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 2014  giugno 17 Martedì calendario

LE LETTERE INEDITE A BORRI E MORANTE


Dalle carte di Anna Maria Ortese affiora la lettera inedita a un critico letterario, Giancarlo Borri, che nel 1988 pubblicò per Mursia un «Invito alla lettura» della scrittrice. Pubblichiamo anche un testo disperso dedicato da Ortese, sempre nel 1988, a Elsa Morante e scritto per un evento pubblico a cui infine non prese parte.


RAPALLO, 26.9.1988
«Caro Borri,
mi scuso sinceramente per le mie battute un po’ vivaci (per non dire disperate) di ieri, al telefono. Ma questo peso della pagina di giornale col mio nome e tutte le più libere e ampie deformazioni a vantaggio del «comune lettore» è diventato troppo gravoso, per me.
Le invio la fotocopia dell’intervista su Le Monde. Nell’insieme c’è discrezione e riguardo per i «diritti della persona» ma c’è anche grande approssimazione per quanto riguarda ciò che uno ha fatto di utile, nel mio caso alcuni libri.
Personalmente, non ho nulla che possa interessare un grande pubblico, seppure sono sospetta di amare questo pubblico (perché dovrei?) ...
E allora? Allora si monta un congegno (le interviste pubblicitarie) che celebra il nulla – me. È il mio caso. In più, mi pare di leggere – nelle ultime righe – non so che sentimento compassionevole (molto cristiano, molto femminile) per l’«autore».
Sarà buono ma è ingiusto. Le cose che ho scritto mi hanno compensato abbastanza. Mi piacerebbe un po’ di fortuna, ma la riterrei un caso, e come tale non cosa rispettabile. Mentre Le Monde sembra raccomandarmi all’attenzione e al senso di giustizia («riconoscenza») dei lettori.
Ecco, questi sono pesi che avviliscono la libertà.
Quando nessuno parlava di me, a Rapallo, e io spingevo il carrello della spesa, ero perfettamente felice. Ora – non ho più molto di felicità – sono agli ordini di persone che non conosco, e non mi conoscono (E in più, il tempo passa!).
Di altre cose, di difficoltà, qui, mi scusi se Le ho accennato ieri. Forse, bisogna far finta di nulla;
Mi saluti caramente sua moglie, anche da parte di mia sorella. Buon lavoro! Buone cose, in tutto!»

A. MARIA


«Avrei voluto essere qui con voi, stasera, non solo per me, ma per rendere onore ad Elsa Morante, la cui giovinezza mi pare debba essere presente dovunque in quest’isola.
Ho incontrato Elsa una volta sola, appunto nella sua giovinezza, nella casa poco adorna – così mi parve –, serena, modesta – ma il vento dell’estate entrava dovunque esaltandola – dove lavorava e viveva.
Mi parve imbronciata, distante; e distante lo ero anch’io. Sapevo poco di lei, e lei era, ai miei occhi, come quelle linee oscure di terra che si vedono affiorare dal mare, sotto le nubi più chiare (e presto rosa e verdi), quando si arriva all’alba in vista di un’isola.
Non sapevo che dietro quella fronte ancora tanto liscia e calma abitava il genio, il genio più alto di tutti i tempi italiani della donna. I suoi libri sono i più grandi, tra i libri scritti da una donna italiana in qualsiasi tempo.
Non sono, quasi, neppure libri, malgrado un’arte sovrana, quanto il nudo respiro potente di secoli che credemmo perduti, sempre chiusi alla luce, e che si muovono ora come un’onda sola nelle grotte della memoria, e gridano e cantano e sognano come ieri.
L’ieri scorre – erra – come un sangue azzurro nei libri più belli di Elsa, che sono, per alcuni, Menzogna e sacrilegio, e il libro dell’Isola di Arturo. Belli perché sono i libri della storia del mondo la storia senza date sono la storia del mondo senza date e nome. La storia di un tempo che è stato, a lungo, solo insondabile segreto e cupa desolazione, e che ora emerge dal mare stillando (grondando) luce.
Non dissi una parola, quel giorno, ad Elsa, che la riguardasse esattamente, e s’inchinasse davvero al suo genio. È che non capivo, ero cieca; lo siamo spesso, da giovani, o anche quando ciò che è vero è ancora investito dal sole. Oggi, il sole non investe più quella fronte, ma essa emerge da tutta la bruma italiana di questa fine di un secolo, e rivela la sua inquieta origine stellare.
Rivedo il volto orgoglioso e taciturno della sua giovinezza, di quel giorno di vento d’estate, e di tutti gli altri giorni, della tristezza e la paura che per lei seguirono. E posso dirle: non dispiacerti più. Elsa, di tutte le cose passate.
Ora non danno più male, ora non accadranno più. E resta, per favore, con noi, stasera; fai festa alla tua fanciullezza e alla tua gioventù spaventata. Sei in patria. Tristezza e paura non ci sono più. Molti amici, e anche questo mare, ora ti difendono, ora per sempre ti vegliano e ti amano».
RAPALLO, 8 SETTEMBRE ’88