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 2014  giugno 18 Mercoledì calendario

ALFANO ‘BRUCIA’ I MAGISTRATI IL MINISTRO FINISCE ALL’INDICE

[Due articoli] –

Ore 18,24 del 16 giugno 2014, al mio tweet scatenate l’inferno (e fate arrabbiare i giudici): “Individuato l’assassino di Yara Gambirasio”. Firmato: Angelino Alfano, ministro dell’Interno del governo Renzi. Subito dopo, arriva il comunicato stampa del Viminale: “Le Forze dell’Ordine, d’intesa con la Magistratura, hanno individuato l’assassino di Yara Gambirasio. Secondo quanto rilevato dal profilo generico in possesso degli inquirenti, l’assassino della piccola Yara è una persona del luogo, dunque della Provincia di Bergamo. Nelle prossime ore, saranno forniti maggiori dettagli. Ringraziamo tutti, ognuno nel proprio ruolo, per l’impegno massimo, l’alta professionalità e la passione, investiti nella difficile ricerca di questo efferato assassino che, finalmente, non è più senza volto”.
I giornalisti impazziscono e si precipitano a Bergamo; la Rete impazzisce e fa rimbalzare la notizia su tutti i siti del mondo; gli inquirenti impazziscono e cominciano a chiedersi perché il ministro dell’Interno abbia sentito la necessità di bruciare tutti dando la notizia così in fretta, proprio nei minuti in cui Massimo Giuseppe Bossetti era ancora seduto in caserma ad ascoltare le accuse. E invece lui, Angelino Alfano, gongola di soddisfazione perché un altro pericoloso assassino verrà consegnato alle patrie galere. Anzi, non ancora contento, alle 19,24 fa inviare al suo staff un nuovo comunicato stampa: “L’Italia è un Paese dove chi uccide e chi delinque viene arrestato e finisce in galera. Può passare del tempo o può finirci subito. Ma questo è il destino che attende i criminali. Oggi, due successi che dedichiamo ai familiari delle vittime e agli italiani onesti”. Applausi. Medaglia al valore.
ALFANO lunedì va a dormire contento (in fondo, dalla Procura è arrivato solo un invito alla prudenza, “siamo in una fase delicatissima”) ma ieri mattina a gelare il suo entusiasmo, arriva una dichiarazione al veleno del procuratore capo di Bergamo, Francesco Dettori: “Era intenzione della Procura mantenere il massimo riserbo. Questo anche a tutela dell’indagato in relazione al quale, secondo la Costituzione, esiste la presunzione di innocenza”. Ecco, forse un po’ di prudenza non avrebbe guastato. Tutti gli inquirenti sapevano, tutta la catena di comando da Bergamo al Viminale sapeva, ma era proprio il caso di sbandierare un successo prima che questo si fosse realmente compiuto?
Il vice premier incassa il colpo, ma non può fare marcia indietro: “L’opinione pubblica ha diritto a sapere e ha saputo. Credo che questo sia un elemento di rassicurazione. L’opinione pubblica una volta di più ha chiaro come lo Stato vinca, e chi invece delinque o uccide, perde”. Anzi, ci pensa su e rincara la dose: “In un giorno di grandi successi non voglio fare polemiche. Non ho divulgato dettagli e non credo che il procuratore ce l’abbia con me, piuttosto si dovrebbe chiedere chi ha inondato il nostro mondo dei mass media di informazioni e dettagli. Certamente non è stato il governo”. E però, forse il tiro va un po’ aggiustato, la Procura è stata più garantista del politico, e allora parte un nuovo tweet: “Ovviamente la presunzione di innocenza vale per tutti”. Ma come, non era stato individuato l’assassino (senza presunto) di Yara Gambirasio?
IL DADO è tratto, la polemica è servita e il veleno tra Bergamo e Roma scorre, nonostante gli stessi magistrati provino a smorzare i toni. “Non c’è nessuna polemica, ma questa situazione non mi è piaciuta”, risponde lo stesso Dettori. “A che pro parlare di polemica? – gli fa eco il procuratore generale di Brescia, Pier Luigi Maria Dell’Osso – È chiaro che un procuratore aspira ad agire senza i riflettori, è fisiologico, accade in ogni indagine. Di fronte a un caso di questa eclatanza – aggiunge – è normale che chi si è occupato delle indagini sente, per così dire, l’ansia e la trepidazione tanto più se c’è un’opinione pubblica attenta a una cosa del genere”. “Nessuna polemica”, neanche per il questore di Bergamo, Fortunato Finolli. Indagine rovinata o solo riflettori scippati? Quel che appare certo è che gli inquirenti avrebbero avuto bisogno ancora di 48 ore di tempo per completare alcuni accertamenti (testimoni, eventuali favoreggiatori, complici) e poi, loro sì, convocare una conferenza stampa, e non scrivere un tweet. La pressione mediatica scatenata lunedì da Alfano ha rovinato questi piani, e magari dato un’accelerata a tutto, ma non ha inficiato l’indagine. Tanto è bastato per far rimanere Beppe Grillo “senza parole. Il ministro Alfano l’ha fatta grossa”, ha scritto ieri il leader dei M5S sul suo profilo Facebook. Il forzista Furlan ne ha chiesto addirittura la testa: “Dal Kazakistan al caso Gambirasio, storia di un ministro inadeguato. Ma cosa deve accadere perché un ministro si dimetta?”. Al fianco di Alfano il viceministro della Giustizia Enrico Costa: “Non ho compreso – ha detto – la reazione del procuratore di Bergamo. I cittadini non avevano forse il diritto di conoscere una notizia così rilevante?”. Ma due giorni in più, cosa sarebbe cambiato?

