l’Unità 17/6/2014, 17 giugno 2014
RIPARTE IL PROCESSO RUBY FORZA ITALIA ALLO SBANDO
Il tavolo delle riforme, pur avendo molte gambe, comincia a traballare. L’incontro tra Renzi e Berlusconi è al momento congelato, con l’ex premier sospettoso e poco disponibile a trattare da una netta posizione di debolezza. L’ingresso in campo di Grillo complica lo scenario: «È una mossa intelligente – analizza uno degli sherpa di Forza Italia sulla legge elettorale – Se Renzi è furbo coglierà l’assist e cavalcherà la proposta per indebolire il nostro potere contrattuale».
Ad Arcore, però, al netto del polverone sollevato dal nuovo corso pentastellato, considerano la proposta grillina, a impianto proporzionale, poco più di una provocazione: «Per Renzi è invotabile perché è un sistema che non fa vincere nessuno. La trappola poi è nel modello assembleare, inaccettabile per uno che vuole un governo forte e un premier centrale».
PAURA AD ARCORE
A restringere il cammino delle riforme, però, al punto che nessuno – né il capogruppo al Senato Paolo Romani, né la vice Anna Maria Bernini, né i senatori in ordine sparso – sa dire se davvero il patto del Nazareno terrà o meno, è un’altra variabile. Venerdì comincia a Milano il processo di appello per il caso Ruby. In primo grado, esattamente un anno fa, l’ex Cavaliere è stato condannato a 7 anni per concussione e prostituzione minorile con l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Un anno più di quanto chiesto dall’accusa. Una pena severa che se venisse confermata troncherebbe ogni futuro politico per Berlusconi, facendo impallidire l’interdizione dai pubblici uffici per due anni comminata come pena accessoria alla condanna definitiva per frode fiscale nel processo Mediaset.
La questione, in realtà, è politica più che giuridica. Nel senso che il processo davanti alla Corte d’Appello – che si prevede duri diverse settimane, forse un mese – si concluderà con una sentenza di secondo grado, non definitiva. Per mettere fine a questa storia bisognerà aspettare il sigillo della Corte di Cassazione. Solo allora la sentenza diventerà esecutiva, ed è chiaro che con un simile cumulo di condanne il rischio di pena detentiva – altro che servizi sociali – diventerebbe concreto. «Al momento, invece – spiega un deputato – trasformare i servizi sociali in arresti domiciliari o peggio sarebbe solo una misura cautelare. Ma dato che Silvio non ha più il passaporto, è difficile che i magistrati sentano il bisogno di applicarla».
Di prigione, insomma, dalle parti di San Lorenzo in Lucina si parla soprattutto per esorcizzarla. Con un certo ottimismo. Berlusconi però è preoccupato. Come sempre quando c’è di mezzo la sua «agibilità» politica e personale. Immediate o meno che siano, nuvole nere minacciano il suo futuro di uomo libero. Da padre costituente, ex partecipante ad un governo di larghe intese a imputato per crimini infamanti il passo gli sembra brevissimo. E ingiusto. Tale da togliergli il sonno e anche la voglia di sedersi al tavolo del nuovo assetto istituzionale dell’Italia. E dunque, tutto in stand-by. Con Renzi deciso ad andare avanti come un panzer. Per chiudere sull’Italicum prima dell’estate e portare a casa la prima lettura dell’abolizione di Palazzo Madama. E Forza Italia convinta, sottovoce, che finirà per accettare il Senato non elettivo con le correzioni offerte dal premier, dalla platea con meno sindaci all’eliminazione dei senatori di nomina quirinalizia. Ma sui poteri e sulle competenze Renzi non recede: niente leggi né bilancio dello Stato, fine del bicameralismo perfetto.
L’IRA DELLA ZARINA
Intanto, prosegue intatta la querelle nel partito tra cerchio magico e seguaci di Raffaele Fitto. Maria Rosaria Rossi, in un’intervista al «Corriere», nega di essere la «zarina» del partito e attacca il neo eurodeputato pugliese: «È lui il peggior nemico di se stesso, è un professionista della politica che si oppone al rinnovo della classe dirigente». Da parte sua. Fitto continua il suo tour al Sud che lo ha consacrato recordman di preferenze, aiutato dai suoi (Romano, Galati, Santelli, Capezzone, Polverini, Carfagna).
Berlusconi lascia fare. È convinto che il silenzio e la mancanza di reazioni toglieranno al «carrierista» la visibilità e l’aura di “ribelle”. Per il momento pensa alla conferenza stampa con cui lancerà, mercoledì a Montecitorio, il semipresidenzialismo e l’elezione diretta del capo dello Stato come ingrediente delle riforme. Per tornare in partita, per togliere la scena (almeno un pizzico) a Renzi e Grillo, per rinvivire la sua base ancora sotto choc dopo il voto. «Il presidente avrà bisogno di un partito compatto al suo fianco» sospira una fedelissima.
Fatto sta che la linea dura di Fitto dopo le Europee se paga in termini di consenso elettorale gli ha alienato parecchie simpatie all’interno del partito. Dove anche chi lo stima si chiede quale sia «il punto di ricaduta». Ma cosa voglia l’ex governatore della Puglia, che finora ha rifiutato incarichi e offerte, lo sa soltanto lui. E la guerra fredda va avanti: primarie versus congressi, nomenklatura contro nuovi volti, cerchio magico contro ala meridionalista.