Tonia Mastrobuoni, La Stampa 18/6/2014, 18 giugno 2014
KHODORKOVSKIJ, LO SCRITTORE VENUTO DAL GULAG
I carcerati «hanno i loro princìpi, magari la società li giudicherà sbagliati, ma in nome di essi sono capaci di sostenere sofferenze atroci». Nikolaj, ad esempio, acconsentì in cambio di un telefonino a farsi accollare due anni in più senza aver commesso il fatto. Una prassi comune nelle carceri russe: gli inquirenti chiudono il caso senza faticare troppo e il detenuto si accontenta del suo misero regalo. Ma quando Nikolaj capì che l’accusa era quella di aver scippato una vecchietta, fece categoricamente marcia indietro. Derubare una persona anziana è qualcosa che non avrebbe mai fatto, spiegò. I secondini lo ributtarono in cella «perché riflettesse». Lui non ci pensò a lungo: si procurò un coltello e si inflisse un taglio talmente profondo all’addome da far schizzare fuori le interiora. Nikolaj è sopravvissuto per miracolo, ma per Mikhail Khodorkovskij, che ha raccontato la sua e altre storie in Meine Mitgefangenen (I miei compagni di prigione, ed. Galiani), è una vicenda che parla «del rispetto per se stessi». Che a volte può essere più prezioso della vita.
Il libro del dissidente esce oggi in Germania (e nei prossimi mesi sarà pubblicato anche in Russia). Mai avrebbe pensato, l’editore Wolfgang Hörner, di poterlo presentare con l’autore. Quando gli chiese i diritti per pubblicare gli articoli che erano usciti su una rivista moscovita, Khodorkovskij era ancora il detenuto più famoso delle carceri russe, l’ex oligarca dell’era Eltsin che aveva commesso l’errore fatale di sfidare Putin ed era stato sbattuto dietro le sbarre per un decennio per aver osato tanto. Ma alla fine dell’anno scorso, grazie alla mediazione di un grande vecchio della diplomazia tedesca come Hans-Dietrich Genscher, il dissidente 51enne ha ottenuto la grazia ed è espatriato, prima in Germania, poi in Svizzera, dove ha raggiunto la famiglia. E giovedì scorso ha presentato «le sue prigioni» nella capitale, ricordando che «un russo su dieci finisce in carcere» e che le prigioni del suo Paese «sono un mondo a parte».
La cosa più sorprendente è che Khodorkovskij non parla di sé e delle sue sofferenze ma lascia parlare le sue storie, i compagni di viaggio durante i dieci anni di detenzione nell’inferno delle carceri dello zar Putin, dove l’ex capo di Yukos si è impegnato spesso per gli altri carcerati, due volte anche attraverso scioperi della fame. «Non riesco a immaginarmi una vita diversa, senza impegno», ha detto a Berlino. E attraverso i suoi racconti emerge anche l’affresco di un popolo, oltre alla denuncia di un sistema giudiziario malato, corrotto, da Paese indegno di essere definito del «primo mondo».
Ogni capitolo è un nome fittizio che corrisponde a una vicenda vera, ma non tutti sono detenuti. «Arkadi», per esempio, è una spia. Attraverso la sua vicenda e l’odio viscerale che suscita nei detenuti, Khodorkovskij vuole ricordarci che «la delazione è una cosa molto brutta per i russi. Contrariamente ai tedeschi e agli americani, noi non pensiamo sia necessario informare le autorità. I delatori hanno milioni di persone sulla coscienza, nel nostro Paese». Perciò, spiega, «l’odio nei loro confronti è profondamente radicato».
Poi c’è il secondino Sergej Sergejevich, spesso ubriaco, interrogatore crudele, che «picchia da professionista: non lascia tracce, ma tu continui a lamentarti per una settimana e a pisciare sangue». Soprattutto inculca, spesso urlando, insegnamenti ai detenuti che suonano così: «non sei un essere umano, chi ti sta intorno neanche», oppure «meno pensi, più a lungo vivi». Ovvio, conclude Khodorkovskij, che i carcerati russi siano «spaventosamente recidivi».
C’è anche l’ingegnere che si impicca per la vergogna di essere finito in una truffa milionaria, l’omosessuale Ostop che si guadagna il rispetto dei compagni di cella - «la prigione è un luogo molto conservatore» - soltanto quando tira fuori il coltello, c’è il neonazista che il dissidente cerca di convincere dell’infondatezza dei suoi deliri. Se il grado di civilizzazione di un Paese si misura dalle sue prigioni, come sosteneva Dostoevskij, descrivendo l’inferno in cui è sopravvissuto per un decennio, Khodorkovskij ci insegna quanto sia barbarico ancora il regno incontrastato dello zar Putin.
Tonia Mastrobuoni, La Stampa 18/6/2014