Marco Imarisio, Corriere della Sera 18/6/2014, 18 giugno 2014
IL MURATORE INTORNO ALLA CASA DELLA RAGAZZINA. «ERA SEMPRE QUI» IL CENTRO ESTETICO: «DUE LAMPADE ALLA SETTIMANA» LA SUA AUTO VISTA SPESSO SUL RETRO DELLA PALESTRA
DAL NOSTRO INVIATO BREMBATE DI SOPRA (Bergamo) — A cerchi concentrici, cercando di costruire una storia che ancora manca. Il punto di partenza non può essere che questo, la villetta incassata in una piccola ansa di via Rampinelli, la casa dove Yara doveva tornare quella sera e dove anche oggi, quasi incuranti della ressa davanti al cancello, si intravedono le sue sorelle che parlano al pianterreno. Il clientone non si fa più vedere da quasi tre anni. Francesca, la proprietaria del centro estetico Oltremare, lo ricorda con un accrescitivo giustificato dalle sue visite. «Almeno due volte alla settimana» dice, «sempre per una doccia di 15 minuti», che sarebbe una lampada integrale, viso e corpo. Veniva anche in tenuta da lavoro, il casco legato ai pantaloni di tela grigia. Massimo Giuseppe Bossetti parlava poco e si abbronzava molto. Ma segni particolari e dettagli ripescati dalla memoria su un uomo che fino a lunedì sera era uno sconosciuto non contano. A essere importanti sono i luoghi, come la vecchia sede del centro estetico, che fino all’anno scorso stava in via Dolgotti, la strada vicina a quella dell’abitazione dei Gambirasio.
Anche al Loto cafè se lo ricordano, quel muratore «dagli occhi spiritati», che forse solo oggi appaiono tali agli avventori di lunga data. Quelli che ironizzano sulla virtù della madre dei Bossetti, finti ricordi che in realtà sono letture del giornale lasciato sul tavolo di formica. L’unica certezza è che la ragazza al banco gli serviva il caffè e ha conservato l’impressione di una persona riservata che negli ultimi tempi si faceva vedere di rado. Il bar è dove via Sorte incrocia via Rampinelli. Dall’altra parte c’è il Carrefour, istituzione del quartiere residenziale di Brembate, solo supermercato della zona. «Era nostro cliente, non siete i primi che vengono a chiedere. L’hanno fatto anche i carabinieri». Il direttore è un uomo gentile ma con la mano sinistra copre la targhetta col nome che porta sul taschino della giacca. «Alcune commesse mi hanno riferito che ogni tanto faceva la spesa per la famiglia, ma da due anni non veniva più».
La strada che Yara avrebbe dovuto percorrere la sera del 26 novembre 2010 non è lunga, poche centinaia di metri. La Città dello sport dista un isolato da casa sua, quasi una marcia a ritroso uscendo dal retro e costeggiando l’inizio della zona industriale. Davanti all’ingresso principale, sulla strada che va alla statale per Bergamo, c’è il distributore Shell. Simone, il titolare, ci parlava spesso. «Un tipo normale». Faceva benzina, faceva due parole, non aveva fretta. «Fino a 2-3 anni fa. Poi ha smesso di venire». Allora non resta che entrare, in questo centro sportivo che sembra una cattedrale presidiata da mamme che dalle vetrate del bar in alto guardano i loro bambini a bagno in piscina e sorvegliano il cortile. I gestori del bar sono cambiati, come le mamme, perché i bimbi crescono. Questo è il posto dove tutto è cominciato, il più importante nella geografia di questa storia atroce, il più vicino a Yara. E l’unico dove non esiste memoria del passaggio di Massimo Giuseppe Bossetti. Non risulta la sua presenza, le prime verifiche hanno escluso che le sue figlie frequentassero la Città dello sport. Eppure qui lo vedevano spesso. È un dato di fatto, non un’ulteriore accusa. La sua casa è distante 7 chilometri. In mezzo ci sono tre centri estetici, decine di bar, supermercati. La casa del fratello Davide è dalla parte opposta di Brembate.
Mauro Locatelli, titolare del negozio di foto, si è svegliato pensando che quel volto sul giornale non gli era nuovo. Quando è arrivato in negozio la sua collaboratrice gli ha raccontato dell’ultima volta che l’aveva visto. Cinque-sei mesi fa, si era fatto fare delle fototessere. Era già venuto altre volte a sviluppare rullini, qualcosa che riguardava una festa di famiglia. Un cliente, non un clientone. Eppure la foto che più lo ha incuriosito è un’altra, rimbalzata sul suo profilo Facebook da un amico che l’aveva presa da quello di Bossetti. Era lo scatto della sua Volvo, sequestrata lunedì dai carabinieri. All’auto era agganciato un carrello per il trasporto di alianti chiusi. «Ho riconosciuto il posto. Per non fare la principale spesso vengo su da dietro la palestra. La foto è fatta lì, si vedono le strisce del parcheggio». Locatelli dice di aver visto quell’auto altre volte nello stesso posto. Con e senza carrello. Ci andiamo. Passa un signore in motorino. «La vedevo spesso la macchina. Era sempre ferma qui». Un altro. «Sì, l’hanno riconosciuta anche i miei figli». Su quella strada, si chiama via don Giovanni Sala, si aprono le uscite secondarie della palestra dove Yara è stata vista per l’ultima volta. A pochi passi dalla casa dove i suoi genitori la stavano aspettando.