Francesco Viviano, la Repubblica 14/6/2014, 14 giugno 2014
“TUTTO BENE...”, POI IL SILENZIO IN VIAGGIO CON DELL’UTRI DA BEIRUT AL CARCERE DI RIINA
BEIRUT.
È notte fonda in Libano quando l’ex senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri lascia l’ospedale Al-Ayat di Beirut dove si trova detenuto dal 12 aprile. I suoi angeli custodi, sei giovani militari libanesi con i quali Dell’Utri ha ormai familiarizzato, lo accompagnano con il cellulare che staziona da giorni sotto la clinica fino all’aeroporto di Beirut. Lì ci sono sei agenti italiani dell’Interpol e un medico della polizia che lo prendono in consegna e di fatto lo “arrestano” notificandogli il decreto di esecuzione pena della Corte di Cassazione che il 9 maggio ha confermato la sua condanna a sette anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa.
Prima di salire sul volo Alitalia diretto a Roma i poliziotti libanesi lo salutano: “Ciao Marcelo”, proprio così con una elle in meno. E sono le 2,30 del mattino quando “Marcelo” viene imbarcato per primo, passeggero “speciale” ma senza manette, sull’aereo sorvegliato dagli uomini dell’Interpol. Sembra in buona salute ma provato. Quelli lo sistemano negli ultimi sedili del velivolo. E lui lì aspetta il decollo di quello che, per, quello, per sette anni almeno, sarà il suo ultimo volo.
Diretto a Roma, ma il viaggio proseguirà poi fino al carcere di Parma dove, da ieri pomeriggio, l’ex braccio destro di Silvio Berlusconi è detenuto. Nello stesso carcere dove è recluso anche il capo dei capi di Cosa Nostra, Totò Riina: l’uomo che secondo l’accusa, avrebbe mediato proprio con Dell’Utri per procurare “protezione” al leader di Forza Italia prima che entrasse in politica, quand’era ancora “solo” un ricchissimo imprenditore, e che impose l’assunzione del defunto boss Vittorio Mangano come “stalliere” nella villa di Arcore.
A bordo dell’aereo che riporta “Marcelo” in Italia ci sono anche alcuni giornalisti e la figlia Margherita.
Ci avviciniamo, riusciamo a scambiare qualche battuta e a filmarlo. Lui legge un quotidiano italiano e quando gli chiediamo come va risponde con un mezzo sorriso, «Tutto bene...», ma non è così, non è disponibile come quando Repubblica riuscì a entrare nella sua stanza d’ospedale a Beirut per intervistarlo e lui aveva sorriso e risposto: «Meglio il carcere che una brutta malattia in ospedale».
Ma oggi quel sorriso si è spento, Dell’Utri appare teso, continua a leggere il giornale, è già l’alba ma non chiude occhio per tutta la durata del volo. Fino all’atterraggio a Fiumicino. Ore 6,45 e sulla pista ad attenderlo gli uomini della Dia di Palermo, gli agenti della Polizia Penitenziaria e i poliziotti della Polaria che per un paio d’ore lo ospitano nei loro uffici. Formalità burocratiche da sbrigare: identificazione, foto segnaletica, poi la notifica dell’arresto deciso il 7 aprile scorso per “pericolo di fuga” e quella della condanna a sette anni.
Dell’Utri non dice una parola, esegue le disposizioni in silenzio, mentre la Dia gli sequestra la valigia che la polizia libanese ha riconsegnato agli italiani, quella stessa che era stata sottratta al momento dell’arresto nel lussuoso Hotel Phoenicia di Beiut dove Dell’Utri avrebbe soggiornato dal 3 marzo quando raggiunse il Libano con un volo da Parigi. E poi documenti, carte di credito, libretti degli assegni, pen drive, agende e telefonini che potrebbero chiarire alcune cose relative ai presunti appoggi che l’ex senatore avrebbe avuto in Libano. La Dia sequestra anche quel che resta dei 30 mila euro che l’ex senatore si era portato appresso in contanti. Ovvero, 25 mila euro, gli altri li ha spesi per pagare il conto dell’albergo. Somma comunque importante, che supera quella consentita per chi va all’estero e questo potrebbe provocargli un altro guaio giudiziario.
Poca roba in confronto ai sette anni di reclusione che dovrà scontare nel carcere della Burla di Parma, dove arriva alle 15,44, dopo un viaggio di 5 ore a bordo di un’ambulanza scortata dalla polizia. Lo chiudono in una stanza singola del reparto medico del penitenziario. Lontano da quella dove si trova Totò Riina. E lì nessuno lo saluta più con quel “Ciao Marcelo”.
Francesco Viviano, la Repubblica 14/6/2014