Luigi Ferrarella, Corriere della Sera 22/6/2014, 22 giugno 2014
MILANO —
«Non ritengo ci siano le condizioni per proseguire la collaborazione che avevo intrapreso con voi», si trincera ora l’arrestato ex direttore generale di Infrastrutture Lombarde, Antonio Rognoni, di fronte ai pm del pool Robledo con i quali pure aveva reso in precedenza alcuni interrogatori dopo l’arresto del 20 marzo. È il segnale più lampante che sull’incisività delle indagini milanesi sugli appalti Expo 2015 continuano a riverberarsi i contraccolpi delle non sopite divergenze sui criteri organizzativi della Procura tra il procuratore aggiunto Alfredo Robledo e il procuratore capo Edmondo Bruti Liberati: il tutto a dispetto dell’ottimistica convinzione del vicepresidente Csm Michele Vietti che il voto giovedì scorso del plenum, «rispettoso delle indicazioni del capo dello Stato», avesse fatto «vincere la Procura di Milano, uscita rafforzata nella sua autorevolezza senza che l’accaduto abbia scalfito l’efficacia della sua azione».
Si avvertono invece gli effetti delle questioni irrisolte dalla non-decisione del Csm, pasticciata sia nell’esito pilatesco di un pari e patta che archivia le contestazioni mosse da Robledo a Bruti ma nel contempo li lascia entrambi in una coabitazione puntuta in uffici a pochi metri di distanza, sia soprattutto nelle modalità con le quali vi si è pervenuti: correnti togate che hanno cavalcato forsennati attacchi a Bruti o grottesche difese di Robledo solo per autopromozione in vista delle elezioni Csm di luglio; consiglieri pro-Robledo arrivati a negare il senso dell’autogoverno Csm nel momento in cui invocavano che dall’esterno arrivassero a Milano gli ispettori del ministro della Giustizia; il vicepresidente Csm che inopportunamente anticipa in una intervista il proprio orientamento pro-Bruti e poi vota senza astenersi; i due relatori delle proposte di delibera che prima vergano alcuni rilievi su Bruti e poi li depennano appena inizia a circolare la sola notizia dell’invio a Vietti di una lettera del capo dello Stato sull’«esigenza di tenere conto delle responsabilità che la legge assegna al dirigente dell’ufficio di Procura», gerarchizzato dalla riforma del 2006; e infine il voto finale del plenum Csm ipotecato dal silente incombere di questa lettera del presidente Napolitano, di cui Vietti riassume l’indirizzo generale pro-poteri dei capi delle Procure (quindi pro-Bruti nel caso specifico) ma che rifiuta di leggere ai consiglieri, dichiarandola «allo stato non ostensibile».
Rognoni è stato arrestato sia il 20 marzo nell’inchiesta dei pm del pool Robledo (Pirotta-D’Alessio) sulle consulenze legali affidate da Infrastrutture Lombarde fuori dai canoni di legge, sia l’8 maggio dai pm del pool Boccassini (Gittardi-D’Alessio) nell’indagine sull’appalto Expo per la cosiddetta «architettura dei servizi». Di questo secondo fascicolo Robledo era stato formalmente coordinatore al pari di Boccassini sino al 6 marzo, quando non aveva sottoscritto la richiesta dei pm Boccassini-Gittardi-D’Alessio di arrestare il general manager di Expo, Angelo Paris, non ritenendo in quel momento solidissima una imputazione di corruzione.
Bruti e Boccassini avevano interpretato che questo rifiuto di Robledo equivalesse a una sua volontà di abbandonare tutta l’indagine, deduzione invece contestata da Robledo. Che intanto, dal proprio fascicolo su Infrastrutture Lombarde, aveva stralciato in un terzo fascicolo alcuni elementi di indagine non ancora noti, ma di cui si sa solo che riguardino l’appalto più costoso e cruciale di Expo, la cosiddetta «piastra» da 198 milioni di euro, assegnato alla Mantovani (la ditta ora al centro dello scandalo Mose a Venezia) con un ribasso del 41%. Del nuovo fascicolo Robledo è coassegnatario con i pm Filippini-Pellicano-Polizzi del suo pool, ma il diretto coordinamento operativo è stato assunto dal procuratore Bruti Liberati con la circolare che gli riserva qualunque indagine vagamente afferente Expo.
In questo fascicolo l’interrogatorio del vice di Rognoni, Pierpaolo Perez era durato non molto, forse anche per l’inusualità dell’affollamento di presenze nella stanza di Robledo: indagato, avvocato, Robledo ma anche Bruti Liberati, i tre pm Filippini-Pellicano-Polizzi, un ufficiale e quattro investigatori della Gdf, una stenografa.
Meno ancora è durato giovedì pomeriggio l’appuntamento con Rognoni. Dietro la scarna motivazione del suo avvalersi della facoltà di non rispondere, Rognoni sta mandando a dire: va bene, io (che sono arrestato in due inchieste di due pool diversi) posso anche entrare nell’idea di raccontare o chiarire cose che ancora voi pm non sapete, ma a patto che poi questo mio contributo venga valutato unitariamente dalla Procura di Milano, ad esempio con l’ok a un patteggiamento omnicomprensivo delle imputazioni nelle due indagini, ma ciò mi appare al momento compromesso dalle frizioni o diversità di vedute tra voi pm. Un timore rafforzatosi in Rognoni quando i pm del pool Boccassini, nel rispondere al gip Antezza che sul problema delle contestazioni a catena (e dunque del decorso dei termini di custodia cautelare) chiedeva come valutassero le imputazioni alla base dei due arresti di Rognoni del 20 marzo e dell’8 maggio, hanno risposto di non ritenerle collegate.
Luigi Ferrarella