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 2014  giugno 21 Sabato calendario

LA NUOVA JIHAD DI AL BAGHDADI L’UOMO IN NERO CHE SFIDA IL MONDO


L’uomo che potrebbe far finire l’Iraq come Stato unitario, il capo dello “Stato Islamico in Iraq e nel Levante” (Isis), ha un volto come tanti altri. Ma chi è veramente Abu Bakr al Baghdadi, che i media hanno già battezzato enfaticamente il «nuovo Bin Laden»? Del fondatore di Al Qaeda non possiede lo sguardo ieratico, l’aura che viene da una famiglia consona a status e ricchezza, nonostante di recente abbia aggiunto al suo nome quello di al quraysh, membro dei coreisciti, che ne farebbe un discendente dell’antica tribù del Profeta. E, automaticamente, un candidato alla guida del restaurato Califfato islamico per il quale si battono i qaedisti. Una genealogia che altri jihadisti, in particolare quelli siriani, contestano.
Il mistero che circonda la sua figura, precauzione necessaria nel tempo dei droni e delle tortuose vie d’infiltrazione battute dall’intelligence, non offusca la sua famigerata stella. Al Baghdadi è riuscito a dare al qaedismo un ruolo che pochi ritenevano possibile dopo le sconfitte degli ultimi anni. Non fare come Zarkawi — nel perseverare ideologicamente sino a provocare la diaspora dei propri potenziali alleati e nella eccessiva personalizzazione della leadership — sembra essere precetto ineludibile per il leader dell’Isis. La sconfitta dell’insurrezione antimaericana è dipesa, molto, dalle scelte politiche e militari qaediste e dalla forza altrui, ma anche dalla smodata ambizione personale di Zarkawi, sin troppo visibile in un conflitto, come quello asimmetrico, che esige una certa dose di clandestinizzazione. Certo, Al Baghdadi non è uno sconosciuto. Orginario di Samarra — una delle città che con Falluja hanno più dato da torcere agli americani, dove è nato nel 1971 — era funzionario religioso di una delle moschee locali. Ruolo esercitato in virtù del possesso di un dottorato in scienze islamiche. Dopo l’invasione americana ha partecipato all’insurrezione, finendo per quatto anni prigioniero nel campo di Bucca, dove erano rinchiusi alcuni comandanti di Al Qaeda. È in questo universo carcerario che al Baghdadi si è radicalizzato. Liberato nel 2009, raggiunge le fila dello Stato Islamico in Iraq, sin lì guidato da un predecessore quasi omonimo. Al nome del gruppo manca ancora una “S”, quella di Sham, Levante, che si aggiungerà in seguito, rivelandone i nuovi obiettivi: la costituzione del Califfato nelle province sunnite irachene e siriane.
L’abilità di Al Baghdadi è quella di dare all’Isis gerarchia e disciplina, carenti in milizie sin lì preda degli umori dei suoi comandanti militari, anticamera di disastrose scelte operative, che spesso avevano poco a che fare con il perseguimento degli obiettivi e molto con l’ hilm, l’onore di fronte alla comunità tipico della mentalità delle tribù locali. Questo processo di centralizzazione, unito alla decisione di espandere il proprio raggio d’azione al teatro di conflitto siriano (scelta che consente al gruppo di far transitare con maggiore facilità nelle proprie fila volontari, armi, denaro, supporto logistico dal confine turco), ha lanciato l’Isis verso nuovi orizzonti.
Una scelta, quella di espandersi verso Levante, che lo ha condotto in rotta di collisione con il Fronte al Nusra, animato da jihadisti siriani che si sono opposti armi in pugno allo sconfinamento dei confratelli iracheni e, soprattutto, alle loro strategie, destinate a mettere a rischio alleanze confessionali, tribali, politiche, che al Nusra ha costruito faticosamente nel tentativo di divenire il perno del fronte anti- Assad. Un conflitto brutale e fratricida, che ha provocato la chiamata in causa di Al Qaeda storica e risolto, in teoria, a favore dei radicali siriani, gli unici legittimati a rifarsi alla sigla dell’organizzazione. E, secondo alcuni, destinatari di uno scambio di prigionieri con il regime di Assad tra i quali vi sarebbe, nell’intento di provocare tensioni, anche la moglie di Baghdadi, ora nelle mani dei fratelli nemici.
A Baghdadi è riuscito, comunque, un capolavoro politico. Mettere d’accordo, nella scelta di distruggere lui e il suo gruppo, Usa e Iran, Hezbollah e Israele, Egitto e Turchia, la Siria di Assad e i paesi del Golfo, decisi a impedire il terremoto dei confini mediorientali. Molti, in queste ore, cercano il suo volto e il suo nascondiglio.

Renzo Guolo, la Repubblica 21/6/2014