Virginia Piccolillo, Corriere della Sera 14/6/2014, 14 giugno 2014
DELL’UTRI IN CELLA A PARMA: NON MI LAMENTO
ROMA — «Non mi posso lamentare. Finché la mente è sana e il corpo la segue va tutto bene. Quindi puntiamo sulla mente». Eccolo Marcello Dell’Utri, nel suo primo giorno di detenzione. Pantaloni azzurri leggeri, una T-shirt bianca, in una cella singola al secondo piano del reparto Cdt (Centro diagnostico terapeutico), profumato di pulito, del carcere di massima sicurezza di Parma, risponde con cortesia ad una visita ispettiva programmata da tempo. «Il viaggio è andato bene. No, non è stato troppo stancante. Non c’è nulla di cui lagnarsi» dice alla consigliera regionale Rita Moriconi, che si è trovata casualmente ad incrociarlo, ed è rimasta sorpresa per come lo ha trovato «riposato, tranquillo, cordiale: in forma». Poi, alzandosi dallo scrittoio in fondo alla cella, oltre il letto, e avvicinandosi alle sbarre ha scherzato: «Temevo fosse una giornalista».
Eccolo il detenuto Marcello Dell’Utri. Dai marmi e gli stucchi del Grand Hotel Phoenicia al supercarcere dei boss. Dopo due mesi di arresti nella clinica Hal Hayat nella capitale libanese, una notte trascorsa sul volo Beirut-Roma e un viaggio in ambulanza Roma-Parma, si conclude così la parabola discendente del cofondatore di Forza Italia.
Da ieri, il braccio destro di Silvio Berlusconi nelle più importanti avventure politico-imprenditoriali, è un semplice detenuto: condannato in via definitiva a scontare 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa per aver fatto da tramite tra l’ex premier e Cosa Nostra. Lì, al carcere della Burla, dove soggiornò Bernardo Provenzano. E dove tuttora risiedono capimafia del calibro di Totò Riina, Francesco Schiavone detto Sandokan e Michele Zagaria. Sia pure in un’altra ala del penitenziario, quella del carcere duro, non quella medica superattrezzata dove starà lui. Una scelta quasi obbligata, del resto, per il Dap. Il Burla è una struttura di alta sicurezza, come richiede il suo reato, ma può assicurare le necessarie cure mediche all’ex senatore 72enne che lamenta condizioni di salute precarie: l’intervento subito mesi fa alle coronarie, il diabete e altro. «Acciacchi» che non hanno preoccupato molto il cardiologo della piccola clinica privata alla periferia di Beirut dove Dell’Utri era ricoverato: «Deve solo rimanere sotto controllo e in una struttura mediamente confortevole», aveva detto alla vigilia dell’estradizione. Un passaggio di consegne avvenuto alle prime luci dell’alba.
Come va? «Non va bene» ammetteva nella notte il fondatore di Publitalia, mostrandosi circondato dagli agenti Interpol. Gli stessi che lo avevano rintracciato durante il suo allontanamento senza preavviso da Palermo alla vigilia della sentenza: per i magistrati un avvio di latitanza, da lui smentita. E beccato, con 30 mila euro in banconote da 50 euro e un voluminoso bagaglio. Ieri, durante la perquisizione del suo bagaglio personale gli agenti della Dia di Palermo, che a Fiumicino gli hanno notificato l’esecuzione della sentenza, hanno ritrovato oltre 25 mila euro (5mila sarebbero serviti per pagare il conto all’Hotel Phoenicia), assieme a 2 libretti degli assegni, 4 cellulari, una chiavetta Usb, carte di credito, agende, oggetti personali e libri. Tutto ora all’attenzione dei magistrati palermitani.
«È un grosso equivoco. Non è mai voluto fuggire. Ma, da arrestato, non poteva tornare» protesta il difensore libanese Azoury, intenzionato a far detrarre i 2 mesi di piantonamento in clinica dal cumulo della pena. Lui no. A bordo del volo Az822 che lo riporta in Italia, protetto dagli agenti dall’assalto dei video, non protesta. A differenza della figlia Margherita, nascosta in una sorta di hijab verde, che, dopo aver sempre parlato di suo padre come di «un uomo eccezionale, altro che mafioso», di fronte ai giornalisti rivendica: «Ci vorrebbe un po’ di rispetto».