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 2014  giugno 22 Domenica calendario

NATAL —

Poiché, come si sa, non è finita finché non è finita, pure il suo Mondiale può riservare ancora sorprese. Ma con lo spento secondo tempo di Italia-Costa Rica, Cassano rischia di aver perso l’ennesima «ultima occasione» che la sorte ha riservato al suo talento, e che lui ha gettato via. «Voglio essere Peter Pan e non crescere mai» amava dire. È stato accontentato.
Due anni fa, all’Europeo, Cassano era titolare, ed euforico. Si sentiva al centro delle cose. Poi è stato due anni in purgatorio. Prandelli l’ha portato lo stesso in Brasile. Ma quando ha avuto la certezza di essere tra i 23, Cassano ha dato l’impressione di mollare. Buffon e Bonucci, gli azzurri con cui va più d’accordo, hanno l’incarico di marcarlo stretto. Ma se lui, dopo il fallimento sul campo, si sentirà messo da parte, la gestione della sua presenza in ritiro può diventare un problema. Anche perché altri senatori — in particolare Pirlo e De Rossi — non lo amano.
Forse sbagliano. Antonio Cassano è il personaggio più letterario del calcio europeo. Nato il 12 luglio 1982, il giorno dopo il trionfo del Bernabeu: il padre Gennaro voleva chiamarlo Paolo, come Paolo Rossi; la madre Giovanna impose il nome del santo di Padova, cui è devota. Nel 2004 Pietro Calabrese, direttore della Gazzetta dello Sport , mandò un cronista, Sebastiano Vernazza, a cercare il padre del campione a Bari Vecchia. Gennaro Cassano raccontò la sua storia: comparsa nel «Vangelo secondo Matteo» di Pasolini, contrabbandiere di sigarette: «Per tanti anni sono stato più svelto della Finanza. Un giorno una guardia mi chiese: “Gennaro, perché non ti iscrivi alle Olimpiadi?”. Antonio ha preso da me la velocità». Nella notte di festa in cui Antonio nacque, il padre aveva già quattro figli da un’altra donna. Lo riconobbe, gli diede il suo nome, ma non se la sentì di lasciare la famiglia. Quando il ragazzo prodigio firmò per la Roma, gli impose di scegliere: o me o loro. Gennaro Cassano restò a Bari Vecchia. È morto nel 2010, a Capodanno. Antonio non è andato al suo funerale. Dopo quell’articolo, non parlò con la Gazzetta per anni.
Per il resto, la sua non è una storia triste. «Ho 31 anni, ne ho vissuti 17 da disgraziato e 14 da miliardario, devo ancora pareggiare i conti» ride. Ormai è più veloce con le battute che sul campo. Non a caso è diventato amico di un altro pugliese di successo, Luca Medici, insomma Checco Zalone. Figurarsi i dialoghi in barese stretto tra i due. Un giorno, durante la lavorazione di «Sole a catinelle», Antonio telefona a Checco, che ha lasciato il cellulare al regista del film, Gennaro Nunziante. Il saluto formale di Cassano fu: «Ciao ricchione!». L’altro si inoltrò nelle spiegazioni: «Ciao, non sono Checco, mi chiamo Gennaro, lavoro con lui e...». «E sei ricchione pure tu!» fu la risposta.
Un altro suo grande amico è Pierluigi Pardo, l’esplosivo conduttore di Tikitaka. Con lui Cassano ha firmato la terza e definitiva autobiografia, «Dico tutto (e se fa caldo gioco all’ombra)»: «Ho scritto più libri di quelli che ho letto» riconosce. Prima della pubblicazione ci fu una fuga di notizie e Libero titolò in prima pagina: «Cassano racconta di aver avuto 6-700 donne». Era il 2008, lui si era appena legato a Carolina, la giocatrice di pallanuoto che ora è sua moglie e la madre dei suoi due figli, Christopher e Lionel, come Messi. Pardo gli telefonò con espressione affranta: «Antonio, mi spiace, forse ti ho creato problemi con la tua fidanzata». Lui rise: «E che sarà mai? Mi sono pure tenuto basso!». Poi, per tranquillizzare Carolina, organizzò un autodafé: bruciò la voluminosa agenda con 2.500 numeri di telefono femminili.
Nell’ambiente, non tutti apprezzarono la vanteria. Pirlo fece notare che la maglia azzurra è più importante delle conquiste vere o millantate. Sul Corriere Luca Bottura chiosò: «Cristiano Ronaldo contro Cassano: “Io di donne ne ho avute 8-900; e ho tutte le 8-900 ricevute”». Cassano si indignò: «Non ho mai pagato per avere una donna» disse, senza sapere che un giorno l’avrebbe giurato pure un presidente del Consiglio. «Ho lo stesso vizio di Michael Douglas. L’unica differenza è che lui è stato ricoverato, io ancora no». Ammise però che una su 700 gli aveva resistito: Michelle Hunziker, nonostante avesse ricevuto in pieno Sanremo 500 rose rosse con un biglietto: «Tifo per te». E raccontò le notti romane con Totti, fino a quando non litigarono per il cachet di «C’è posta per te», diviso in parti ineguali: «A Roma su Totti non si può dire una virgola. È come se fosse il Papa». Quando Cassano cambiò squadra, De Rossi commentò: «Ora qui si respira aria pulita».
La dolce vita si era conclusa con un incidente alle 4 del mattino a 180 all’ora, mentre guidava telefonando con la destra e mandando sms con la sinistra. Prima di chiamare i soccorsi Cassano fece venire il cugino, gli imbrattò il viso di sangue e lo mise al volante al suo posto. Antonio, la patente la avevi? «Come no. L’ho comprata a Bari, a buon prezzo». La licenza media, invece, «praticamente me la regalarono», a 17 anni, dopo un corso serale: era stato bocciato sei volte. E comunque, anche se non ha vinto nulla e il suo primo Mondiale rischia di essere già finito, è stata una fortuna avere un personaggio così, un Maradona de noantri, che il titolo lo dava sempre. Come il giorno in cui gli chiesero: se non fossi diventato calciatore, che mestiere avresti fatto? Risposta: «Il ladro». Ma è proprio tutto vero? «Qualcosa l’ho dimenticato. Nella mia vita ho fatto talmente tante sciocchezze» (Cassano non dice esattamente sciocchezze) «che non posso ricordarmele tutte».