Michele Masneri, Rivistastudio.it 16/6/2014, 16 giugno 2014
Le interrogazioni non servono a niente – Si parte per questa École 42, la misteriosa scuola per programmatori totalmente privata, non riconosciuta dallo Stato francese, fondata e totalmente finanziata da Xavier Niel proprio il lunedì mattina in cui la Francia si risveglia dopo lo choc elettorale delle europee
Le interrogazioni non servono a niente – Si parte per questa École 42, la misteriosa scuola per programmatori totalmente privata, non riconosciuta dallo Stato francese, fondata e totalmente finanziata da Xavier Niel proprio il lunedì mattina in cui la Francia si risveglia dopo lo choc elettorale delle europee. Il luogo: XVII arrondissement, nord di Parigi, su una specie di grande raccordo anulare. Piove, si cerca questo edificio ipermoderno dove Niel ha investito 70 milioni di euro per creare una scuola che formasse una nuova classe di informatici. Usciti dalla metropolitana, incasinata e ritardata con disagi quasi romani, si arriva alla Porte de Clichy e si percorre Boulevard Bessières; ecco un enorme edificio, grigio, anni Sessanta, con un’architettura da socialismo reale. Non può essere quello: è infatti il liceo Balzac, il più grande di Parigi. Sembra il Grand Budapest Hotel, dopo la cura socialista. Poi, subito dopo, un edificio di tre piani, ultramoderno, ancora in costruzione, con operai che escono e camioncini. Ragazzi dall’aria stralunata fuori in felpa e cappuccio. Fumano. Si entra. Una hall con un’entrata tipo aeroporto, con affreschi di street art e arte contemporanea alle pareti. Gli studenti hanno un loro badge, possono entrare giorno e notte, la scuola è aperta 24/7. È partita nel novembre scorso, il nome deriva dal romanzo di fantascienza di Douglas Adams, Guida galattica per gli autostoppisti, in cui «42» è la risposta alla «grande domanda sulla vita, l’universo e tutto il resto». È una scuola senza professori,senza esami, che non rilascia diplomi. Per entrarci non è necessariala maturità né curriculum né titolo di studio. Unici requisiti: avere tra i diciotto e i trent’anni, la passione per l’informatica, ed essere disposti a studiare-lavorare anche quindici ore al giorno. E avere talento. Dura tre anni: il primo anno si lavora su C/C++, il secondo anno su altri linguaggi come Sqle Java. Il terzo su applicazioni mobili e reti. Ci sono poi due anni opzionali, che sono centrati sulla creazione della propria impresa e su progetti innovativi. Il motto della scuola è «born to code» e punta a formare una nuova generazione di programmatori in grado, come dice la nostra guida, Nicolas Sadirac, il direttore, di «guidare la transizione del decotto panorama industriale francese verso l’informatica». Quarantacinque anni, fisico roccioso da gallo, capelli lunghi e barba biondiccia, felpa, Sadirac ci fa fare un giro per l’edificio: 4.200 metri quadrati, tre piani più un sottosuolo dove stanno allestendo un ristorante. Operai stendono cavi. Sale per videogiochi. Uno studio per riprese video con green screen. All’ultimo piano, una specie di centro di controllo, l’Administration, dove stanno i trenta professionisti stipendiati, guai a chiamarli professori, che sovrintendono alla scuola. Sotto, aule gigantesche con mille iMac da 27 pollici per altrettanti studenti. E poi stanzette buie, con fuori accatastate sneakers e giubbotti e calzini, e Sadirac fa segno di non fare rumore. «Stanno dormendo. Ieri sera hanno finito un’esercitazione tardi». A 42 infatti si può anche dormire, ci sono grandi bagni per fare la doccia, anche se ufficialmente gli studenti “riposano”, perché la scuola non ha l’autorizzazione per tenere gli studenti la notte. Sadirac è un guru dell’informatica in Francia: è stato direttore prima di Epita e poi di Epitech, due tra le grandi scuole private più importanti del Paese. Ma è una piccola leggenda anche tra gli hacker. È grande amico di Xavier Niel, che l’ha chiamato a fondare 42. «Ci siamo conosciuti in carcere» dice ridendo. Niel era in prigione per una storia di “proxénétisme”, cioè sfruttamento della prostituzione, perché azionista in due locali a luci rosse. Sadirac, invece, era stato fermato per le sue