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 2014  giugno 19 Giovedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - LA SITUAZIONE IN IRAQ


REPUBBLICA.IT
WASHINGTON - "Siamo pronti a inviare circa 300 consiglieri militari per aiutare gli iracheni a combattere i terroristi. I soldati americani non torneranno in Iraq". Barack Obama conferma che non ci sarà un nuovo impegno diretto delle forze armate americane nell’Iraq devastato dall’avanzata dei miliziani filo Al Qaeda dell’Isis: "La risposta migliore alla minaccia dell’Isis è dare la possibilità alle forze locali di rispondere". Il presidente americano annuncia poi la missione del segretario di Stato John Kerry in Medio Oriente per consultarsi con gli alleati. Ma prima di tutto, i leader iracheni devono superare le divisioni e rispondere con un processo politico e non con la violenza alle minacce". E lancia una nuova critica pesante al presidente Nouri al-Maliki: "Non c’è soluzione militare in Iraq, di certo non guidata dagli Usa, ma solo un processo politico inclusivo può portare a uno scioglimento della crisi". Anche se "non è il nostro lavoro scegliere i leader iracheni", ci vogliono "leader politici" in grado di garantire questo processo inclusivo. "Non è un segreto che ora c’è una divisione profonda tra sunniti, sciiti e kurdi".
Per l’amministrazione Usa è vitale però che la capitale irachena non cada nelle mani dell’Isis. "E’ un buon investimento per gli interessi degli Usa assicurare che il perimetro intorno a Bagdad non venga violato". Gli Usa, aggiunge Obama, "hanno aumentato la propria intelligence, la sorveglianza e le operazioni di perlustrazione in Iraq per capire meglio quali siano le minacce a Bagdad".
Secondo quanto spiegato alla Cnn da una fonte del Pentagono, il dispiegamento delle forze speciali avverrà in piccole squadre ed in modo graduale. Le squadre verranno dislocate nelle diverse caserme dell’esercito iracheno ed avranno anche il compito di raccogliere informazioni riguardo alle forze dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante.
Ieri era stato il governo iracheno a chiedere formalmente l’intervento militare americano per fermare l’avanzata dell’Isis. La strategia statunitense, secondo quanto riportato dal ’Wall Street Journal’, prevede anche un’azione politica per riportare stabilità nel paese con un nuovo governo senza il premier sciita al-Maliki, e con il coinvolgimento delle comunità sunnita e curda. Il premier iracheno, accusato di attuare politiche settarie che hanno scatenato la crisi in corso nel paese, ha già fatto sapere di non avere alcuna intenzione di dimettersi.
Nuovi combattimenti. Secondo il ’Wall Street Journal’ gli estremisti sunniti dell’Isis hanno occupato quello che una volta era il principale sito di produzione delle armi chimiche del regime di Saddam Hussein. Il complesso conterrebbe ancora una scorta di vecchie armi. A nord di Bagdad si combatte per il controllo della raffineria di Baiji, con le truppe governative che hanno lanciato un’offensiva per riprendere in mano il sito. La zona è strategica perché è il corridoio di passaggio degli oleodotti che portano il greggio fuori dal Paese.
L’ANALISI: L’ISIS MINACCIA GLOBALE
LA MAPPA Jihadisti tra califfato islamico e petrolio
La lotta per le raffinerie. Il portavoce per la sicurezza del premier Nouri al-Maliki ha affermato in tv che "le forze di sicurezza hanno il totale controllo della raffineria di Baiji", 200 chilometri a nord di Bagdad, attaccato nei giorni scorsi dai jihadisti dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isis). Settanta miliziani sarebbero stati uccisi e dieci loro veicoli distrutti. L’attacco alle raffinerie, che producono 600 mila barili al giorno, aveva destato allarme tanto da spingere alcune tra le più importanti compagnie petrolifere operanti nel paese, come la Exxon e la British Petroleum, ad operare una "massiccia evacuazione" del proprio personale.
Iraq, il dramma dei 40 operai indiani rapiti a Mosul
Aumento il prezzi del greggio. Le tensioni in Iraq hanno avuto pesanti ripercussioni sul prezzo del petrolio sui mercati internazionali, con la possibile riduzione delle forniture del secondo produttore di greggio dei paesi Opec. Il Brent ha raggiunto il massimo dal 9 settembre scorso sfiorando i 115 dollari a barile ed è quotato ora 114,36 dollari a barile (+10 cent). Il greggio Usa guadagna 30 cent a 106,27 dollari al barile.
Le accuse ad Arabia Saudita e Qatar. Secondo quanto afferma oggi il quotidiano semi-governativo iracheno ’Al Sabah’, citando "fonti di intelligence", l’offensiva sarebbe stata messa a punto in una riunione due giorni prima ad Amman alla presenza di 13 fazioni sunnite anti-governative, tra cui i baathisti legati al passato regime di Saddam Hussein, con l’intento di abbattere l’esecutivo di Bagdad. ll giornale accusa Arabia Saudita e Qatar di avere finanziato l’acquisto di armi sul mercato nero per i ribelli. I convenuti in Giordania avrebbero deciso di giurare fedeltà al capo dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isis), Abu Bakr al Baghdadi. Al Sabah scrive che i convenuti hanno siglato un patto per fare cadere il primo ministro sciita Nouri al-Maliki, con una forza complessiva di circa 30 mila miliziani.

