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 2014  giugno 19 Giovedì calendario

LA SINISTRA EUROPEA RISCHIA DAVVERO DI SCOMPARIRE?


Ma la sinistra può veramente scomparire? Se lo è chiesto recentemente il primo ministro francese Manuel Valls, davanti al Consiglio nazionale del Partito socialista. Certo, i sintomi di un suo declino appaiono sempre più numerosi: la sconfitta storica alle elezioni municipali di marzo, e quindi quella, altrettanto storica, alle europee (meno del 14% di voti); e poi il record di impopolarità del presidente François Hollande, le lacerazione interne, l’uscita di numerosi membri… Proviamo a ragionare a mente fredda.
Ancora qualche anno fa il Ps era sulla cresta dell’onda: aveva vinto nel 2008 in numerose città, e nel 2010 in quasi tutte le regioni, conquistato il Senato e prevalso alle legislative nel 2012. Una prima spiegazione che sembra imporsi per l’attuale fase negativa è quella del semplice ribaltamento congiunturale di una fascia di elettori versatili. Il presidente Hollande ha deluso, la crisi economica permane, la disoccupazione e le disuguaglianze aumentano. Tutto ciò porta a penalizzare il partito al potere. Non vi sarebbe dunque nulla di allarmante; tanto più che da sempre il socialismo francese ha subito un’alternanza di alti e bassi. Ma in passato, nei momenti difficili poteva almeno contare su due basi di ripiegamento, che servivano poi da trampolini per ripartire: la rete dei comuni e quella dei dipendenti del pubblico impiego. Oggi entrambe sono soggette a una pericolosa erosione, che mette a repentaglio la casa socialista.
Il Ps non ha mai veramente risolto le questioni essenziali che si pongono a tutta la sinistra europea. Che tipo di organizzazione costruire in questo periodo contraddittorio, di disaffezione per la democrazia e di rivendicazioni partecipative? Come riguadagnare credibilità, a fronte della crescente diffidenza verso la classe politica, considerata corrotta e incapace? A quale leader affidarsi, ora che il trionfo della personalizzazione e dell’iper-mediatizzazione ha sconvolto la concezione politica classica della sinistra? A quali elettori fare appello in via prioritaria: ai ceti medi benestanti e istruiti, aperti alla globalizzazione, o alle classi popolari sempre più insofferenti, che si sentono abbandonate e rispondono col no all’Europa e agli immigrati? Quali politiche pubbliche adottare, in campo economico e sociale, a fronte di un capitalismo di tipo nuovo e della crescente europeizzazione, in una situazione in cui il welfare non è più sostenibile in forme identiche a quelle tradizionali? Quale strategia elaborare: alleanza a sinistra o accordo col centro? Infine — questione lancinante — quale significato identitario dare al socialismo e alla sinistra del XXI secolo?
Della scomparsa ineluttabile della sinistra si parla ormai da decenni: dopo la caduta dei partiti comunisti negli anni ‘80 doveva essere la volta dei socialisti. Ma i risultati delle ultime elezioni europee invitano a un giudizio più articolato. La sinistra riformista ha ottenuto il 25,4 per cento dei voti contro il 25 del 2009, ha conquistato sette seggi e ridotto la distanza rispetto al Partito popolare europeo. C’è stato, è vero, il tracollo di alcuni partiti, ovviamente in Francia, ma anche in Grecia e in Spagna. Tuttavia in Germania l’Spd ha guadagnato terreno (anche se il partito di Angela Merkel rimane in testa) come del resto il Labour (superato però dall’Ukip). Infine, e soprattutto, c’è stato il trionfo del Pd. D’altra parte, tranne alcuni casi, la sinistra radicale ha registrato progressi di scarso rilievo.
In verità, l’Europa sta vivendo una metamorfosi politica generale. La destra e la sinistra devono affrontare la sfida dei movimenti populisti e di protesta, che turbano più o meno gravemente — a seconda del tipo di legge elettorale — il sistema dei partiti. Hanno esacerbato e sfruttato la delusione nei confronti dei partiti di governo, il grave disagio sociale e le tante paure di popolazioni in via di invecchiamento, bisognose di protezione. La sinistra deve dunque ripensare i suoi fondamenti, la sua azione, il suo modo di concepire la politica per rispondere alle sfide generate dalle formidabili mutazioni che stanno sconvolgendo e lacerando le nostre società. Data la sua storia, è abituata a queste operazioni di «revisione» che suscitano sempre vivaci polemiche nelle sue fila. L’ultima, negli anni ‘90, fu la Terza via, nata in Gran Bretagna con Anthony Giddens e Tony Blair. Sarà ora la volta dell’Italia, con Matteo Renzi, maestro della comunicazione, pragmatico e iconoclasta? Riuscirà il premier italiano a realizzare tutte le riforme e innovazioni annunciate, che potrebbero allora ispirare altre componenti del Partito socialista europeo? D’ora in poi, è in Italia che si gioca una parte del futuro della sinistra europea.
Traduzione di Elisabetta Horvat

Marc Lazar, la Repubblica 19/6/2014