Vittorio Emanuele Parsi, Il Sole 24 Ore 17/6/2014, 17 giugno 2014
GAS RUSSO E PETROLIO IRACHENO, DOPPIO RICATTO
Il riacutizzarsi della crisi russo-ucraina non può che destare profonda preoccupazione per un Paese come il nostro, che nel 2013 ha importato dalla Federazione russa il 40% del suo fabbisogno di gas. Mosca ha inviato un messaggio sibillino: da un lato ha assicurato che le forniture dirette all’Europa continueranno, dall’altro ha messo in guardia sulla possibile irregolarità delle medesime, che potrebbero subire interruzioni qualora l’Ucraina prelevasse parte di quel gas per rifornirsi dopo la decisione russa di sospendere le vendite a Kiev.
Le crisi precedenti tra Russia e Ucraina legate all’incapacità/impossibilità di quest’ultima di saldare il grosso debito nei confronti di Gazprom, tutte comunque infinitamente meno gravi della precedente, non lasciano ben sperare. Dato che l’Ucraina dovrebbe avere scorte solo fino ai primi di dicembre, non sono infatti così basse le probabilità che l’Italia si ritrovi in emergenza proprio all’approssimarsi dell’inverno.
L’ambiguità del messaggio russo non è d’altronde casuale. Il Cremlino ritiene che la Ue sia la principale corresponsabile (con gli Stati Uniti) della piega ostile assunta dall’evoluzione politica di Kiev nel corso dell’ultimo anno. Allo stesso tempo gli strateghi di Putin considerano che proprio per via del ricatto energetico, l’Europa possa rappresentare l’anello debole della catena di sostegno occidentale all’Ucraina. Facile quindi prevedere che l’arma energetica, formalmente impiegata contro Kiev e per mere ragioni economiche, venga anche brandita verso l’Europa per sostanziali ragioni politiche.
La crisi russo-ucraina rischia quindi di mettere davvero l’Europa in grandi difficoltà. Oltretutto, è solo una delle tessere di un puzzle energetico che si complica giorno dopo giorno. Con la Libia sempre più fuori controllo e l’Iraq controllato per quasi un terzo dalle milizie jihadiste il prezzo del petrolio inizia a surriscaldarsi. Gli eventi di queste settimane si incaricano così di rammentarci quanto siano esposte, fragili e sottoposte a rischio politiche le fonti di approvvigionamento energetico che continuano a costituire la linfa vitale delle nostre economie. Da un lato ci dovrebbero spingere verso una più rapida e sostanziale diversificazione delle nostre fonti di energia (rinnovabili e non): operazione non semplice, non immediatamente remunerativa, e anche politicamente non così indolore. Dall’altro rendono evidente come l’idea di stare alla larga dalle crisi politiche che possono trasformarsi in crisi energetiche sia una pericolosa illusione.
L’Europa, semplicemente, non può disinteressarsi di quanto avviene oltre i suoi confini orientali e meridionali. E l’Italia può farlo ancor meno. Nuovi temi vanno così a infittire l’agenda del semestre italiano di presidenza Ue. Temi diversi da quelli fin qui prospettati, ma altrettanto vitali. Temi che spingono un esecutivo spesso giudicato non particolarmente attento alla dimensione della politica estera quando questa non riguarda i temi europei a doversi fare paladino di una riflessione a tutto tondo sulla postura internazionale dell’Europa stessa. Si tratta di una sfida non di poco conto, ma altrettanto strategica rispetto a quella che riguarda il rapporto deficit/Pil o il patto di stabilità, o l’allentamento di un certo eccessivo rigore finanziario. Chissà che non si venga a scoprire che, per poter "cambiar verso all’Europa", occorre innanzitutto che l’Europa "cambi verso alle sue relazioni col mondo esterno": assumendo maggiori responsabilità, e promuovendo contemporaneamente la costruzione di una politica energetica comune, ormai indispensabile per proteggere il futuro della propria economia dai ricatti altrui.
Vittorio Emanuele Parsi, Il Sole 24 Ore 17/6/2014