Marco Ansaldo, la Repubblica 18/6/2014, 18 giugno 2014
OBAMA MANDA 275 SOLDATI LA BATTAGLIA CON I JIHADISTI SI AVVICINA ALLA CAPITALE
DOHUK (KURDISTAN IRACHENO).
L’Iraq è ormai sul baratro della guerra civile. I miliziani sunniti sono arrivati a Baquba, a soli 60 chilometri da Bagdad ieri preda di un altro attacco con autobomba sul quartiere sciita (10 morti). Nella capitale stanno giungendo 275 soldati americani, «equipaggiati per il combattimento» e pronti a difendere la loro ambasciata. Di fronte all’avanzata jihadista, il presidente Obama si prepara a scegliere fra una gamma di opzioni, militari e non, con l’attacco di droni in primo piano. Oggi ne parlerà con i leader del Congresso. A Baquba, teatro di intensi combattimenti, nell’attacco jihadista a una prigione sono morti 44 detenuti. Secondo fonti ufficiali sono state le stesse forze di sicurezza a uccidere i prigionieri che tentavano di evadere approfittando degli scontri. Nella provincia di Diyala sono invece morti 28 militanti dell’Isis e 2 poliziotti. Ma la battaglia più dura si è svolta a Tal Afar, città sciita nel nord strappata dai jihadisti ai governativi, con decine di morti, fra cui molti civili. Il centro, a ovest di Mosul, abitato in gran parte dall’etnia turcomanna, è considerato strategico perché posto verso la frontiera con la Siria. Intanto, il primo ministro Nuri al-Maliki ha destituito 4 comandanti dell’esercito, accusati di negligenza nel non aver impedito l’avanzata dei jihadisti. Tra gli ufficiali rimossi il comandante responsabile della provincia di Ninive, la prima a essere finita in larga parte in mano agli insorti. Il conflitto comincia a mettere in allarme anche il sud: la Turchia ha evacuato il consolato a Bassora rimpatriando il console e altri 17 dipendenti. Ankara ha imposto il blackout circa la copertura dei propri media sul rapimento di un’ottantina di suoi cittadini, ostaggio da una settimana dei jihadisti a Mosul. Il segretario generale dell’Onu, Ban Kimoon ha chiesto ad al-Maliki di avviare un dialogo per fermare le violenze, mentre l’inviato delle Nazioni Unite, Nickolay Mladenov, ha avvertito che la crisi «minaccia l’esistenza dell’Iraq ». Il premier del Kurdistan iracheno, Nechirvan Barzani, ha detto alla Bbc di non credere «che l’Iraq possa tornare come era prima dei fatti di Mosul». Per Barzani, al-Maliki dovrebbe farsi da parte: «Non c’è fiducia tra lui e i sunniti, né tra lui e i curdi». Il governo di Bagdad punta invece il dito sull’Arabia Saudita, accusandola di «sostenere finanziariamente e moralmente il genocidio iracheno».
Marco Ansaldo, la Repubblica 18/6/2014