Silvia D’Onghia, Il Fatto Quotidiano 18/6/2014


“IMPOSSIBILE AVERE DUBBI” –

Il corpo di Yara Gambirasio fu trovato nel febbraio del 2011 in Chignolo d’Isola, distante 9 km da Mapello. Qui c’era l’ultimo ripetitore cui si era collegato il suo cellulare; e qui era la palestra da cui era uscita per l’ultima volta, 3 mesi prima. Sulle sue mutandine fu prelevato un campione di Dna maschile, nei suoi polmoni furono trovate tracce di calce e sulla suola delle sue scarpe tracce di tondini di ferro. Il 16 giugno è stato arrestato Giuseppe Bossetti. Il Dna sulle mutandine di Yara è il suo; è un muratore, abita a Mapello, proprio dove c’è la palestra frequentata da Yara; il suo cellulare, il giorno della scomparsa della bambina, era connesso con i ripetitori di Brembate, nella stessa zona. Dal momento in cui Yara uscì dalla palestra fino alle 7 del mattino dopo risulta però spento. Insomma,Yara fu rapita, sottoposta a pratiche sessuali e uccisa da un uomo che aveva lo stesso Dna trovato su di lei e che la portò in un cantiere edile (dove respirò calce e calpestò residui di tondini di ferro). Bossetti fa il muratore, abita vicino alla palestra da cui Yara uscì, il suo cellulare era in quella zona immediatamente prima del rapimento, al momento non si capisce perché è stato spento per circa 15 ore e il Dna sulle mutandine della vittima è il suo. Possiamo dire che è l’assassino? Sì, possiamo. Ovviamente tutti gli elementi appena descritti (a parte il Dna) sono indiziari. Di per sé non provano la colpevolezza, possono esserci stati molti muratori nella zona e, comunque, l’assassino potrebbe aver portato Yara in un cantiere edile anche senza essere un muratore. E chissà quanti cellulari erano collegati con i ripetitori di Brembate al momento dell’omicidio. Però, a meno che Bossetti non abbia prestato il suo cellulare a qualcun altro (se è così lo dirà), è certo che, al momento del rapimento, lui era in quella zona. E qualche spiegazione sui motivi che lo indussero a spegnere il cellulare dal primo pomeriggio fino alle 7 del mattino dopo dovrà pur darla. Ma è chiaro che la prova che lo inchioderà è quella del Dna. E la corrispondenza del Dna prelevato sulla vittima con quello del presunto assassino è prova insormontabile : appena 13 segmenti di Dna coincidenti bastano per darne la certezza; la probabilità che corrispondano a due soggetti diversi è una su un miliardo. Questo non vuol dire che la coincidenza del Dna esimi da approfondimenti. Bisogna accertare come è stato prelevato e se, nella catena di accertamenti che hanno condotto all’identificazione del Dna del soggetto, ci siano stati inquinamenti. Non è questo il caso. Il Dna sulle mutandine di Yara è prelevato con tutte le cautele necessarie. I confronti sono fatti con centinaia di persone residenti nella zona, con frequentatori della palestra e di una discoteca molto vicina e con lavoratori del cantiere di Mapello. Tra questi se ne trova uno che presenta parziali corrispondenze: appartiene a tale Damiano Guerinoni, figlio di Giuseppe Guerinoni, ormai deceduto. È esumato: il suo Dna corrisponde quasi integralmente a quello dell’assassino di Yara; quasi: si tratta di un suo figlio ma concepito con donna diversa dalla madre degli altri figli. L’indagine si sposta sull’identificazione di donne che possono aver avuto rapporti sessuali con lui. Centinaia di Dna comparati e scartati; fino a quello di Ester Arzuffi, che completa la corrispondenza. In effetti la Arzuffi ha avuto una relazione con il Guerinoni e ha partorito due gemelli, poi riconosciuti da suo marito, Giovanni Bossetti. Uno dei due è Giuseppe. E il suo Dna coincide integralmente con quello lasciato sul corpo di Yara. Inquinamenti, errori procedurali o scientifici? No, solo un’indagine di eccezionale complessità, condotta con cura e determinazione. I Dna corrispondono, gli indizi trovano una loro logica collocazione, i dubbi (ragionevoli, non mistificatori) impossibili. Il processo penale, in fondo, è una cosa semplice.

Bruno Tinti, Il Fatto Quotidiano 18/6/2014