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 2014  giugno 18 Mercoledì calendario

QUARANT’ANNI DI BUGIE E SILENZI DA UNA FAMIGLIA INSOSPETTABILE


Laio sposò Giocasta e concepì Edipo che, per suggerimento dell’oracolo, fu esposto e abbandonato ma sopravvisse e tornò, inconsapevole, a uccidere Laio e a giacere con Giocasta. Di storie così sono piene le tragedie greche. Ma scoprirne una più complicata e più banale e più terribile, successa a un passo da noi, smarrisce. Una storia a due livelli: il primo composto di fatti già certi, il secondo ancora appeso alla fragilità dell’aggettivo “presunto”.
Nel primo livello, c’è un uomo, Massimo Giuseppe, con una moglie e tre figli di otto, dieci e tredici anni. Severo con i bambini, amorevole con gli animali e – come tanti maschi – pesante di battute con le donne. Muratore, pizzetto biondo ben curato, vive in un paese non distante da Bergamo. Ha una gemella, Laura, e un fratello, Fabio. La madre, Ester, da tempo cova un segreto e coltiva un dubbio. Il padre, Giovanni, è inconsapevole più di Laio, e senza alcun oracolo ad annunciar sventure.
Da 48 ore, però, questo scenario è sconvolto: Massimo ha scoperto che Giovanni non è suo padre, che Fabio non è suo fratello, che Ester ha generato lui e la gemella Laura dopo un rapporto con Giuseppe, un autista di autobus morto 15 anni fa. Laura ha scoperto che Fabio è suo fratellastro e Giovanni è solo il marito di sua madre. Fabio ha scoperto che i gemelli non sono figli del suo stesso padre. La vedova di Giuseppe ha scoperto che il marito ha avuto due gemelli con un’altra donna. Giovanni ha scoperto che la moglie per quarant’anni ha custodito un inconfessabile segreto e che i gemelli non sono suoi figli. A uno di questi, il maschio, la moglie ha dato come secondo nome quello del vero padre, Giuseppe; la femmina l’ha chiamata Laura, come la moglie del suo amante.
Scoperte da vertigine. Un turbine di relazioni difficili da seguire senza smarrirsi. Un vortice di rivelazioni da far perdere l’equilibrio e che basterebbero a rovinare molte vite, scardinando la sicurezza del ritmo biologico della generazione, gettando nell’incertezza la meticolosa elencazione delle genealogie che per gli antichi coincideva con l’ordine della storia. La famiglia è il luogo dove estranei sono costretti a convivere. A volte, estranei in ogni senso.
Ma in più, c’è il secondo livello, quello ancora affidato all’incertezza. Il primo, con il suo gorgo di agnizioni che portano allo sgomento, è certificato da una dea sconosciuta ai greci, la scienza che traccia i profili biologici scrutandoli dentro il codice stesso della vita. La comparazione del Dna è stata realizzata prelevando 18 mila campioni, la più grande caccia all’uomo tecnologica mai realizzata. Per riuscire a identificare “Ignoto Uno”, l’essere umano di sesso maschile che ha lasciato tracce di Dna sui leggings di una ragazzina, Yara, sequestrata, violentata e uccisa quattro anni fa.
Aveva tredici anni, Yara, uscì dalla palestra e non fece più ritorno a casa. Il suo corpo fu trovato tre mesi dopo, in un campo d’arbusti ghiacciati. Ora, a detta di un ministro troppo precipitoso, “Ignoto Uno” sarebbe Massimo Giuseppe. Lo proverebbe la traccia biologica del Dna. Finché non lo proverà anche un processo con diritto di difesa, l’assassino resta “presunto”. Ma comunque il vortice delle scoperte del primo livello così si raddoppia e un figlio-non figlio, un padre-non padre, e una madre, una vedova, una moglie, un fratello, una gemella, tutte persone a cui è stato sconvolto l’ordine della generazione, ora, in più, vedono proiettata sulle loro vite l’ombra possibile dell’assassinio, del più terribile degli assassinii, ai danni di una bambina che ancora sorride dalle pagine dei giornali, dagli schermi della tv.
Chi è del tutto fuori dalla rete di relazioni parentali e biologiche è Mohamed. Quattro anni fa fu accusato dell’omicidio di Yara e ci fu chi alzò cartelli che dicevano “Marocchini, fuori da Bergamo”. Fu fermato a bordo di un traghetto mentre tornava a casa, fu accusato di stare fuggendo all’estero. Fu indicato, sulla base di un’intercettazione tradotta male, come il killer della ragazzina e poi, dopo oltre due anni, scagionato. Era “lo straniero”, dunque diverso, ostile, pericoloso, colpevole. E pensare che “straniero”, per i greci, era Dioniso, il dio errante che viene dalla notte e insidia ma rinnova la convivenza degli umani. La vera follia distruttrice spesso non proviene da fuori, ma da dentro le relazioni famigliari, strangolate nella catena elicoidale dello stesso Dna. La banalità dell’orrore, come ha di nuovo dimostrato anche l’altra tragedia andata in scena nei giorni scorsi, nelle ordinate villette di Motta Visconti.

Gianni Barbacetto, Il Fatto Quotidiano 18/6/2014