attività di hacker: tra le sue imprese, aver violato i codici di una centrale nucleare francese, quelli del caccia militare Rafale, e aver modificato in diretta televisiva il curriculum del ministro dell’Interno François Fillon (anche Niel aveva una passione per queste cose: lui riuscì a violare il telefono dell’auto di Mitterrand presidente della Repubblica). L’attività di hacker di Sadirac è parallela a un percorso scolastico che l’ha portato a creare la sua “pédagogie”. Nato in Ciad dove il padre era militare, studi a casa, con una mamma professoressa; un buon liceo classico in Francia, tradizionale, dove però si distingue soprattutto per la passione per il rugby; gioca nel Racing Club, in nazionale, con cui vince il campionato, va in viaggio premio negli Stati Uniti, un amico dei suoi fa il ricercatore a Ucla, lì partecipa alle Olimpiadi di Matematica, arriva ottavo, e ottiene una borsa per Stanford, in fisica nucleare. Poi un master e un dottorato in fisica, ma si intristisce; «un mio professore preparava con grande entusiasmo un esperimento che avrebbe avuto luogo 50 anni dopo, e lui ne aveva 60… Era tutto abbastanza deprimente». Dunque parte per il Giappone, dove va a lavorare alla Sony. Nel frattempo studia un po’ di informatica. Torna in Francia, dove c’è una scuola privata che si chiama Epita, dove diventa professore di informatica, nel frattempo dedicandosi all’hacking, e diventando un’autorità nel campo della sicurezza. «Tenevo un corso che si chiamava ottimizzazione di performance: e degli studenti nessuno capiva assolutamente nulla. Era una cosa sul calcolo delle probabilità. Poi un giorno arrivano delle persone di Carrefour, che avevano bisogno in pochissimo tempo di un software per ottimizzare la gestione delle casse, per velocizzare le file. Io pensavo che non ce l’avremmo mai fatta, e invece gli studenti, che pensavo totalmente schiappe, risolvono il problema». Lì capisce che «serve un progetto, che le interrogazioni non servono a niente, e neanche i compiti in classe». Epita si trasforma, abolisce gli esami, solo progetti, gli studenti vanno improvvisamente meglio. «Capisco che agli studenti serviva qualcosa di utile e concreto. Prendono fiducia in loro stessi, si responsabilizzano, vedono che il loro studio serve a qualcosa di concreto». Nel frattempo Sadirac nel 1994 fonda Intrinsec, che ancor oggi è leader in Francia nel settore del software della sicurezza. Lascia la sua scuola e va a dirigere Epitech (École pour l’informatique et les techniques avancées) oggi la scuola privata più grande di Francia, con sedi in California e a Pechino. Poi però arriva la chiamata di Niel: «Mi dice: Nicolas, se tu non avessi paletti né problemi di budget, che tipo di scuola faresti?». L’obiettivo di Niel è formare al meglio il numero maggiore di studenti capaci di traghettare l’industria francese nell’era del digitale, perché la Francia deve capire che il tempo dell’industria pesante è finito. «La Francia è ancora la quinta potenza economica mondiale, ma solo la ventesima per quanto riguarda l’economia digitale. Quando saremo al quinto posto anche nel digitale, il problema della disoccupazione non esisterà più» si legge nel “manifesto per la Francia” di 42. La ricetta di Sadirac: una scuola senza professori, senza gerarchie, una Montessori (nome che lui cita spesso) applicata alla new economy. Alla larga da retoriche modaiole, la parola “startup” nella nostra conversazione di più di un’ora compare solo una volta. «Siamo nel pieno di un cambiamento industriale epocale» spiega Sadirac mentre ci sediamo in una candida sala riunioni con un muro vegetale, e beviamo un caffè mentre operai passano silenziosamente (l’edificio è ancora in fase di completamento). «In Francia il 25 per cento dei giovani non ha lavoro; nel frattempo, le aziende informatiche devono cercare all’estero i talenti, perché qui non se ne trovano». Un paradosso che nasce proprio dalla formazione. «Oggi gli informatici francesi vengono da un 10 per cento della popolazione, quella che si può permettere le grandi scuole; non è un sistema rappresentativo, è un sistema che esclude il 90 per cento della popolazione». «Barriere