REPUBBLICA.IT
ANTONELLO GUERRERA
Correva l’anno 2005 e Abu Bakr Al Baghdadi, il leader del gruppo terrorista "Isis" che sta terrorizzando l’Iraq e tutto l’Occidente, era in gabbia a Camp Bucca, un avamposto americano in Iraq a Umm Qasr, sul Golfo Persico. Al Baghdadi, accusato di attività terroristiche, era stato catturato dai soldati statunitensi. Poi, nel 2009, nel passaggio di consegne degli Usa, la base è andata sotto il controllo del governo iracheno. Che ha deciso di liberare Al-Baghdadi. Poco dopo, precisamente il 16 maggio 2010, Al-Baghdadi è diventato, ufficialmente, il leader del gruppo terrorista Isi (Stato Islamico dell’Iraq, allora braccio ufficiale di Al Qaeda), poi diventato Isis (o Isil), e cioè lo Stato Islamico dell’Iraq e della grande Siria (o del Levante).

Dal 2004 a oggi. Ma la storia dell’Isis, il gruppo di jihadisti sunniti che da settimane minaccia pericolosamente Bagdad e tutto l’Iraq, viene da più lontano. Il gruppo terrorista, famigerato per ferocia e crudeltà mostruose persino rispetto agli standard di Al Qaeda, è essenzialmente un prodotto della guerra in Iraq lanciata da Usa e Regno Unito nel 2003. La sua prima formazione, infatti, (seppur con un altro nome, "Jama’at al-Tawhid wal-Jihad", e cioè "l’organizzazione del monoteismo e del Jihad") risale al 2004 e si è formata, a leggere i suoi propositi, proprio in risposta all’intervento militare concepito dall’amministrazione di George W. Bush.

Le colpe del governo. L’Isis è, oggettivamente, anche il risultato delle politiche "esclusive" e per certi versi discriminatorie del premier sciita Nouri al Maliki e del suo governo, che non si è distinto per la sua apertura verso i curdi e soprattutto verso i sunniti iracheni (Saddam Hussein era sunnita, così come tutto l’apparato militare, storicamente). E questo ha lasciato campo aperto all’azione dei terroristi, che vogliono imporre un califfato tra Iraq e Siria in base a un’interpretazione ultraradicale della sharia, la legge islamica. Per raggiungere i risultati di oggi, è indubbio che l’Isis abbia avuto l’appoggio di una parte della popolazione sunnita nel nord-ovest nel paese, come dimostrano le conquiste degli ultimi tempi.

