Marco Neirotti, La Stampa 21/6/2014, 21 giugno 2014
DNA, L’INFALLIBILE TEST HA MANDATO IN SOFFITTA SHERLOCK HOLMES
La cronaca recente così come quella fatta riaffiorare dagli archivi di polizia sono affollate dai test del Dna, pilastro scientifico che talora è un elemento della costruzione investigativa, talora svetta solitario come un totem e decide le indagini.
Nel 2002 a Valle San Silvestro, comune di Dobbiaco, avvenne qualcosa che ha assonanze con il caso di Yara. Annamaria Fronthaler, 74 anni, fu trovata violentata e uccisa nella sua casa. Le volevano tutti bene, tutti speravano di regalare un aiuto al lavoro degli inquirenti e quando questi chiesero a quasi seicento maschi di prestarsi al test tutti serenamente aderirono. Era compatibile il profilo d’un uomo senza colpe, ma andarono a cercare suo figlio, Andreas Kristler, 19 anni, militare di leva, e lo arrestarono: aveva il codice genetico lasciato sulla vittima.
La ricerca su vasto campione - ben più ridotto di quello attorno a Brembate - è stato il punto di partenza, pochi mesi fa, per trovare chi nel bagno d’un liceo di La Rochelle ha violentato una studentessa. La luce era stata spenta d’improvviso e lei non era in grado di riconoscere un volto. Si è ora provveduto a raccogliere campioni di 475 studenti, 31 docenti, 21 dipendenti a vario titolo. Si attende la risposta, che - l’altro volto del Dna - per tutti o tutti meno uno sarà la liberazione da un incubo.
Le comparazioni su vasta scala sono diffuse nei Paesi dove esistono banche dati con la «schedatura biologica» di chiunque sia incappato nella giustizia. Esse consentono comparazioni mirate (scremare chi ha precedenti per reati dello stesso genere) ma possono anche rispondere grazie al caso. Nel settembre 2005, a Londra, Sally Anne, parrucchiera diciottenne, fu violentata e pugnalata nel cortile di casa. I laboratori non indicavano nessuno dei sospettati. Nove mesi dopo il cuoco di un ristorante ha litigato con un cliente per le diverse idee sulla partita di calcio che guardavano in tv. Il cuoco è stato arrestato. Il suo Dna, inserito in un archivio che tra Inghilterra e Galles contiene 4,5 milioni di profili, era lo stesso lasciato dal violentatore qualche mese prima.
In Italia quasi tutti i casi più clamorosi, nuovi o ripescati, ruotano intorno alla prova biologica. Elisa Claps scomparve il 12 settembre 1993, a sedici anni. Destò sospetti un giovane, Danilo Restivo, ventunenne, che si presentò in ospedale con una ferita a una mano, dicendo di essersela procurata cadendo in un cantiere. Ma c’era una denuncia di scomparsa, non un omicidio sul quale indagare. Restivo se ne andò in Gran Bretagna. Nel marzo 2010 la povera Elisa è stata ritrovata nel sottotetto della chiesa della Santissima Trinità a Potenza, con indignazione e incredulità per il fatto che in tanto tempo tanta gente sia salita lassù senza nulla notare o voler notare. Due mesi dopo Restivo è stato arrestato dalla polizia inglese - sarà poi condannato all’ergastolo - per l’assassinio nel 2002 della sarta Heather Barnett, sua vicina di casa, nel Dorset. Il Dna lo inchioda, diciassette anni dopo, anche per Elisa.
Sfugge alle indagini l’assassino di Alberica Filo della Torre, uccisa nella sua villa all’Olgiata, fuori Roma, il 10 luglio 1991. È un giallo - giudiziario e mediatico - che vagabonda dal passionale alla spy story sui «fondi neri» del Sisde. La pista della traditrice persona di fiducia porta i sospetti sul figlio dell’insegnante d’inglese dei bambini di Alberica. Lo salva il Dna. E nel 2011 il Dna mette spalle al muro quello che un tempo fu il cameriere filippino della villa, che confessa.
Ma è uno dei casi più lunghi e tormentati degli Anni ‘90 e 2000 a sfogliare i diversi volti del test scientifico: via Poma. Simonetta Cesaroni è uccisa il 7 agosto 1990 e in due decenni e una girandola di sospetti, si susseguono gli accusati, dal portiere dello stabile al figlio d’un architetto che lì abita. Il Dna fa il suo lavoro di scrematura e alla fine, di trenta nomi, ne lascia uno solo: quello dell’ex fidanzato di lei, Raniero Busco, che va a processo il 3 febbraio 2010 ed è condannato, va in Appello nel 2012 ed è assolto per non aver commesso il fatto, va in Cassazione ed è scagionato per sempre. Il Dna ha provato quel che doveva provare: comparazione tra campioni di reperti e una persona. Non è il laboratorio a dire se chi ha calcato pavimenti o toccato la fidanzata l’ha anche uccisa. Quello spetta all’intero operato dell’accusa, al castello di prove delle quali il Dna fa parte.
Marco Neirotti, La Stampa 21/6/2014