all’ingresso: che derivano da scelte fatte dalle famiglie, perché magari quando avevano dodici anni i genitori non avevano i soldi per pagare loro le lezioni private; da queste scelte si forma la classe dirigente, non da altro, non certo dal fatto che siano più o meno intelligenti. Deriva dal fatto di venire da una famiglia della borghesia, che considera automatico farti proseguire le scuole». Ma a 42 non si fa politica, né volontariato. Qualcuno ha inteso l’iniziativa di Niel e Sadirac come una sorta di charity da parte di un imprenditore che ha fatto molti soldi e molto velocemente. Non è così. «Non abbiamo fondato questa scuola per risolvere un problema sociale, non siamo un’opera pia. Ma questo avrà delle conseguenze sociali, naturalmente. Noi vogliamo far crescere l’economia, e da qui ci saranno naturalmente delle ricadute positive, perché le persone che usciranno da qui avranno un impatto, per ogni mille studenti che usciranno da qui si creeranno diecimila posti di lavoro, perché c’è un moltiplicatore della digitalizzazione». «Il fatto è che siamo a corto di talenti: i talenti in Francia escono molto facilmente dal sistema scolastico, che seleziona in base al censo; in Francia se non raggiungi la maturità sei fuori. E attenzione: non è che gli esclusi necessariamente abbiano talento; ma c’è una buona possibilità che molti degli esclusi ce l’abbiano, anche solo per il fatto di essere il 90 per cento della popolazione». «Noi qui avevamo una ragazza che faceva la commessa in un negozio di animali» continua Sadirac, «ha dimostrato di avere un talento assoluto, Xavier un giorno ci ha parlato,adesso lei ha un’ottima posizione in Free (il colosso di Internet di Niel)». «Niente di male a fare la commessa, ma era un talento sprecato, credo che possa dare un contributo maggiore nel suo ruolo di adesso». L’apartheid scolastico-informatico francese secondo Sadirac deriva da un sistema che ha eliminato i due principi della libertà e della responsabilità: «I francesi dicono che amano molto la libertà ma non è vero, adorano questa parola ma solo in teoria; cercano le gerarchie, cercano sempre un capo che dica loro cosa fare. E questo andava bene per un impero, in un esercito,questo funzionava meravigliosamente con la old economy. Ma oggi non è più così; oggi la logistica non è più al centro della questione; è la creatività che sta al centro». Per un’economia della creatività serve poi puntare sulla responsabilità: «Se tu vai in una scuola normale francese, tutto concorre a deresponsabilizzare gli studenti, ti dicono cosa studiare, a che ora venire, chi fa cosa e come lo deve fare. Insegnano a essere docili e ligi». A 42 invece, in una apparente anarchia, tra studenti che sonnecchiano buttati nelle loro sale-riposo, si lavora molto duramente, e i gradi bisogna mostrarli sul campo. A partire dalla selezione. «Noi non accettiamo cv e non vogliamo colloqui» dice Sadirac. «L’unico talento che vien fuori da un colloquio è quello attoriale. È chiaro che se ti chiedo ti piace lavorare sotto stress e fare tardi al lavoro e lavorare in squadra, tu mi dirai di sì. Ma preferisco verificarlo facendoti lavorare quindici ore al computer, allora vediamo veramente se ti piace». Come avviene la selezione e come funziona la scuola ce lo spiega Paolo, il suo unico studente italiano. In realtà non si chiama così, ma ci prega di non citarlo perché è stato sommerso di mail quando il suo nome è uscito in una intervista su un giornale francese, da ragazzi che gli chiedevano consigli su come entrare a 42, e «non ho tempo per rispondere a tutti». Anche qui, piccolo equivoco. L’addetta stampa della scuola ciporta da Paolo dicendo che «ha un percorso un po’ particolare», e si pensa per un attimo a storie di disagi metropolitani. Invece: 29 anni, di Varese, una laurea in filosofia (110 e lode) alla Statale di Milano, con tesi su Deleuze, un dottorato iniziato a Lione. Una passione per l’informatica, e la serena consapevolezza che dal mondo universitario italiano non si potesse cavare molto. Occhi a fessura di chi ha passato molte notti davantia un computer, Paolo racconta la sua esperienza in una delle maxi aule di 42, nella distesa di