La guerra interna ad Al Qaeda. Ma l’Isis (o Isil) per come lo conosciamo, in realtà, nasce ufficialmente solo l’anno scorso. E nasce da uno scontro interno alla galassia di Al Qaeda, l’organizzazione di Osama bin Laden che ha perso peso nella galassia dell’estremismo islamico dopo la sua uccisione ad Abbottabad (Pakistan) e la flebilissima guida del suo vice, il medico egiziano Ayman Al Zawahiri. Negli ultimi tempi, durante la guerra civile in Siria, c’è stata una dura battaglia tra l’Isis e un altro gruppo jihadista, Jabhat al Nusra, il cui leader si chiama Abu Mohammed al-Golani e che è molto attivo contro Bashar Assad.

La frattura. Ma se al-Nusra è un braccio "ufficiale" di Al Qaeda, approvato ufficialmente da Al Zawahiri, lo stesso non si può dire dell’Isis. Negli ultimi mesi si era parlato anche di fusione tra le due organizzazioni, su pressione soprattutto di Al Baghdadi. Poi non se n’è fatto più nulla, per incomprensioni e litigi vari, anche perché Golani, il leader di Al Nusra, non ha voluto cedere il passo al più carismatico Al Baghdadi.

La scomunica di Al Qaeda. Di lì è stato scontro aperto, con una mezza scomunica di Al Zawahiri. Che, paradossalmente, non ha approvato alcune mosse considerate troppo efferate e spietate dell’Isis persino per un’organizzazione assassina come Al Qaeda. L’ordine di Al Zawahiri ad Al-Baghdadi (lasciare la Siria ad Al Nusra per concentrarsi esclusivamente sull’Iraq) è rimasto miseramente inascoltato. Perché, come dice il suo stesso nome, l’Isis vuole ricreare il grande Califfato del Levante. E questo, nei suoi piani, include anche la Siria.

Minaccia sottovalutata. Ma l’Isis, nonostante il niet dell’erede di Bin Laden, non si è fermato. Ed ha proliferato, sempre di più, anche perché sottovalutato. Dalle autorità irachene, ma anche da quelle occidentali. Basti pensare che fino alla conquista di Mosul, che ha gettato nel terrore il Paese e il mondo intero, molti pensavano che l’Isis avesse "solo" tremila militanti. Anche quando lo scorso dicembre i terroristi hanno conquistato la strategica Falluja. Un errore madornale. Secondo alcune stime, oggi l’Isis può contare fino a 5mila miliziani solo in Siria, e altri 6mila in Iraq. Ben oltre le 10mila unità, dunque.

Le reclute straniere. E qui spunta un’altra caratteristica fondamentale del mostro creato da Al-Baghdadi. Perché l’Isis, a differenza della stessa Al Nusra e altri gruppi terroristi che combattono in Iraq e Siria, ha un grande appeal tra i giovani stranieri (spesso occidentali): tutti (neo)musulmani convertitisi al jihad, che ora, secondo l’Economist, sono almeno 3mila nelle file dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante e che sarebbero pagati poche centinaia di dollari al mese. Secondo Peter Neumann del King’s College di Londra, l’80 per cento dei combattenti stranieri in Siria sono passati con Al-Baghdadi.

Chi è Al-Baghdadi. Perché Al-Baghdadi, come si diceva, è un tipo molto carismatico. Di sicuro è nato a Samarra nel 1971. Il resto è un mistero. Il suo vero nome non lo sa nessuno. Pare sia Awwad Ibrahim Ali al-Badri al-Samarrai. Le prime foto che lo ritraggono sono uscite solo un paio di anni fa. Vanta un dottorato in studi islamici, ottenuto all’università di Bagdad molti anni fa. E i suoi miliziani lo dipingono come discendente diretto del Profeta Maometto. L’ascesa di Al-Baghdadi è cominciata dopo l’uccisione per mano americana di Abu Musab al-Zarqawi, allora nemico pubblico numero uno per Washington in Iraq.
Che cos’è l’Isis, il gruppo jihadista che minaccia l’Iraq e il mondo

