica – Verrà eletto dai 630 deputati, 100 senatori e da tre delegati di ciascuna Regione (scelti con principio di parità di genere). La Camera eleggerà tre giudici della Corte Costituzionale e il Senato due.
Nuove competenze Regioni e Stato – L’accordo riscrive il titolo V della Costituzione, che definisce i poteri dello Stato e delle Regioni. Eliminata tutta la parte della legislazione concorrente tra Regioni e Stato, eliminando così i motivi di conflitto. Tornano di competenza esclusiva dello Stato materie come produzione, trasporto e distribuzione nazionali energia, le grandi reti di trasporto di interesse nazionale.
Province addio – Dalla Costituzione scompaiono una volta per tutte le Province.
Stipendi consiglieri regionali e sindaci – I consiglieri eletti nelle regioni non potranno guadagnare più dei sindaci.
Legge elettorale – Prima di far entrare in vigore una riforma elettorale la minoranza parlamentare (i due quinti della Camera o del Senato) potrà chiedere un giudizio di legittimità preventiva della Corte Costituzionale.
Decreti blindati – Previsto il divieto di approvare emendamenti estranei all’argomento dei decreti durante il loro esame parlamentare.
Corsia preferenziale Ddl – Il governo può chiedere alla Camera di approvare entro sessanta giorni un suo disegno di legge.
Immunità per senatori – Confermata anche per i senatori l’immunità parlamentare che copre i parlamentari da arresto, intercettazioni, perquisizioni.
IL FATTO DEL 21 GIUGNO
Senato: nell’accordo tra Pd, Forza Italia e Lega c’è l’immunità per sindaci e consiglieri
Tra gli emendamenti congiunti depositati da Partito democratico e Lega Nord c’è la soppressione dell’articolo 6 del testo dell’esecutivo che applicava solo ai deputati l’articolo 68 della Costituzione sulle "Prerogative dei parlamentari". Quindi, niente arresto e niente intercettazioni per i membri del ’nuovo’ Senato. Una novità che sta scatenando polemiche, alle quali Roberto Calderoli, correlatore del testo ha risposto con una provocazione: "Se genera malumori allora togliamola sia ai deputati che ai senatori. Tutti siano trattati come cittadini comuni"
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 21 giugno 2014
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Più informazioni su: Forza Italia, Immunità Parlamentare, Lega Nord, Matteo Renzi, Movimento 5 Stelle, Palazzo Madama, PD, Senato.
I sindaci e i consiglieri regionali che nel progetto della coppia Renzi-Berlusconi entreranno a far parte del nuovo Senato non potranno essere arrestati, né intercettati. Tradotto: torna o, meglio, non scompare l’immunità parlamentare. Che, anzi, si allarga agli amministratori locali in odor di ‘nomina’ senatoriale. È questa la principale novità dell’accordo ratificato ieri tra Pd e Forza Italia che sta generando malumori in Parlamento. Polemiche alle quali Roberto Calderoli, correlatore al testo sulle riforme ha risposto con una provocazione: “Se suscita perplessità il fatto che deputati e senatori abbiano la medesima forma di immunità allora, come relatore, mi sento di fare una proposta e di verificare l’eventuale condivisione: togliamo l’immunità sia a deputati che a senatori. Tutti siano trattati come cittadini comuni”.
Intanto, con il deposito degli emendamenti congiunti Pd e FI di fatto mettono i paletti sulla riforma del Senato che da luglio sarà all’esame delle Camere e la novità riguardante l’estensione dell’immunità ha un peso specifico non di poco conto, che supera di gran lunga i numeri contenuti nell’idea di riforma.
In tal senso, gli emendamenti congiunti di Partito democratico, Forza Italia e Lega prefigurano un’aula di Palazzo Madama composta da 100 senatori, anzi di 95 più 5: i primi eletti dai consigli regionali in rappresentanza di Regioni e Comuni, i secondi nominati dal presidente della Repubblica (tra questi rientrano gli attuali senatori a vita). Tra i 95 “territoriali”, nello specifico, 74 sono scelti tra i consiglieri regionali, gli altri 21 tra i sindaci. Non solo. Ogni Regione a sua volta eleggerà un numero di senatori in proporzione al proprio peso demografico. L’intesa non scioglie il nodo del metodo di elezione, rinviando a una successiva legge ordinaria. I senatori decadono nel momento in cui decade l’organo in cui sono stati eletti (Comune o Regione). Ciò vuol dire che il Senato sarà rinnovato mano mano che si rinnoveranno le assemblee territoriali.
Dal punto di vista squisitamente politico, però, il succo è un altro. E riguarda la strategia scelta dal premier. Prima c’era solo il timing, ora invece esiste anche un documento scritto a suggellare l’accordo in tema di riforma del Senato con Forza Italia di Silvio Berlusconi, che nel patto con i democratici può contare anche sull’apporto determinante della Lega Nord. Ma se la concretizzazione dell’intesa era nell’aria, ben altro il discorso per quanto riguarda i frutti che questa determinerà. Il primo, assolutamente inaspettato, è contenuto proprio negli emendamenti depositati da Calderoli (Lega) e da Anna Finocchiaro (Pd). Tra questi, come detto, quello che riguarda l’immunità per i senatori, ipotesi di provvedimento che invece non era presente nel testo scritto dal governo. L’emendamento dei relatori, del resto, sopprime “l’articolo 6″ della bozza dell’esecutivo, che applicava solo ai deputati l’articolo 68 della Costituzione sulle “Prerogative dei parlamentari”.
Evidente la soddisfazione di Calderoli (“E’ stata trovata la quadra”, ha detto) riguardo agli emendamenti, che sono stati accolti favorevolmente anche da Renzi. Nessuno porta la firma del Movimento 5 Stelle, che incontrerà il presidente del Consiglio mercoledì 25 giugno. Proprio il giorno in cui, alle 12, scade il termine per i subemendamenti agli emendamenti dei relatori al ddl costituzionale di riforma del Senato e titolo V. Due ore dopo, alle 14, l’ufficio di presidenza della commissione si riunirà per la programmazione dei lavori. Per questo, come scrive Repubblica, i 5 Stelle vogliono anticipare di 24 ore l’incontro. In tal senso, però, la novità di giornata è che la base di M5s è spaccata sull’incontro da tenere con il governo.