Michele Serra, la Repubblica 19/6/2014, 19 giugno 2014
DALLE PERIFERIE ALLA TECNOLOGIA COM’È MODERNA LA MATURITÀ
Già da qualche anno i temi della maturità vengono accolti come un test sul grado di “modernità” della scuola italiana. Quasi che la fatiscenza delle sue strutture e la penuria economica rischino di inchiodarla alla rupe dell’arretratezza. Poi però ci si accorge — sempre da qualche anno — che i temi della maturità non sono poi così male; che i pori della scuola italiana non sono così occlusi, e respirano la società più di quanto si possa temere.
E viene semmai da domandarsi se non sia la società a doversi sentire in debito con una scuola che, nonostante ripetuti maltrattamenti e negligenze, almeno per la vetrina solenne della maturità si fa trovare piuttosto in spolvero, attenta al mondo, per giunta con un approccio critico non sempre rintracciabile nel flusso ordinario della comunicazione.
Versato a Quasimodo il tributo alla gloriosa tradizione filologico-letteraria dei licei italiani, tutte le altre tracce rivelano un’intenzione “politica” nel senso migliore del termine: cercare di mettere a fuoco i propri pensieri all’interno di una vicenda collettiva, di una storia comune. Così per il bel tema sulle periferie e sull’Italia da rammendare di Renzo Piano. Che è stato un argomento da pagine culturali dei giornali, destinato alla fascia “alta” del Paese, se non alle sue élite politico- culturali. Ma ora la ribalta della maturità lo rilancia sulle prime pagine e quasi lo “popolarizza”, proponendolo a centinaia di migliaia di studenti (non tutti aspiranti urbanisti o architetti o senatori a vita) e riproponendolo a milioni di lettori. Che grazie alla scuola possono rifare memoria su alcuni nodi di quella corda attorcigliata che siamo.
In questo senso la scuola mostra di credere, come è per altro suo dovere, che i maturandi siano, nel loro complesso, futura classe dirigente e/o futuri cittadini informati dei fatti. E come tali meritevoli di affrontare quei nodi, al netto del vecchio eterno mugugno studentesco: “ma nel programma non se ne parlava”. Che assomiglia tanto al vecchio mugugno impiegatizio “non è di mia competenza”, e che la scuola fa benissimo a ignorare.
Di Italia da aggiustare e risanare si parla però nei luoghi meno sciatti del web, della televisione e dei giornali (in ordine di frequentazione tra i ragazzi), nonché nei luoghi meno malfamati della politica. Materiale didattico importante almeno quanto libri di testo e dispense, per giunta dotato del fascino aggiuntivo di poter essere frequentato in scioltezza e non per obbligo.
Ugualmente presente nel discorso pubblico è la pervasività della tecnologia, altro argomento che fa tornare la voglia di avere diciotto anni per poterne parlare da nativi digitali, al riparo dei pregiudizi anagrafici. Traccia tecnico-scientifica così suscettibile di un approccio umanistico che viene la curiosità di sapere quanti, tra gli studenti “non scientifici”, lo hanno scelto.
Quanto agli altri temi, dalla traccia artistico-letteraria sul dono a quella storica sull’Europa nel centenario della Grande Guerra, da quella socio-economica sulle nuove responsabilità ambientali e sociali a quella politica su violenza e non violenza, era possibile affrontarli a partire da una notevole griglia di letture di supporto, non tutte di facile comprensione: Amartya Sen, Attali, Enzo Bianchi, Adorno, Deledda, Galimberti, Aime, Irigaray, Benjamin, Arendt, Gandhi, Luther King e molti altri. Ne deriva che la scuola ha fiducia nei suoi studenti, ritenuti all’altezza di argomenti importanti e difficili, e di un approccio decisamente intellettuale alle questioni del mondo. Che a questo approccio li abbia davvero condotti per mano, lungo gli anni, è tutto da stabilire. Rimane il fatto, consolante, che almeno per i temi di maturità non è stata abbassata l’asticella per facilitare il salto.
Michele Serra, la Repubblica 19/6/2014