Abu Bakr Al Baghdadi in due foto pubblicate del Dipartimento di Stato americano
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La ferocia dell’Isis. Al-Baghdadi è la mente di numerose azioni terroristiche in Iraq (spesso suicide), come gli attacchi a Mosul nel 2011. Ed è famoso anche per la sua violenza e crudeltà verso i suoi nemici, come dimostrano i terribili video che circolano online da giorni ma che sono solo gli ultimi di una lunga serie: crocifissioni, decapitazioni, amputazioni. Su di lui gli Stati Uniti hanno posto una taglia da 10 milioni di dollari. Attualmente, solo la testa di un terrorista vale di più per Washington, ed è proprio quella del leader qaedista Al Zawahiri (25 milioni).
Iraq, Isil pubblica foto esecuzione soldati. Esercito: "Sono autentiche"



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Armi e soldi. L’apparato sanguinario che dirige Al-Baghdadi è ben equipaggiato, spesso con armi rubate agli americani, e si finanzia con numerose azioni illegali, quali contrabbando e sequestri. Lo scorso febbraio l’Isis ha spodesdato Al Nusra dalla riserva di gas di Conoco, a Deir Ezzor, in Siria: solo questo giacimento, secondo alcuni analisti, frutta ai terroristi molte decine di migliaia di dollari a settimana. Ma non solo. Il premier Al Maliki ha accusato i sauditi e altri stati del Golfo come il Qatar (che sono wahabiti, cioè una branca del sunnismo radicale) di finanziare l’Isis e altri gruppi terroristi contro i governi sciiti (come in Siria, anche se Assad è alawita, una setta sciita).

"Il gruppo jihadista più ricco al mondo". A questo proposito, qualche giorno fa è passata praticamente inosservata una notizia che potrebbe rilevarsi devastante per il futuro dell’Iraq e dell’intera lotta al fondamentalismo islamico. Durante l’ultima battaglia di Mosul, ricca di pozzi di petrolio, poi conquistata dai terroristi, l’Isis ha sottratto (secondo il racconto del governatore dell’istituto e alcuni media locali) 429 milioni di dollari durante l’assalto alla sede della Banca Centrale, oltre a un gran numero di lingotti d’oro. Il solo denaro rubato, secondo alcune stime, potrebbe fornire i fondi necessari per reclutare 60mila terroristi all’alto salario di 600 dollari al mese. E l’Isis, a questo punto, rappresenterebbe l’organizzazione jihadista più ricca del mondo. Diventando davvero una minaccia globale, come lo è stata Al Qaeda. Basti pensare che Mehdi Nemmouche, l’uomo accusato del recente attentato al museo ebraico di Bruxelles, quando è stato arrestato in Francia aveva con sé proprio una bandiera dell’Isis.

