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 2014  giugno 18 Mercoledì calendario

PICCOLO MONDO CON BARACK


MI TELEFONA IL DIRETTORE DELL’U. E MI DICE «Hai visto Obama, hai visto che al funerale di Mandela ha stretto la mano al fratello di Fidel Castro? Hai visto il video? Non ti sembra una cosa epocale?»
«Cavoli sì, mi sembra una cosa epocale», dico io. «Talmente epocale che mi sovrasta e lo so che mi chiami per farmi scrivere e non solo per domandarmi se mi sembra epocale, quindi così su due piedi, Luca caro, ti direi che il tema è immenso e io sono impreparata, questa è una cosa mondiale, io sarei più minimalista, lo sai. Di mio, voglio dire, sono più minimalista, più di paese».
«Dai che è una cosa bella, trenta righe. Sessanta, dai».
«Sessanta? Sessanta righe? Ma io sto sui 140 caratteri, ultimamente. Lo sai, sono sempre lì che fetecchio su Twitter. A voi della carta vi ho abbandonato... Ora cinguetto e basta».
«Uh, ma chi ci crede! Dai, i grandi nemici, di fronte al grande uomo della riconciliazione!»
Tento le solite lagne: che sono scrittora e non giornalista e quindi totalmente incapace di rapidità di esecuzione, incapace di affrontare temi che non siano di narrativa, critica letteraria, antifascismo, donne, analisi sociale e culturale del berlusconismo, documentari di amiche mie e spettacoli teatrali da me scoperti e solo da me fino allora visti, incapace di confrontarmi con qualcosa che esca dai confini della regione in cui mi trovo.
Tanto non attacca, perché una decina di anni fa era proprio Luca che chiamavo, quando ardevo di commentare le porche gesta di Bush che sparacchiava in giro per il mondo. E poi, lo ammetto, ho passato ore a guardare foto di Mandela e leggere su Twitter news da Johannesburg e da Soweto, e già le resistenze cedono e la sua idea di uscire, ogni tanto, dal commento delle nostre miserie locali, comincia a tentarmi.
Accetto. «Mandela ha fatto il miracolo? Una cosa così? Vuoi una cosa così? Ma il video si trova?»
«Si trova, Sky sta mandando la scena in loop, accendi che la trovi».
E insomma io accendo e la scena su Sky naturalmente non c’è più; comincio ad agitarmi, avrò solo delle foto da guardare? E sta scena con Obama che torna indietro a ribadire la sua volontà di riconciliazione? Dov’è, mi serve assolutamente: è diverso da una semplice photo opportunity. Cerco nei siti nei giornali, trovo una sequenza di scatti in cui Obama appare elastico, sorridente e fico come sempre. Bene. Il materiale ce l’ho, la notizia pure. E, mister Obama, è sempre un piacere.
Però, prima di mettermi a scrivere, devo andare a prendere un figlio a scuola.
E sono problemi.
Sono problemi perché l’ho rifatto. È vero, non lo facevo da anni (avevo giurato, piagnucolando da sola: non lo farò più, mai più) poi, però, un bel giorno mi sono detta: ma no tranquilla, ora ho le spalle più larghe, una certa maturità. Esperienza. So come va. Non è niente, anche se qualcuno si incazza, poi passa. E, anzi, alla lunga, te ne sono grati; col senno di poi, capiscono.
È sul medio e breve periodo, però, che permangono i problemi, sorgono le rogne.
Ma devo dire cosa ho rifatto: ho riparlato di un microcosmo. Non riparlato e basta, non così semplice: ne ho scritto. Ne ho scritto in un libro. E il libro adesso è uscito.
Ogni volta che mi succede, mi maledico e mi vengono le crisi di panico (non mentre scrivo: mentre scrivo ridacchio, annuisco, vado come un treno, mi dico «È un romanzo, è tutto romanzato, nessuno si riconoscerà, cambio i nomi, il colore dei capelli, mischio, cambio le carte in tavola; queste sono cose che succedono a tutti: mica solo alla signora X o al signor Y! Sono le storie di sempre, vecchie come il mondo!»). Poi si avvicina l’uscita e mi do della deficiente perché dovrei saperlo che quelle cose verranno pubblicate e lette, almeno da qualcuno verranno lette, e non sono solo fantasmi che mi fanno compagnia di notte mentre riempio pagine e cartelle, sposto blocchetti di righe, piazzo virgolettati, cambio le carte in tavola o sciolgo grumi di testo...
