Bijan Zarmandili, la Repubblica 18/6/2014, 18 giugno 2014
LE NOTTI INSONNI DI TEHERAN TRA L’INCUBO DELLA GUERRA E LA MANO TESA DELL’AMERICA
Durante quel pomeriggio brasiliano di lunedì, con la nazionale iraniana sul campo del Mineirao di Belo Horizonte, doveva essere l’amato bomber iraniano “Gucci” a far dimenticare ai suoi connazionali le minacce degli “uomini neri” dell’Isis, pronti a marciare sul suolo sacro di Karbala, teatro nel 680 del martirio dell’imam Hussein. Certo, non era soltanto la guerra alle loro porte a preoccuparli: pesavano — e pesano — le sanzioni, la galoppante crisi economica, le mancate promesse del presidente Rouhani e non ultima, la paura di un’altra tempesta di sabbia, come quella che il 2 giugno ha devastato la capitale.
Ma la profanazione di Karbala e del Mausoleo dell’imam Ali a Najaf, anticipate dal portavoce dell’Isis, Abu Mohammaed al Shamsi, non sarebbero motivo di collera soltanto per gli ayatollah al potere, ma per centinaia di migliaia di pellegrini iraniani che ogni anno si recano nelle città sante irachene per compiere un loro dovere religioso. “Gucci” invece ha mancato il gol al 34’ quando la palla è piombata sulla sua testa. La partita è finita in pareggio e le preoccupazioni sono tornate.
Le minacce dell’Isis forse sono più che altro un bluff. E la stessa cosa vale per l’eventuale conquista da parte dell’Isis dei territori a ridosso delle frontiere Iran-Iraq. I veri timori sono legati al perdurare del conflitto, con il rischio che si trasformi in una guerra regionale con delle prospettive strategicamente incerte per gli iraniani. Shamsolwaesin, uno dei massimi esperti iraniani della politica estera, dice: «Da qui a una settimana bisogna cacciare l’Isis da Mosul, altrimenti sarà troppo tardi». Poi aggiunge: «Certo, li possiamo cacciare noi in 24 ore, ma una nostra unilaterale operazione militare sarebbe un errore politico: bisogna quindi intervenire con una operazione concordata, con la Turchia, e perché no, con gli americani».
Ecco, il motivo della fretta con cui nei palazzi di potere a Teheran si cerca di stabilire un piano concordato con gli americani. E questa volta non si tratta di contatti sottobanco, come nei casi precedenti in Afghanistan, oppure, in Iraq: è stato lo stesso Rouhani a chiedere la collaborazione Usa; è stato John Kerry a tendere la mano a Teheran, e i contatti si sono verificati alla luce del sole viennese in questi giorni.
Ma Rouhani, a differenza dei giorni seguiti alla sua elezione, non gode ora di particolari simpatie tra gli iraniani. C’è stato un episodio significativo in questo senso, di nuovo legato alla partecipazione della nazionale iraniana alla Coppa mondiale in Brasile. Alla vigilia della sua partenza, i tifosi avevano organizzato una grande festa alla Stadio Azadi per salutarla, cui avrebbe dovuto partecipare anche il presidente. Lui invece non si è fatto vedere, una assenza senza precedenti in occasione dei mondiali da parte del presidente. Rouhani ha giustificato la sua assenza con il cattivo tempo, ma la delusione è stata forte e persino i giornali sportivi, dove non si parla mai di politica, hanno criticato il poco affetto dimostrato da Rouhani per i “bacheha”, per i ragazzi della squadra nazionale.
Poco dopo, è stato proibito ai cinema di proiettare la partita Iran-Nigeria e i luoghi pubblici, dove i giovani si sarebbero recati per seguire la partita, sono stati presidiati dai poliziotti. Ovviamente anche la televisione ha rigorosamente censurato le scene dello stadio brasiliano dove si vedevano le donne senza il velo. Insomma, una triste partenza per la squadra alla quale è stato proibito lo scambio della maglia con gli avversari alla fine della partita, mentre la stragrande maggioranza degli iraniani si aspettava dal regime un sostegno più caloroso e con meno proibizioni per i loro beniamini.
L’apertura di Rouhani a Washington è motivo di malumori non trascurabili anche all’interno dello stesso regime. Sono alcune settimane che gli organi dei Pasdaran attaccano la politica nucleare del presidente, costringendo la Guida Ali Khamenei a intervenire, senza tuttavia difendere esplicitamente il presidente: un suo rappresentante ha genericamente detto che «è preferibile non parlare di tali argomenti». Alla vigilia dei colloqui tra Iran e Stati Uniti sull’Iraq, Ali Shamkhani, il segretario generale della sicurezza nazionale, ha comunque sostenuto che qualsiasi collaborazione con gli Usa «è irrealizzabile».
Un percorso quindi non del tutto in discesa per Rouhani: è necessario vedere quale sarà alla fine la decisione di Khamenei. Lui, intanto, ha attivato in Iraq «il generale senza ombra», colui che non si vede, ma c’è, come viene definito il boss delle squadre speciali “Quds”, Ghasem Soleimani, recentemente segnalato nel sud dell’Iraq, nel Kurdistan iracheno e a Baghdad. Il primo ministro del Kurdistan iracheno, Nichirwan Barzani, l’altro giorno in visita a Teheran, ha detto: «La verità è che il dossier iracheno è nelle mani di Soleimani, se l’America vuole parlare con l’Iran dell’Iraq, a mio avviso, deve parlare con lui». Si sa però che il “generale senza ombra” è nella lista nera dei servizi segreti americani.
Bijan Zarmandili, la Repubblica 18/6/2014