Ettore Livini, la Repubblica 21/6/2014, 21 giugno 2014
E BRUXELLES DÀ UN ALTRO GIRO DI VITE ALL’EVASIONE FISCALE DELLE MULTINAZIONALI
MILANO.
L’Europa prova a dire stop ai furbetti del Fisco. E mette nel mirino le decine di migliaia di società, tra cui Apple, Google, ma pure le casseforti di U2, Rolling Stones e David Bowie, che hanno eletto a domicilio fiscale i paradisi offshore “made in Ue” – Olanda, Lussemburgo e Irlanda su tutti – per tagliare a livelli poco più che simbolici la loro bolletta delle tasse. Una forma di elusione a tutt’oggi perfettamente legale, fondata sui “buchi” delle singole legislazioni nazionali e su alchimie finanziarie come il mitico “Double Irish-Dutch Sandwich” (nome da cocktail, in realtà la più sofisticata arma anti-erario del continente) che secondo le stime di Bruxelles sottraggono ogni anno qualcosa come 1.300 miliardi alle casse degli stati membri.
Il piano della Ue, ancora da definire nei dettagli, è chiaro: bloccare la possibilità di “traslocare” gli utili realizzati in un paese dell’Unione a un’altra nazione con trattamenti fiscali più vantaggiosi. Apple, Google, Facebook, EBay e Amazon, per dire, fatturano in Italia qualcosa come 4 miliardi di euro ma pagano al Tesoro poco più di 11 milioni di tasse visto che i profitti vengono tutti trasferiti in Irlanda o Lussemburgo per poi rimbalzare verso Amsterdam e le Bermuda, diminuendo ad ogni passaggio l’aliquota dell’imposizione.
Tutti, ovviamente, si dichiarano innocenti. Dublino e l’Olanda (paesi dell’Unione Europea, mica paradisi offshore come le Cayman) sostengono di rispettare appieno le regole comunitarie. Le multinazionali rivendicano il diritto all’ottimizzazione fiscale dei propri utili. La pratica dei profitti spostati come nel gioco delle tre tavolette sta creando però delle distorsioni commerciali evidentissime. Nei Paesi Bassi ci sono 23mila aziende fantasma domiciliate presso caselle postali, buone solo per dribblare i balzelli statali. In Irlanda la ’Tasse spa’, secondo stime attendibili, ha creato 153mila posti di lavoro.
La fotografia più esplicita dell’attrazione fatale dei “paradisi” made in Europe sta nei dati sul flusso netto di investimenti esteri nel 2013 nel vecchio continente pubblicato da Eurostat ieri: il Lussemburgo è nettamente in testa con un saldo positivo di 240 miliardi, pari a quasi cinque volte il pil del Granducato. Seguito a ruota, guarda caso, da Olanda e Irlanda.
Il giochetto delle triangolazioni fiscali, del resto, ha funzionato finora alla grande: Apple ha pagato nel 2013 il 3,6% di tasse sui suoi profitti esteri e (come Google) ha ridotto di sette punti l’imposizione sul suo utile netto negli ultime tre anni.
La Ue non è l’unica organizzazione che sta cercando di porre rimedio a questa situazione. I vertici dell’Ocse stanno mettendo a punto un progetto per uniformare le normative tributarie in tutti i paesi sviluppati. Il progetto definitivo dovrebbe essere pronto nel 2015. Ma con le casse di molti stati che piangono – anche per l’elusione legale delle multinazionali – Bruxelles preferisce evidentemente accorciare i tempi.
Ettore Livini, la Repubblica 21/6/2014