E, insomma, dopo la Bologna degli studenti punk fuorisede che all’uscita del mio primo libro mi hanno cacciata dall’Isola del Cantiere (anche se già era stata sgomberata), cacciata metaforicamente, ma neanche troppo visto che un amico ha dovuto portarmi via di peso da un locale un attimo prima che quelli mettessero mano a mazze e forconi; dopo la cerchia delle zie che, dopo il libro su nonna, mi hanno cazziata al grido di «Hai fatto una cosa scorretta, mescolato fantasia e realtà, travisato, inventato, esagerato! Tu sei andata via ma noi qui viviamo, in paese, è un piccolo mondo!, e adesso la gente penserà che quelle pazze isteriche siamo veramente noi!», E io: «Perché, non lo siete?» e poi bum!, giù il telefono per sempre (che non sto a spiegare che è un romanzo, quindi certo che è inventato, travisato, esagerato, lo sanno benissimo: sono lettrici forti, ma tanto è dall’infanzia che sostengono che mia sorella ed io siamo delle cafone e delle eversive guastatrici quando sanno benissimo chi è che fa i casini ed è specialista in litigi, in quella famiglia, cioè loro sorelle nostre zie più nostra madre che è primogenita, e nonna, quando c’era, più di tutte loro nonna, loro e solo LORO, non NOI, non IO); dopo lo spavento che mi sono presa a ficcare la storia della famiglia di un amico mio scrittore in un libro mio tranquilla perché lui l’aveva già raccontata («Sì, ma in un libro suo, mica nel libro tuo!»),
INSOMMA, devo andare a prendere il figliolo nella scuola di cui ho appena svelato teatrini, denunciato intrighi, raccontato mattinate dei genitori, tempi morti, collette. Insomma, mondo della scuola. (...)
Tanti anni fa ho lasciato il mondo piccolo per quello che si crede più grande ma che in realtà è l’insieme di tanti altri piccoli. Così c’è stato il mondo degli studenti fuorisede a Bologna con le loro case temporanee e condivise. Il mondo del centro sociale occupato Isola nel Cantiere. Il mondo giovane raccontato da Pazienza e Tondelli. Il mondo accademico dell’Università: il mondo delle Lingue e Letterature Straniere moderne, mondo francese e mondo inglese, mondo angloamericano e mondo quebbechese. Mondo di lezioni e di appelli, di bibliografie e romanzi e racconti belli.
Mondo di via Zamboni. Crolla il Muro e il mondo non è più diviso in due. Prima ancora, piazza Tienammen e il mondo sembra più piccolo perché la Cina, naturalmente, è vicina e gli studenti sono studenti in tutto il mondo.
Poi mondo di guerra, del Golfo. Da non credersi. Non era così che doveva tornarsi a parlare di mondo.
Dopo quel mondo lì, c’è stato il mondo di Milano che è il mondo di adesso. È arrivato un bimbo, poi un altro. Il mondo è chiuso nelle pareti di una sala parto, di un rooming-in, di una nursery. Il mondo è tutto lì ed è un mondo bellissimo, prezioso.
Così il mondo si ribalta, si rinnova, rifiorisce. La notte è giorno e il tempo è quello delle poppate, delle pappe, dei pannolini, delle passeggiate, del linguaggio che rinasce.
Dei giochi, delle storie, dei personaggi animali.
Poi, di nuovo, è il mondo della materna,
il mondo delle elementari,
il mondo delle medie,
il mondo del liceo.
Ma visti da un’altra prospettiva: quella del mondo dei genitori.
Mondo da riraccontare. E io sono qui per questo.
Ogni tanto il piccolo, vecchio mondo di giù si fa risentire. Qualche volta ha la voce dell’amministratore del condominio che mi dice che c’è un finestrone delle scale da cambiare (per me fanno 300 euro), o la fossa settica da bonificare, o che i lavori di rifacimento delle facciate non sono venuti tanto bene pur essendo costati... non lo dico per non spaventarmi. Oppure sono qui che discuto con il direttore dell’U. convincendolo dell’inopportunità di un mio intervento sulla nomina delle donne operata dal premier Renzi, visto che sulle quota rosa si son comportati invece in quell’altro modo, e mi arriva una mail del consorzio di bonifica di giù che mi ricorda di pagare la quota annuale di... non lo dico per non spaventarmi. Ogni tanto accanto a queste cose, c’è un capitolo da finire, un racconto da chiudere, da rimpolpare. Nell’ultimo libro che ho scritto a un certo punto ho citato una vecchia pubblicità di una mutua, quella del circo con la donna volante che sparisce e lo sputafuoco depresso che dà fuoco al tendone, il cui claim recita: «Grande o piccolo che sia, il tuo è un mondo fantastico». È una vecchia pubblicità ma ce la volevo mettere, come volevo metterci la mamma della biblioteca a cui ho cambiato il colore dei capelli e il signore di quella elegante espressione hardboiled che non nominerò mai più altrimenti domani mi tocca mettermi i baffi finti per andare a scuola.
Oh, comunque, quel video dello stadio di Johannesburg l’ho recuperato, poi, da Sky, e, credetemi: lascia perdere che dopo s’è fatto un selfie come uno qualunque di noi twittatori, ma come sale le scale Obama davanti a tutto il mondo, non le sale nessuno.