Fiorenza Sarzanini - Giuliana Ubbiali, Corriere della Sera 22/6/2014, 22 giugno 2014
DAI NOSTRI INVIATI BERGAMO — «È
vero, andavo a Brembate, ma io Yara non la conosco. Ci andavo spesso perché lì abita mio fratello e c’è il mio commercialista. Ma avete sbagliato, l’assassino non sono io». Giovedì 19 giugno, ore 9.30. Nel carcere di Bergamo Massimo Giuseppe Bossetti racconta la sua verità. Parla per un’ora, nega di essere «Ignoto 1», l’uomo che ha lasciato una traccia di Dna sugli slip della vittima. Fornisce una versione dei fatti che i carabinieri del Ros e i poliziotti dello Sco stanno adesso verificando. Però non convince il giudice Ezia Maccora che quella stessa sera firma un’ordinanza di custodia cautelare per omicidio aggravato dai motivi di crudeltà e dalla minorata difesa della vittima che aveva soltanto 13 anni. Anche perché sia il fratello, sia il professionista hanno in parte smentito il suo racconto. Il momento più drammatico è quello dell’inizio. Il gip gli comunica ufficialmente l’esito delle verifiche sulla paternità: «Lei risulta figlio di Giuseppe Benedetto Guerinoni». Nell’aula cala il gelo. Lui rimane immobile, sgrana gli occhi. Guarda il suo avvocato Silvia Gazzetti quasi a cercare conforto. E poi dichiara: «Sono cresciuto sapendo di essere il figlio di Ester Arzuffi e Giovanni Bossetti. Soltanto ieri, leggendo un giornale qui in carcere ho scoperto che Giovanni non è mio padre. Voglio dire che per me mio padre è lui». E aggiunge: «Quando venne fuori la storia di Guerinoni chiesi a mia madre se lo conosceva». Si capisce che è disperato, ma più volte ripete di essere innocente: «Non ho ucciso Yara. Non avrei mai potuto fare un gesto simile. Non sono capace di fare del male a nessuno, ho figli della sua stessa età». Non contesta l’esito degli esami sul Dna. «Ma non so spiegare perché l’abbiate trovato sugli slip della ragazzina». Due giorni fa sua moglie Marita Comi ha chiesto di poterlo vedere. Lui è in isolamento e adesso sarà il pubblico ministero Letizia Ruggeri a dover decidere se autorizzare il colloquio.
Le visite a Brembate
Il giudice gli chiede di ricostruire che cosa ha fatto la sera di venerdì 26 novembre 2010, quando Yara è scomparsa. «Sono passati quattro anni, però ricordo i miei movimenti di quel giorno perché sono un tipo metodico. Ho una vita normale, mi dedico al lavoro e alla famiglia e quindi ho delle abitudini ripetitive. Esco la mattina presto per andare al cantiere, mangio velocemente mentre sono al lavoro, poi il pomeriggio torno a casa, mi faccio una doccia e sto con i miei figli. Dopo cena mi addormento sul divano per la stanchezza. La sera esco raramente, sempre in compagnia di mia moglie e dei miei figli. Adoro mia moglie. La domenica di solito sto con i miei parenti. Sono molto legato ai miei genitori». Poi aggiunge: «Ricordo che cosa feci quella sera perché passando di fronte al centro sportivo vidi furgoni con grosse parabole e ne fui attratto. Era il 26, o forse il 27 novembre». La circostanza è falsa perché la sparizione di Yara fu denunciata dal padre la mattina del 27 e le televisioni arrivarono non prima del giorno successivo, la domenica. Si arriva così alla sua presenza frequente nella zona dove abita Yara, nei pressi della Citta dello Sport dove la ragazzina andava a fare ginnastica. E lui si giustifica: «Vado a Brembate da mio fratello Fabio e dal mio commercialista». Entrambi vengono interrogati. Fabio Bossetti spiega che «con mio fratello ci vediamo di rado perché lui è un tipo solitario. Veniva pochissime volte, io non sono mai andato a casa sua». Cauto anche il commercialista: «Sarà venuto una volta al mese, quando mi portava le fatture da registrare».
Il percorso e i negozi
«In quel periodo lavoravo in un cantiere di Palazzago con mio cognato, stavamo costruendo una palazzina. Passavo da Brembate Sopra per tornare a casa, a Mapello. Talvolta mi fermavo per un caffè o una birra. Oppure all’edicola perché lì compravo le figurine per mio figlio. E poi andavo dal benzinaio». Le verifiche effettuate in queste ore dagli investigatori riguardano eventuali percorsi alternativi che sono più veloci e più brevi per verificare se possa essere passato anche altrove. Un controllo che viene fatto anche analizzando i filmati delle telecamere sequestrati al momento della scomparsa della ragazzina. Certamente Bossetti andava «almeno due volte alla settimana» al centro estetico «Oltremare», come ha ricordato la proprietaria per fare la «doccia» abbronzante. Nel novembre 2010 il negozio si trovava di fronte alla villetta dei Gambirasio. Lui nega una simile frequenza: «Tengo al mio aspetto fisico, ma non è vero che ci stavo così spesso, anche perché io lavoro all’aria aperta e il sole lo prendo anche così».
Il cellulare «muto»
Il giudice gli contesta che dopo l’ultima telefonata alle 17.45 del 26 novembre 2010 il suo telefono cellulare sia rimasto muto fino alle 7 della mattina successiva. Lui dichiara: «Da qualche settimana il cellulare non funzionava bene, la batteria non reggeva e infatti poi l’ho cambiato. Quella sera posso averlo spento e messo in carica per riaccenderlo la mattina successiva prima di andare al lavoro. del resto a casa ho il telefono fisso». In queste ore si stanno effettuando nuovi controlli sui tabulati perché secondo le prime verifiche in altri giorni di quello stesso periodo il cellulare ha registrato «traffico» anche nelle ore serali.
Quando gli viene chiesto se abbia mai conosciuto la famiglia Gambirasio, Bossetti è netto: «Non ho mai visto Yara. Ho incontrato sua padre al cantiere di Palazzago dopo la scomparsa della ragazzina. Se fosse successo a mia figlia io non avrei avuto la forza di continuare a lavorare». Nega di aver mai visitato «siti internet pedopornografici», mentre dice che è «molto appassionato ai casi di cronaca nera e li leggo sul computer. Mentre come giornale leggo “L’Eco di Bergamo”, mia suocera è abbonata». Sono cinque i computer che gli sono stati sequestrati, compreso un tablet. E adesso bisognerà verificare che cosa ci sia in tutti gli hard disk.
Fiorenza Sarzanini
Giuliana Ubbiali