Simonetta Scarane, ItaliaOggi 18/6/2014, 18 giugno 2014
«AMMAZZANO» IL PAZIENTE PER POTERLO CURARE MEGLIO
Non è più uno scenario da fantascienza salvare un ferito gravissimo provocandone artificialmente «lo stato di morte» mediante il raffreddamento rapidissimo del suo corpo, così da avere più tempo per riparare le lesioni che provocano le emorragie. L’ipotermia rapida indotta è una nuova tecnica della medicina d’urgenza e viene praticata nell’ospedale americano presbiteriano di Pittsburgh, in Pennsylvania. Gravemente ferito al torace, un uomo ha perso la metà del suo sangue. Il suo cuore ha cessato di battere e i medici del pronto soccorso disperano di salvarlo. La decisione è presa: sarà il primo paziente al quale sarà sospesa la vita. Una cannula introdotta nella sua aorta permette di iniettarvi un liquido fisiologico molto freddo. In 15 minuti la sua temperatura scende a 10 gradi. Il suo cuore non batte più e non c’è più attività cerebrale. È in stato di morte clinica. I medici hanno allora due ore di tempo per curare le sue ferite prima di «riscaldarlo», ristabilire la circolazione sanguigna e far ripartire il suo cuore. L’ipotermia rapidamente indotta permette di guadagnare tempo in caso di grandi emorragie. Si sa che l’arresto cardiaco provoca la mancanza di ossigeno al cervello e che per questo in pochi minuti viene lesionato irreparabilmente. Ma questo avviene alla normale temperatura corporea di 37 gradi. Ma se il corpo si raffredda le cellule hanno meno bisogno di ossigeno e l’infiammazione si riduce. L’ipotermia viene già utilizzata per effettuare alcune operazioni chirurgiche, ma è limitata e raramente la temperatura corporea viene fatta scendere sotto i 32 gradi e per farlo vengono impiegate diverse ore. La scommessa dell’équipe capitanata da Samuel Tisherman, dell’ospedale di Pittsburgh, è quella di indurre una ipotermia molto profonda in pochissimo tempo. Insieme a Peter Rhee dell’università dell’Arizona ha messo a punto la sua tecnica sperimentandola sui maiali che sono sopravvissuti senza conseguenze neurologiche. Un’idea interessante, secondo Thomas Geeraerts di Tolosa che giudica però assai complicato utilizzare questa tecnica nel pronto soccorso con pazienti che hanno ferite associate a sanguinamenti in più parti del corpo. La chiave del successo di questa tecnica è senza dubbio l’elevato grado di addestramento della équipe. L’ipotermia presenta comunque dei rischi perché a basse temperature il sangue non coagula e per questo il sanguinamento potrebbe aumentare durante l’induzione dell’ipotermia. E in caso di arresto cardiaco è meglio mantenere la temperatura corporea a 36 gradi piuttosto che a 33°, secondo uno studio recente. Comunque, le possibilità di sopravvivenza dopo un trauma con arresto cardiaco sono meno del 10%. Al momento, non esiste letteratura sulle conseguenze dell’ipotermia indotta e non c’è ancora una comparazione dei risultati ottenuti rispetto ai metodi tradizionali. Uno studio in questo senso sarà condotto proprio dall’ospedale di Pittsburgh che ha fatto sapere di aver adottato questa nuova tecnica. Pubblicizzandola, l’ospedale cerca di conoscere in anticipo il dissenso dei cittadini, in maniera da trovare una soluzione alla questione etica che questa tecnica pone perché cambia, di fatto, il concetto di morte.
Simonetta Scarane, ItaliaOggi 18/6/2014