iMac disposti su lunghissimi banchi di legno candido. «Le selezioni funzionano così: primasi fanno dei test online, che sono principalmente dei giochi, dei test di logica. Per il primo anno li hanno fatti in settantamila,li hanno superati in tremila. Chi passa viene qui per quella che è chiamata la Piscine; quattro settimane intensive, in tre sessioni,luglio-agosto-settembre. Sono passati in 750. Nessun corso, nessun insegnante: ma quindici ore al giorno di progetti e test sul computer, massacranti. Si comincia al mattino alle 8:42 e il termine è le 23:42 del giorno dopo. Nessun esame, nessun professore: un tutorial insegna l’esercizio,i ragazzi se li correggono tra di loro con un sistema peer to-peer, che costituisce anche la dinamica delle “lezioni” della scuola. Si arriva la mattina e la prima cosa è trovare online i progetti degli altri da correggere; se non sono a scuola li si contatta,gli si manda una mail, in questo modo vengono anche disincentivati i comportamenti di chi magari vorrebbe starsene a casa. Perché se non trovi nessuno che corregge i tuoi compiti il tuo voto scende automaticamente a zero. Correggere gli altri fa parte degli engagement presi: chi non lo fa viene cacciato». «Ci sono poi i rush», continua Paolo; «progetti complessi che devono essere risolti in 48 ore, che ti vengono assegnati automaticamente insieme ad altri ragazzi, e quindi passi le notti qui». Oltre al peer-to-peer, ci sono poi le valutazioni elettroniche: dei software che correggono automaticamente i progetti dal punto di vista formale della programmazione. In pochi reggono questi ritmi: «Tanti sono entrati perché gli piacciono i videogiochi, e sono anche bravi, poi dopo dieci-quindici ore al giorno mollano, non ce la fanno» dice Paolo. «Io non faccio un weekend libero da un anno, sono dimagrito nove chili, e sono due settimane che non riesco a fare la spesa», scherza. «Nonvedo l’ora di andare in azienda per riposarmi un po’» perché ogni anno sono previsti sei mesi di stage pagato per queste professionalità che sono già estremamente richieste. Sull’intranet della scuola ci sono le offerte di stage, e ogni mese c’è un hackaton, un concorso, in cui le aziende vengono a 42 e mettono in palio dei soldi, o altri premi, per una nuova applicazione. Naturalmente vengono qui in cerca di idee, e di persone in gamba. E non sono solo aziende “amiche”; certo, ci sono sodali di Niel come Jacques-Antoine Granjon, fondatore e ceo di VentePrivée, o Marc Simoncini, fondatore di Meetic, che spesso si affacciano insieme allo stesso Niel. Ma non solo: «Sabato scorso c’è stato un incontro con Microsoft , prima sono passati quelli di Spotify; ma sono venute anche aziende “old economy” come Pernod-Ricard, Lvmh, Société Générale, L’Oréal». «Io volevo insegnare all’università» dice Paolo. «Lavoravo in dipartimento dieci ore al giorno, mandavo candidature ecv, poi mi arriva la classica mail in cui mi dicevano: non ti conosciamo, non sappiamo chi sei. Questo è l’unico posto in cui ho visto funzionare la meritocrazia», dice. «Ero italiano, non conoscevo nessuno, non avevo santi in paradiso. Ci vorrebbe un imprenditore come Niel in Italia. Chi potrebbe essere, disposto a investire una decina di milioni di euro in una realtà del genere?», chiede Paolo. E poi: «Mi piacerebbe che venisse qui Matteo Renzi, per fargli vedere come le cose possono funzionare,come un investimento del genere potrebbe cambiare un po’ le cose». All’uscita, ancora con Sadirac. «Sa cos’era questo edificio, prima?», dice l’ex hacker. «Era l’accademia per gli ispettori scolastici. Abbiamo abbattuto tutto, e ricostruito». Ripensandoci, l’unica cosa che manca in questo edificio futuribile, in un clima da Silicon Valley, è una palestra super tecnologica. «Sono sei mesi che chiediamo al liceo Balzac, i nostri vicini, di poter utilizzare le loro strutture sportive. In cambio gli abbiamo offerto di portargli gratis la banda larga, abbiamo una connessione a 2 giga al secondo. Ma sono sei mesi che siamo in trattative, non se ne esce per problemi di autorizzazioni». Uscendo, i due edifici, sotto la pioggia, quello antico e grigio e quello modernissimo,continuano a non comunicare