Salvatore Cannavò, Il Fatto Quotidiano 19/6/2014, 19 giugno 2014
LA TRADIZIONE ORALE DI RENZI: COSÌ L’ITALIA CAMBIA VERSO
La tradizione orale di Matteo Renzi si riassume nella politica delle slide. Nella convinzione che il tempo, per chiunque governi, sia un nemico spietato, il premier fin dal suo insediamento ha puntato sempre sull’impatto degli annunci più che sulle norme esatte. Queste, del resto, devono passare per mille mediazioni parlamentari, hanno bisogno della materia scarsa, il tempo, e non danno gioia.
Meglio alludere, descrivere, tramandare ai posteri con la forza della parola. Certo, non tutto è “fuffa”. Proprio ieri, con il voto di fiducia della Camera, il decreto-immagine del governo Renzi, quello degli 80 euro, è stato approvato.
I DEBITI NON SI PAGANO
Ma, sempre ieri, l’Italia è stata colpita da una procedura di infrazione europea sui mancati pagamenti alle aziende da parte della Pubblica amministrazione. Una prova di come molti degli annunci fatti finora siano stati pensati più per riempire Twitter e schermi tv di disegni e grafici colorati (ricordate il pesciolino rosso?) che per “cambiare verso” all’Italia.
Con sprezzo del pericolo, lo scorso 7 marzo, a pochi giorni dall’insediamento del governo, Renzi dichiarava che “entro luglio paghiamo 68 miliardi” con lo “sblocco totale e immediato” dei crediti incagliati. Ieri, invece, la Ue ha sanzionato l’Italia proprio per il ritardo nei pagamenti.
Ma a smentire il premier basta il sito del ministero dell’Economia su cui è pubblicato l’aggiornamento dei pagamenti erogati: 23,5 miliardi. Si tratta, poi, di risorse stanziate dai governi Monti e Letta di cui, oralmente, Renzi si è abilmente appropriato.
IL LAVORO CHE VERRÀ
La tradizione orale la si rintraccia anche nel primo “manifesto” politico dell’ex sindaco di Firenze, quello del Jobs Act. Renzi può, certamente, rivendicare la conversione in legge in Parlamento del decreto-Poletti che deriva da quel provvedimento. Ma quel progetto, però, è stato spacchettato approvando di corsa la maggior flessibilità e relegando a una legge-delega il simbolo del Jobs Act, il contratto unico a tutele crescenti. La legge-delega, che a sua volta va tramutata in tanti decreti attuativi, non è stata ancora nemmeno presentata. I più ottimisti dicono che qualcosa si vedrà nel 2015. Per ora, accontentiamoci delle promesse.
Anche la riforma della Pubblica amministrazione, fino a ieri, era affidata alle parole. Anzi, ai “44 punti”, come i gatti, che il governo aveva redatto dopo l’immancabile “campagna di ascolto” (leggi, ricezione di 40 mila mail dai cittadini). Renzi è anche riuscito a convocare una conferenza stampa, la sera del 13 giugno, per illustrare la riforma senza che il testo fosse pronto. Ma anche in questo caso è andato in scena il “trucco” dello spacchettamento. Subito, nel decreto, le misure più appariscenti – dimezzamento dei permessi sindacali, maggiore flessibilità per annunciare 15 mila posti ai giovani, etc. – mentre le misure “oggetto della consultazione pubblica” sono finite in un disegno di legge-delega da realizzare “nei dodici mesi successivi all’approvazione della legge”. Probabilmente a legislatura finita.
SCUOLE CERCANSI
Altro tema, altro giro di giostra: la scuola. Il premier aveva annunciato 3,5 miliardi di risorse per 10 mila scuole d’Italia con “2 milioni di studenti più sicuri”. Così, pochi giorni dopo essersi insediato a Palazzo Chigi, ha scritto a tutti i sindaci per farsi inviare lo stato della situazione. Solo la settimana scorsa, però, Renzi “ha informato il Consiglio dei ministri” di aver firmato un Dpcm che individua i Comuni esclusi dal Patto di stabilità interno, per gli anni 2014 e 2015, per le spese destinate a edilizia scolastica.
I fondi utilizzati al momento, quindi, sono degli enti locali. Ai quali il governo aggiunge 300 milioni ma solo “per finanziare interventi agevolati”. Poi c’è il progetto “scuole belle” con 450 milioni destinati a piccola manutenzione in 17.959 plessi scolastici. Altri 400 milioni, infine, sono destinati a “scuole sicure”. Con quali soldi? I fondi, secondo il sottosegretario Reggi, provengono dalla riprogrammazione del Fondo coesione 2007-2013 con interventi tra il 2014 e il 2020 compresi tra i 2,4 e 4 miliardi di euro. Sembra il gioco delle tre carte e onestamente è difficile capire se, come e quando i soldi arriveranno alle scuole.
IL SENATO CHE NON C’È
Altro simbolo della “rivoluzione” renziana è la legge elettorale e la riforma del Senato. Su questo punto, alle intenzioni sono seguiti i fatti: l’incontro con Berlusconi, la legge elettorale approvata l’Italicum alla Camera, la spinta per riformare il Senato con lo scontro interno al Pd. Ma, a quattro mesi dalla formazione del governo, nessuno sa cosa davvero sia la riforma, cosa diventerà l’Italicum e cosa c’è dentro la riforma del Senato, moderna tela di Penelope scritta di giorno e cancellata di notte.
Approvata dal Parlamento, invece, la delega fiscale, redatta dai governi precedenti, servirà al ministro Padoan per preparare i decreti attuativi, le riforme concrete. Renzi parla, e annuncia, dichiarazioni dei redditi pre-compilate, “scontrini telematici” e “fatture elettroniche”. Visioni di un’Italia immaginaria buona per le slide e per vincere le elezioni. Parole che, spesso, restano scritte sull’acqua.
Salvatore Cannavò, Il Fatto Quotidiano 19/6/2014