Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  giugno 18 Mercoledì calendario

IL “METODO RENZI” PER LA NUOVA UE SÌ DI MERKEL E PSE


Dunque, c’era del metodo nella «follia» renziana, quella che un mese fa diceva di voler cambiar verso anche alla Unione europea: dopo il significativo ma informale via libera all’ultimo G7 da parte di Angela Merkel e di François Hollande alla impostazione italiana (prima una nuova linea politica, poi le nomine), nelle ultime ore anche il secondo partito europeo, il Pse, ha sposato «senza se e senza ma» il metodo Renzi. Dice Hannes Swoboda, responsabile del gruppo europarlamentare Socialisti e Democratici: «Il patto di stabilità può essere reso più flessibile senza rinnegare l’obiettivo di riduzione del debito: è la condizione di Renzi per il sostegno a un candidato alla presidenza della Commissione» e dunque «si tratta di esentare certi investimenti dal calcolo del deficit dando più tempo per ridurre il disavanzo». Da Swoboda anche due notizie: «Renzi sta lavorando a questo» e «il presidente Van Rompuy sta preparando un testo proprio per garantire maggiore flessibilità al patto di crescita e stabilità e per venire incontro alle richieste del presidente del Consiglio italiano». Una svolta, quella del Pse, perché negli anni scorsi anche tra i socialisti aveva prevalso una linea se non proprio rigorista, certamente non alternativa a quella della Merkel.
Il tutto si traduce in una inaspettata centralità di Roma. Nella partita diplomatica che si sta giocando sui futuri assetti di potere europei oggi ci sarà un passaggio importante: il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy incontra a palazzo Chigi il capo del governo italiano e nel corso di questo incontro Matteo Renzi spingerà per una doppia svolta: nelle politiche dell’immigrazione e delle frontiere; in quelle macroeconomiche. Un pressing che punta a far breccia nel documento conclusivo del prossimo Consiglio europeo, in programma a Bruxelles il 26 e 27 giugno. Documento al quale sta lavorando Van Rompuy e che dovrebbe legare a precisi impegni politici le imminenti nomine ai vertici dell’Unione: presidenza della Commissione, del Consiglio, Alto Rappresentante per la politica estera, presidenza dell’Eurogruppo. Nel documento politico che - nelle intenzioni italiane - dovrebbe segnare una svolta nella politica europea si parlerà di semplificazione legislativa, di mercato unico dell’energia, di competitività, ma anche di interpretazioni flessibili delle regole di bilancio senza mettere in discussione il quadro di riferimento politico-giuridico attuale.
La svolta che si sta preparando in vista del Consiglio europeo ha trovato le sue premesse durante i contatti informali ai margini del G7 di Bruxelles. In quella occasione Renzi aveva esplicitato la sua visione («Nomina sunt consequentia rerum»), che a sorpresa aveva fatto breccia anzitutto nella Merkel, perché in quel frangente sparigliare conveniva sia alla cancelliera che al primo ministro inglese David Cameron, entrambi poco empatici con i candidati dei partiti (Juncker e Schulz) alla presidenza della Commissione. Nei faccia a faccia Renzi aveva spiegato: «Nessuno può mettere veti o lanciare diktat perché nessun candidato ha ottenuto la maggioranza». Una proposta di metodo ma anche un’indicazione per cambiare l’agenda dell’Unione: «Una politica basata sul rigore e l’austerity e non sullo sviluppo, ha mostrato il proprio limite: quella fase si è chiusa». Dopo il G7, Roma e Berlino hanno continuato a lavorare d’intesa, la candidatura di Juncker alla Commissione ha ripreso quota, anche se una accelerazione è venuta da Sigmar Gabriel, il vicecancelliere socialdemocratico che è anche ministro dell’Economia, che ha aperto alla possibilità di escludere i costi delle riforme strutturali dal calcolo del deficit pubblico. È stato il segnale che si muoveva la Spd, che come peso politico resta il partito più importante del Pse.

Fabio Martini, La Stampa 18/6/2014