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 2014  giugno 18 Mercoledì calendario

IO E WOODY (E AL, E WARREN)


Non è passato neanche un minuto da quando ci siamo incontrati e già Diane 
Keaton mi guarda come se fossi un caso clinico, un campionario di nevrosi da troppe visioni e troppo amore per i suoi film. Nell’ordine le ho già confessato che il suo rapporto con Woody Allen in Io e Annie ha rappresentato nella mia adolescenza il modello per le mie relazioni di coppia (e soprattutto per la loro fine), che la maggior parte delle mie amiche somiglia alla donna intellettuale un po’ incasinata, comica e intelligentissima da lei incarnata, che insomma per me lei è un mito. Diane Keaton ride: «Che bello che abbia avuto anche lei la sua Annie: mi chieda quello che vuole».
Già, ma da dove cominciare? Si potrebbe partire dalla ragione per cui ci troviamo in questa stanza d’albergo a Los Angeles, la commedia romantica Mai così vicini diretta da Rob Reiner, in cui Diane Keaton è Leah, una cantante in crisi perché scoppia a piangere in continuazione parlando del marito morto (nota di servizio: come già in Io e Annie, Diane nel film canta splendidamente). Al suo fianco stavolta c’è Michael Douglas, che è Oren, un agente immobiliare misantropo la cui vita è sconvolta da una nipote bambina che non sapeva di avere.
Oppure si potrebbe cominciare dal look, che oggi comprende unghie optical, una cintura enorme e un foulard: come racconta nella sua autobiografia Let’s Just Say It Wasn’t Pretty, i cappelli, gli stivali e i maglioni girocollo sono un modo di nascondere il proprio corpo e le proprie insicurezze (nota di servizio: Diane scrive anche benissimo). O ancora, si potrebbe iniziare dalla sua passione per le case, quelle che rinnova e decora in una incredibile carriera parallela (nota: ne ha venduta una anche a Madonna) e quelle in cui trasloca assieme ai suoi due figli adottivi, Dexter che ha 18 anni e Duke che ne ha 13.
In ognuna di queste case c’è sempre una parete di foto di 48 uomini che le piacciono, da Abraham Lincoln a Gary Cooper. Lei li chiama i suoi «prigionieri».
Perché prigionieri?
«Perché non hanno niente da dire. Li posso stare a guardare quanto voglio, avere tutte le fantasie che desidero nei loro confronti, ma posso anche andarmene e loro non protestano. Cosa che con gli uomini di solito non è possibile».
Un rapporto senza problemi.
«Il problema ovviamente è che non sono reali, sono foto. Ma anche questo non è male, io le foto le adoro».
Nel film Leah dice che, nonostante l’età, pensa ancora all’amore: e lei?
«Per la precisione, Leah dice che a volte la vita dura più dell’amore, ed essere ancora qui a cantare e a sognare l’amore per lei è abbastanza. È un’aggiunta che ho fatto io, ed è importante. A volte sognare l’amore e cantarlo è solo l’espressione di un momento, a volte può accadere di nuovo di innamorarti. È una cosa che mi commuove».
Lei nel film cantando piange: anche nella vita reale?
«In continuazione. Amo cantare e amo piangere, e quando mi succede assieme è magnifico. Ma spesso mi capita di piangere senza cantare. Mi è successo anche ieri riguardando assieme a mia figlia Il lato positivo, la scena in cui Bradley Cooper e Jennifer Lawrence si incontrano per la prima volta. Loro sono perfetti, come la regia: è un momento magico».
Non per essere monotematico, ma a me ha ricordato la scena di Io e Annie, quella in cui Woody le chiede dove sta andando, lei risponde downtown, lui dice più o meno: «Ah, io sto andando uptown», e allora lei: «Anch’io sto andando uptown...».
«Ha ragione, è molto simile. Ma quella del Lato positivo è meglio. È meno patinata, e loro due sono semplicemente magnifici assieme».
Jennifer Lawrence le piace?
«Lei è incredibile, non so dove l’abbiano trovata. È la prova che nella vita c’è così tanta bellezza, e anche che la cosa che conta veramente in questo lavoro è il contatto che riesci a stabilire col pubblico. Ci pensavo l’altra sera al concerto di Miley Cyrus, un’altra ragazza straordinaria, che lavora come una pazza sul palcoscenico, canta col cuore e lo fa sempre in modo sorprendente. Che cosa importa se ci sono quelli che la criticano per la storia del sesso quando c’è così tanto talento?».
Torniamo a lei: ha avuto grandi amori ma non si è mai sposata. Perché?
«Perché per fare la moglie ci vuole di più di quello che avevo io da offrire. Non ero adatta, ero troppo immatura. Con l’amore ho sempre avuto difficoltà perché volevo solo la parte romantica, non quella che richiede impegno, in cui insieme all’altro affronti gli alti e bassi della vita».
Vi specchiavate nelle nevrosi reciproche, lei e Woody Allen?
«Nevrosi, che buffo, è una parola quasi scomparsa. Come psicoanalisi: era così importante, ora non ne parla più nessuno. Comunque no, figurarsi, come avrei potuto rispecchiare un genio? Senza di lui io non saprei neanche dove sarei finita, dopotutto Io e Annie è stato il regalo più grande della mia vita professionale. Io non credo sia mai esistito qualcuno come lui nel mondo dello spettacolo. Ci pensi: autore, attore, regista, capace di un controllo totale sulle sue opere e di una produttività senza pari. Ancora adesso fa un film all’anno, al posto delle vacanze, e poi torna a casa a lavorare al prossimo. E sempre ha grandissimi attori e attrici che vogliono essere nei suoi film anche se vengono pagati pochissimo per farli».
Che cosa vi univa allora?
«Credo il senso dell’umorismo. Sono molto orgogliosa e felice di essere ancora sua amica, mi dà enorme sicurezza, abbiamo vissuto così tante cose assieme. Ci sentiamo spessissimo, e di recente ci è anche capitato di fare una passeggiata lungo Madison Avenue, come ai vecchi tempi».
Coi suoi grandi amori è sempre stata attrazione immediata?
«Dipende. Sicuramente da parte mia se penso ad Al Pacino, ma non mi pare che vedendomi lui abbia avuto la stessa reazione. Pensi che ho cominciato ad avere cotte pazzesche per lui ai tempi del Padrino 1 e 2, ma ci siamo messi assieme solo anni dopo, alla fine del Padrino 3. La verità è che, siccome gli sono stata alle costole per anni, alla fine lui è crollato. E lo stesso con Woody. Tutti e due sapevamo che quella con la cotta ero io».
E Warren Beatty?
«Diverso: era lui a correre dietro a me. Per fortuna anch’io ero interessatissima».
Rimpiange che i suoi figli non abbiano un padre?
«Sì, perché fare da solo il genitore è difficile. Anche per i ragazzi. La situazione ideale è quella ideale: due persone hanno insieme un bambino, perché lo vogliono, ed è la responsabilità di entrambi. È la cosa migliore per tutti ma a me non è successo così: ho adottato i miei figli tardi, a 50 anni».
Perché lo ha fatto?
«Perché per me la famiglia è importantissima. Sono stata molto vicina a mia madre, ho amato tantissimo essere una figlia e una sorella, e mi mancava fare parte di una famiglia. Per me è il centro della vita».
A quando il prossimo trasloco?
«Presto, stavolta in una casa che mi sto costruendo da sola».
Che significato ha questo cercare in continuazione casa?
«Non lo so: dopo anni di terapia non ho ancora capito questo aspetto della mia vita. Sicuramente c’è qualcosa che non va, perché non ho alcuna intenzione di cambiare».