ALBERTO FLORES D’ARCAIS
NEW YORK . Raid aerei mirati e altamente selettivi (ma non subito), l’uso di droni e soprattutto di intelligence. Con i suoi più stretti consiglieri Barack Obama sta mettendo a punto la strategia per l’Iraq, escludendo una sola opzione: l’invio di truppe di terra. E con questa certezza (anche se un centinaio di uomini delle forze speciali sono già pronti a partire per coordinare e addestrare i militari di Bagdad) ha ricevuto ieri alla Casa Bianca i quattro leader del Congresso (due repubblicani e due democratici) per ottenere il via libera.
Il Pentagono ha però messo in guardia il presidente: una campagna aerea precipitosa potrebbe diventare un boomerang. Per il generale Martin E. Dempsey, capo dello Stato Maggiore, che ha confermato la pressante richiesta di raid da parte del ministro degli Esteri iracheno Zebari, "non sono così facili, non è come guardare sull’iPhone il video di un convoglio e colpire".
Obama è conscio però di non poter perdere ulteriore tempo. La destra lo attacca duramente ("l’ennesimo fallimento della politica estera del presidente", lo slogan più gettonato), gli uomini di Bush, con i neocon in prima fila, tornano a farsi vivi e l’ex vice-presidente Dick Cheney (il vero “architetto” dell’invasione Usa) liquida così sul Wall Street Journal l’operato del presidente: "L’Iraq rischia di cadere nelle mani di un gruppo terrorista islamico e lui parla di cambiamenti climatici. I terroristi prendono il controllo di risorse come mai prima nella storia e lui gioca a golf".
Caos in Iraq, le foto dei bambini arruolati contro gli jihadisti
Preoccupa il petrolio, con l’assedio alle raffinerie di Baiji e la fuga ("massiccia evacuazione", il termine ufficiale) del personale della Exxon e della British Petroleum. La Casa Bianca si mostra fiduciosa, perché finora l’avanzata dei militanti dell’Isis "non ha ostacolato i rifornimenti", ma il portavoce Jay Carney si è limitato a un secco "no comment" quando gli è stato chiesto se l’amministrazione Obama stava pensando di utilizzare la riserva strategica Usa per stabilizzare i prezzi.
Iraq, il governo arruola la popolazione
La “scala delle opzioni” che i consiglieri di Obama hanno presentato al Presidente per ora prevede l’aumento di “consiglieri militari” e l’invio di 170 soldati a Bagdad per rafforzare le misure di sicurezza nella propria ambasciata. Solo più avanti inizieranno i raid e l’uso dei droni in stile Yemen. Gli analisti del Pentagono (e della Cia) sono al lavoro per “tracciare” le figure-chiavi dell’autoproclamatosi Stato Islamico di Iraq e Siria, grazie anche alle informazioni ricevute dai servizi segreti giordani, sauditi e turchi. Su tutti un nome: quello di Abu Bakr al-Baghdadi, leader riconosciuto dell’Isis e un passato da prigioniero nelle mani Usa (venne rilasciato nel 2009). Ora lo vogliono morto.

CORRIERE.IT
GUIDO OLIMPIO
WASHINGTON - Un rapporto di 400 pagine, con tabelle, analisi, numeri. Un o studio documentato per illustrare e spiegare la propria attività dal novembre 2012 a quello dell’anno dopo. A redigerlo il dipartimento della comunicazione dell’Isis, il movimento sunnita impostosi all’attenzione tanto in Siria che in Iraq. Cifre che ovviamente non è possibile verificare con certezza ma che sembrano avvicinarsi molto alla realtà..
Più di 1000 omicidi in un anno
Limitiamoci al «bilancio» del 2013. Omicidi: 1083. Attacchi armati: 336. Attacchi con ordigni: 4465. Azioni con i cecchini: 57. Autobombe: 537. Auto-bombe condotte da kamikaze: 73. Kamikaze con fascia esplosiva: 160. Moto-bombe: 14. Omicidi con pugnale: zero. Prigionieri liberati: centinaia. Totale delle operazioni: 9540. L’Isis - secondo il suo studio - ha concentrato la propria azione nella provincia di Ninive (oltre il 32 per cento degli attacchi). E’ la regione di Mosul ed è sempre stata un’area dove gli estremisti sunniti hanno operato con successo.
Le forze in campo: dai 10 ai 15 mila uomini
Scremato della propaganda il report è un’indicazione interessante sulle capacità militari. L’organizzazione, lavorando con pazienza, ha messo in piedi una forza di circa 15 mila uomini (altre stime indicano 8-10 mila unità), molto agile, in grado di combinare le classiche tattiche del terrore con quelle guerrigliere. L’interrogativo degli esperti è se il gruppo sarà capace di “tenere” il territorio e se non nasceranno contrasti con le altre componenti della resistenza sunnita. L’Isis è solo una parte di un fronte ampio.
La «cassa»
Non meno importante le rete autonoma di finanziamento costituito dalla vendita di benzina proveniente da un paio di raffineria in Siria, dalle tasse rivoluzionare imposte nelle zone di influenza, dalle estorsioni, dai riscatti per gli ostaggi e, ovviamente, da aiuti ricevuti da figure/associazioni presenti in Qatar, Kuwait e Arabia Saudita. Dopo la conquista di Mosul gli estremisti sarebbero riusciti anche impadronirsi di circa 450 milioni di dollari custoditi nelle banche locali. Il denaro dunque non manca ai fautori del Califfato e l’Isis potrebbe persino prestarlo ai rivali di al Qaeda.