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 2014  giugno 21 Sabato calendario

PERISCOPIO


Papa Francesco: «Pregate per il mio lavoro insalubre». Deve averlo saputo da Papa Luciani. Spinoza. Il Fatto.

Acronimi - Sinistra Eutanasia Libertà. Jena. La Stampa.

Napolitano si affaccia, sbracciandosi entusiasta, dal balcone del Quirinale e grida: «Vai, Bruti Liberati, e scatenati!». Vignetta di Vincino su Il Foglio.

Al botteghino torna Migliore. Aveva ragione Marx: quando la storia si ripete, la prima volta è tragedia, la seconda è farsa. Il rompispread. MF.

Renzi almeno ci prova. Forse, alla fine, l’impresa si rivelerà più grande di lui ma, per lo meno, sta forzando, spingendo a cambiare un sistema politico-istituzionale, i cui riti, le cui pratiche, le cui procedure, sono al servizio dell’immobilismo, della mediazione senza decisione. Angelo Panebianco. Corsera.

In questa morbidezza di perplessità, di timori, di equivocazioni, a Silvio Berlusconi accade di oscillare come la lancetta di una bussola senza trovare mai la stella polare. Salvatore Merlo. Il Foglio.

Il 14 novembre ’91, il presidente Cossiga proibì al vicepresidente del Csm, Galloni, di mettere all’ordine del giorno del plenum alcune pratiche a lui sgradite e mandò i carabinieri a Palazzo dei Marescialli a far sgombrare l’aula in caso di disobbedienza ai suoi ordini: Violante avviò le pratiche per l’impeachment, accusandolo di alto tradimento e attentato alla Costituzione, Napolitano ne chiese le dimissioni e l’Anm scese in sciopero contro la grave violazione costituzionale. L’altro ieri il presidente Napolitano ha proibito per lettera al vicepresidente del Csm, Vietti, di mettere all’odg del plenum l’istanza di azione disciplinare per il procuratore di Milano Bruti Liberati, votata all’unanimità dalla II e dalla VII commissione; Vietti l’ha comunicato ai consiglieri senza leggere la lettera (nel frattempo autodistruttasi) e quelli hanno prontamente obbedito, ritirando le precedenti deliberazioni, sbianchettando ogni critica a Bruti e archiviando festosamente la pratica. Nessun partito ha battuto ciglio, nessun grande giornale ha trovato da ridire, l’Anm non ha scioperato, Violante non ha chiesto impeachment e Napolitano non ha invocato dimissioni, anche perché sarebbero state le sue. Marco Travaglio. Il Fatto.

Caro amico, anima bella, non amareggiarti al pensiero che i deputati depistano, gli impiegati impiegano altrimenti il loro tempo e i presidenti presiedono alla spartizione e la presidiano. So quanto ti turbi che i professionisti professino l’evasione, i funzionari fingano di fungere e i consulenti si consolino, ma non rattristarti più di tanto dei ladroni: come ha detto Papa Francesco, costoro non sono né felici né mai lo saranno. Umberto Silva, psicanalista. Il Foglio.

La prima guerra mondiale è la guerra dei grandi cannoni, degli obici pazzeschi contro i quali i soldati vengono mandati con i fucili, con la baionetta. Basta leggere questa chicca del Cadorna-pensiero: «Si calcola quanti uomini la mitragliatrice può abbattere e si lancia all’attacco un numero di uomini superiore. Qualcuno giungerà alla mitragliatrice. Le sole munizioni che non mi mancano sono gli uomini». Per non parlare della vita di trincea. I soldati vivevano nel fango, tormentati dai topi e dalle cimici, mangiando cibi ripugnanti, fucilati nel caso non uscissero all’attacco perché, come ricorda un mirabile episodio di Orizzonti di gloria, questa fu l’unica guerra in cui i generali sparavano sulle loro truppe. Moni Ovadia. Il Fatto.

Sarò breve: Pier Ferdinando Casini è il più grande paraculo che abbia mai bighellonato nel Palazzo. Dopo la premessa esplicativa, posso dilungarmi. Casini è indubbiamente assistito da una certa intelligenza. Ma è così intelligente che, a furia di strafare, ha finito per strangolarsi con la propria cravatta. Da Forlani, originario di Pesaro e dunque uomo di mare, Casini impara l’arte del turacciolo: stare a galla. Precisamente quella che Bisaglia, essendo nato a Rovigo e perciò morto annegato, non poteva insegnargli. Il giovanotto è di gradevole aspetto, si veste in modo appropriato, piace alle donne. Ha la giocosità oratoriale del vitellone che al primo incontro ti dà una pacca sulla spalla e ti chiede: «Ehi, come stai, cazzone?». Ostenta sempre ottimismo, dote di per sé già ragguardevole, ma addirittura eccelsa in tempi grami quali i presenti che ci sono dati da vivere. Casini è il Bel Ami della politica italiana. Dunque l’esatto opposto delle idee che professa, nelle quali è erroneamente convinto di credere. Cattolico, pur senza averne le stigmate, vuole talmente bene alla famiglia da essersene fatte due e da sentirsi a entrambe affezionato. È un signore del suo tempo, un conservatore che non conserva nulla, tranne la poltrona, figuriamoci la fedeltà. Apparentandosi con Silvio Berlusconi, Casini salva non solo lo scranno suo, ma anche quello di alcuni amici. Il più grande dei piccini, forse perché è alto quasi un metro e 90, diventa da subito una spina nel fianco del Cavaliere. Ma poi lo eleggono presidente della Camera e così il gradito compito di rompere i coglioni ogni due per tre all’alleato se lo assume Harry Potter, al secolo Marco Follini, nominato segretario del Ccd e in seguito addirittura vicepremier. La lucidità di pensiero di Follini, ben evidenziata dalla crapa scintillante, trova modo di esplicarsi nella continua richiesta di un «forte segno di discontinuità», istanza che, trascorso un decennio, risulta tuttora oscura al suo stesso propugnatore. Vittorio Feltri e Stefano Lorenzetto, Buoni e cattivi. Marsilio.

Ci sono state nell’ultimo secolo due rivoluzioni che si completano e si contraddicono contemporaneamente: la prima, la più importante, la più determinante, ma la più dimenticata è quella dell’amore che, dagli anni trenta, getta all’aria i matrimoni combinati di un tempo. La seconda è la più conosciuta, la più mediatizzata ma anche la meno capita: quella della «liberazione sessuale» degli anni 1960 e 1970, riassunta nella frase di Lacan: «Mai cedere sul proprio desiderio». La prima rivoluzione esalta la coppia, la seconda l’individuo. Blandine Pénicaud, Les révolutions de l’amour.

«Perché non vieni con me al Club dei cori di montagna? Ci divertiamo moltissimo: ceniamo bene, beviamo meglio, giochiamo a carte, a biliardo...». «Ma scusa, e quando cantate?», chiede l’amico. «Quando torniamo a casa, naturalmente». Gino Bramieri, Barzellette. Euroclub.

Ho di me un concetto così alto che, se precipito, mi sfracello. Roberto Gervaso. Il Messaggero.

Paolo Siepi, ItaliaOggi 21/6/2014