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 2014  giugno 19 Giovedì calendario

ELOGIO DI JUAN CARLOS NEL GIORNO DELL’ADDIO


Dopo, il re ha ricevuto molteplici manifestazioni di affetto in tutte le sue presentazioni pubbliche, e pochissimi attacchi e polemiche. Io sono sicuro che con il trascorrere del tempo il bilancio degli storici darà sempre più rilievo alla sua figura di statista e finirà per riconoscere che i 39 anni del suo regno sono stati, soprattutto grazie a lui, i più liberi, democratici e prosperi della lunga storia di Spagna. E mi sembra più che giusto dire — lo ha affermato recentemente in un articolo Javier Cercas — che senza re Juan Carlos non ci sarebbe stata la democrazia in questo Paese. È sicuramente così: per lo meno non in modo così pacifico, consensuale e intelligente com’è stata la transizione spagnola.
La mia speranza è che in futuro qualche romanziere spagnolo di respiro tolstoiano si arrischi a raccontare questa storia fantastica. Il regime di Franco, con i cervelli migliori di cui disponeva, aveva ordito la propria sopravvivenza attraverso la restaurazione di una monarchia di taglio autoritario, per la quale il Caudillo e la sua cerchia avevano educato fin da bambino, separandolo dalla famiglia e sottoponendolo diligentemente a una formazione destinata appositamente allo scopo, il giovane principe che le Cortes franchiste, dopo la morte del dittatore, insediarono sul trono di Spagna. Ma nel suo intimo, nessuno sa esattamente in che modo e da quando il giovane Juan Carlos fosse arrivato alla conclusione che il suo dovere, una volta salito al trono, avrebbe dovuto essere esattamente il contrario di quello che era stato preconfezionato per lui: non prolungare — preservando certe apparenze — la dittatura, ma porvi fine e guidare la Spagna verso una democrazia moderna e costituzionale, che aprisse la sua patria a quel mondo da cui era stata praticamente sequestrata negli ultimi quarant’anni e riconciliasse tutti gli spagnoli all’interno di un sistema aperto, tollerante, di legalità e libertà, dove coesistessero pacificamente tutte le idee e dottrine e fossero rispettati i diritti umani.
Pareva un’impresa impossibile da realizzare senza che gli eredi di Franco, che controllavano il potere e contavano ancora — perché mentire — su un forte consenso dell’opinione pubblica, si ribellassero contro questa democratizzazione della Spagna che li avrebbe ridotti all’estinzione e la combattessero con tutti i mezzi a loro disposizione, compresa, naturalmente, la violenza militare. Perché non lo fecero? Perché, con un’abilità straordinaria, conservando sempre le forme più squisite ma senza fare mai un passo falso, il giovane monarca li imbarcò nel processo di trasformazione in modo tale che quando si rendevano conto di aver già ceduto troppo, confusi e sconcertati, invece di reagire stavano già facendo una nuova concessione.
Poco tempo fa, in occasione della sua scomparsa, è stato ricordato con molta equanimità lo straordinario lavoro che effettuò Adolfo Suárez durante la transizione. È verissimo. Ma bisogna ricordare che fu Juan Carlos che con fiuto infallibile scelse come suo collaboratore in questa straordinaria operazione la persona che all’epoca era niente di meno che il Ministro Segretario Generale del Movimento, cioè dell’insieme di organizzazioni e istituzioni politiche del regime franchista. Nessuno deve sminuire, questo è certo, l’importanza che ebbero praticamente tutte le forze politiche del Paese nella transizione pacifica della Spagna dalla dittatura alla democrazia. Ma nessuno dovrebbe nemmeno dimenticare che chi, fin dal principio, concepì, promosse e portò a buon fine questo processo, fu il monarca. Senza re Juan Carlos una transizione pacifica, consensuale e intelligente non sarebbe stata possibile.
Ecco perché la Spagna su cui regnerà Filippo VI oggi è sostanzialmente diversa da quella del momento in cui morì Franco: una democrazia moderna e rispettata, un Paese libero, solvente e istruito, che si colloca tra i più avanzati del pianeta. Non dobbiamo dimenticarci che tanta parte di tutto questo è merito del monarca che oggi si ritira per essere sostituito dal suo erede.
È vero che il principe Felipe è stato preparato a puntino per il difficile compito che si assumerà. È vero anche che la Spagna di oggi vive problemi enormi (il primo e più grave dei quali sono le minacce di secessione che potrebbero farla sprofondare in una crisi dalle conseguenze incalcolabili) e che, anche se in una monarchia costituzionale il monarca regna ma non governa, le sfide con cui dovrà confrontarsi metteranno a dura prova tutte le conoscenze e le esperienze che ha acquisito nel corso della sua impegnativa formazione. La cosa più importante è che il nuovo re, attraverso i suoi gesti, le sue iniziative, il suo tatto e comportamento, mantenga viva nella società spagnola l’adesione, ancora molto radicata, verso la monarchia costituzionale. Non è vero che se c’è la democrazia conta poco se un regime sia repubblicano o monarchico. Non quando il problema dell’unità del Paese è così grave come è oggi in Spagna. La monarchia è una delle poche istituzioni che garantiscono quell’unità nella diversità senza la quale rischiamo di assistere alla disintegrazione di una delle civiltà più antiche e influenti del mondo. In tutte le altre la divisione, l’astio, il fanatismo e la miopia politica hanno gettato già i semi della frammentazione. Tutti, ognuno col proprio granellino di sabbia, dobbiamo aiutare sua maestà Filippo VI a riuscire nell’impresa di mantenere la Spagna unita, diversa e libera com’è stata in questi ultimi 39 anni.
© Derechos mundiales de prensa en todas las lenguas reservados a Ediciones E-L P-AÍS, S-L, 2-014 © Mario Vargas Llosa, 2-014 (Traduzione di Fabio Galimberti).

Mario Vargas Llosa, la Repubblica 19/6/2014