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 2014  giugno 18 Mercoledì calendario

PRIGIONIERI SOTTO LE FIAMME IN UNA MINIERA BELGA


[9 agosto 1956]

Marcinelle, 9 agosto (mattina)-Poche speranze si nutrono ormai di trovare ancora uomini vivi tra i 273 minatori che sono da ieri mattina sepolti vivi nel tragico pozzo del Bois du Cazier. Questa notte i soccorritori sono arrivati a 905 metri di profondità, superando ogni limite posto alle possibilità umane, lottando contro muraglie di fuoco e di cemento armato, e in quel punto lontano, nelle viscere della terra, li attendeva per arrestarli, non solo il fuoco, ma anche una frana.
Tra i soccorritori e i sepolti vivi si è aggiunto così questo nuovo tremendo ostacolo, che rende assai labile ormai ogni speranza di giungere in tempo al tragico piano 1035 dove i sepolti vivi lottano forse ormai con la morte respirando le loro ultime risorse di ossigeno.
Intorno alla tragica miniera, avanti alle cancellate presidiate da un cordone di polizia, si addensa da ieri la folla disperata delle madri, delle mogli, dei bimbi, avvolti nelle coperte per ripararsi dal freddo intenso di questa notte di agosto.
Volti convulsi per l’ansia, occhi che proiettano sguardi di terrore oltre gli sbarramenti della polizia, verso la fonte del fumo denso che da ore ed ore continua ad accumularsi nel cielo buio, gravato da una nebbia gelida e densa. Di tanto in tanto si vede tra tutta quella gente immobile, un po’ di movimento, si ode una esplosione di singhiozzi, altre voci disperate rispondono. E’ una donna che non ha saputo resistere alla tragica tensione, ed ha lasciato sgorgare dalle labbra la disperazione che le preme nel cuore. E sono spesso voci italiane, dolorose espressioni dialettali, invocazioni alla misericordia divina perchè compia il miracolo e dia salvezza a quei 273 uomini che sono prigionieri lontano, nelle viscere della terra, bloccati laggiù da una insuperabile barriera di fiamme e di fumo.
CORTO CIRCUITO
Di quei duecentosettantatre minatori, centotrentacinque sono italiani, centosette belgi, 31 di altre nazionalità, in gran parte greci. La loro salvezza è legata ormai a un filo: al funzionamento degli impianti di aereazione dei piani sottostanti all’incendio, alla loro capacità di resistenza al calore insopportabile emanato da quelle fiamme sovrastanti a loro, che non è possibile spegnere con l’acqua per timore di allagare il pozzo ove essi si trovano.
Tutto è cominciato ieri mattina dopo le otto, quando non si sa come un vagoncino, svincolatosi, è precipitato sul fondo del pozzo, e nella sua corsa ha travolto un cavo elettrico e lo ha spezzato, provocando un corto circuito.
Pochi minuti dopo alcuni operai che lavoravano a un nuovo pozzoin costruzione, adiacente a quello della sciagura, hanno dato l’allarme: essi avevano visto levarsi un gran fumo dal ripiano 765, poi erano stati raggiunti da sette uomini che, trovatisi nei pressi dell’ascensore, erano riusciti a fuggire innanzi alle fiamme, e tutti insieme erano risaliti alla superficie. Le fiamme avevano devastato immediatamente tutto il piano, il pozzo di estrazione e il pozzo di aereazione avevano probabilmente funzionato da caminetto favorendo il «tiraggio» delle fiamme: il calore aveva fuso i cavi di uno dei montacarichi, mentre l’altro era immobilizzato dal carrello precipitato, incastratosi negli ingranaggi: la unica salvezza per tutta quella gente disseminata nelle viscere della terra era chiusa. Per ore ed ore le squadre di soccorso hanno tentato febbrilmente di liberare il montacarichi bloccato dal carrello di carbone, mentre un’altra squadra di soccorso cercava di allargare la stretta apertura che collega il pozzo in cui è scoppiato l’incendio al pozzo in costruzione. Si era appreso che i ventilatori del pozzo funzionavano regolarmente: e ciò faceva sperare che fosse assicurata una respirazione per quanto possibile regolare ai minatori bloccati. Le squadre di soccorso intanto procedevano lentamente nella difficile discesa nelle viscere della terra, cercando di raggiungere i minatori rimasti bloccati.
Tra i soccorritori e sepolti vivi si levava, come del resto si leva ancora dopo tante ore di vario lavoro, la muraglia delle fiamme. Un odor di legna bruciata si diffonde nell’aria e una polvere nera ricade, in fini particelle, sulla folla ammassata dinanzi ai cancelli della miniera.
CALORE INSOPPORTABILE
Dopo diverse ore di sforzi inauditi, le squadre di soccorso erano ancora lontane dal ripiano 765; esse sono giunte a meno di duecento metri di profondità e il calore a quel punto era insopportabile, costringendo i soccorritori a tornare indietro. I loro stivaletti di gomma si erano fusi per il calore.
Quando la prima squadra di soccorritori è tornata alla superficie, uno di essi ha detto con volto grave: «Avranno qualche probabilità di salvezza se riusciranno a raggiungere i 635 metri di profondità. A tale livello essi si troverebbero sopra l’incendio e potrebbero beneficiare dell’aria che giunge dalla superficie».
Oramai era evidente che ogni tentativo di raggiungere i sepolti vivi attraverso il pozzo stesso ove era avvenuta la sciagura non offriva possibilità di riuscita. E tutti gli sforzi sono stati orientati sull’altro tentativo, che contemporaneamente si era iniziato fin dal primo annuncio del disastro: quello di raggiungere i ripiani sottostanti all’incendio attraverso il pozzo vicino in costruzione: quello per il quale si erano salvati i primi sette uomini. Infatti per questa via, lavorando in mezzo al fumo soffocante, in un calore infernale, dopo otto ore di lavoro le squadre di soccorso hanno raggiunto la profondità del pozzo dove si pensava che fosse avvenuto il sinistro. (...)
Da ogni parte convergevano verso la miniera ambulanze e nuove squadre di soccorso. Sul posto erano il governatore della provincia e tutte le autorità locali, mentre l’Incaricato d’Affari della Ambasciata d’Italia, fin da stamane, subito dopo il primo annuncio della sciagura erano accorsi per dare il loro aiuto nell’opera di soccorso, e la loro assistenza alle famiglie.
Nelle viscere della terra, al piano 765 del nuovo pozzo, si lavorava senza tregua a scavare nella muraglia. Gli uomini si succedevano senza sosta nel breve posto in cui si poteva far funzionare i martelli. Per ore e ore si è continuato a scavare nel pozzo adiacente alla tragica prigione, contro quella muraglia di cemento armato spessa due metri che separava i salvatori dei sepolti vivi. A un certo punto, si era avuta la sensazione che dei colpi rispondessero dall’altra parte. Qualcuno era vivo. Oltre la muraglia, i soccorritori sapevano che avrebbero trovato una breve discesa sino al piano 830.
Erano le 16,30 quando le squadre di soccorso sono giunte, attraverso il passaggio, fino a un gruppo di sei minatori, di cui tre già morti e tre semi asfissiati ma ancora in vita. Si trattava di un piccolo gruppo di uomini che, all’inizio dell’incendio avevano cominciato a dirigersi in direzione del nuovo pozzo. Le fiamme però a poco a poco avevano guadagnato terreno e li avevano raggiunti.
Alla superficie, si videro avviarsi frettolosamente verso l’ingresso del tragico pozzo autoambulanze e barellee si pensò che ormai si fosse alla fine della disperata attesa(...).
Piero Accolti