Ferdinando Camon, La Stampa 17/6/2014, 17 giugno 2014
IL DRAMMA DI UNA MAMMA CHE SAPEVA
Rieccola finalmente Yara, salta fuori dai giornali e dai siti, sempre in quella posizione della «spaccata», che le riesce così bene: porta ai denti l’apparecchio e lo mostra con disinvoltura, ormai s’è abituata, ce l’ha da un po’ di tempo. Ci guarda serena. Infinite volte abbiamo visto quella foto.
Ma fino a ieri la sbirciavamo di sfuggita, con un senso di colpa, e le chiedevamo scusa: «Facciamo quel che possiamo, ma non riusciamo proprio a trovarlo, chissà dov’è, sarà morto anche lui». Adesso la rivediamo, la sua foto balza fuori da tutti i siti, e noi restiamo a fissarla per il tempo di un breve dialogo: «Hai visto? Sei contenta?». Che stupida domanda. Lei voleva ciò a cui aveva diritto, povera ragazza: vivere. Ma è l’ebbrezza del momento, straparliamo tutti, il sindaco del paese ha perfino esclamato: «Sono felice», come se ci fosse un senso, oggi, a parlare di felicità. Ma Yara era un lutto per tutti noi, prendere chi l’aveva uccisa era un desiderio perenne in tutti noi, finché non l’avessimo preso non saremmo stati in pace, chi ha ucciso lei ha colpito una parte della nostra famiglia, ci ha fatto del male «personalmente». Io ho saputo che han trovato l’assassino (diciamo meglio: l’uomo che corrisponde al Dna dell’assassino) praticamente in tempo reale, mentre il ministro dell’Interno lo comunicava a chi di dovere. L’ho detto a due-tre amici. Questi ad altri amici. Si è messa in moto una tempesta di chiamate. Tutti vogliono sapere tutto, o il più possibile. L’han trovato? E chi è? Di dov’è? Poi, sottili aggiunte, che la dicono lunga su come gli italiani s’immaginano questi «assassini d’innocenti», vengono le domande che completano l’identikit: ha una madre? È sposato? Ha figli? Chi fa queste tre domande, s’aspetta tre risposte negative, perché uno che fa una porcheria del genere non può sapere cos’è una madre, l’ha perduta o non l’ha mai conosciuta; è un nemico della vita perché la vita gli è stata nemica. Non può avere moglie e figli, perché se ha figli sa che perdere un figlio è più tremendo che morire, i figli sono le catene che ti bloccano nella vita e forse ti impediscono di fare le cose gloriose, ma anche e soprattutto le vituperose: avere figli e tendere alla normale moralità vanno insieme. E invece in questo caso non va così. Se l’assassino è questo, egli ha madre, ha moglie ed ha figli. Sono arrivati a fermarlo costruendo un identikit, diciamo così, biologico. Una volta cercavano l’assassino costruendo il suo identikit psicologico. Come dev’essere, psichicamente, l’assassino? Un maniaco? Un represso? Senza donne, senza figli, solo o con la madre vecchia? Consultavano psichiatri, psicanalisti, scrittori. Siamo sinceri: non indovinavamo mai. Non avremmo indovinato neanche stavolta. Pensavamo che non vivesse in zona: troppo pericoloso. Che non sapesse cos’è un figlio, una figlia, di quell’età poi, tredici anni: se ne fa scempio, è perché non sa che cosa distrugge. Qualcuno di noi pensava (mi ci metto in mezzo) che si potesse far leva sulla madre: signora, lei lo sa di aver avuto quel figlio da quel padre, sa che quel figlio ha ucciso una bambina, lo denunci per il suo (di lei) e il suo (di lui) e nostro (di noi tutti) bene. Ridia un senso alla vita di suo figlio. Non sapevamo se la madre serbasse del rancore verso il padre, ma ora scopriamo che ha dato al figlio il nome del padre, Giuseppe: li legava tra loro, uno all’altro, e non con noi. Non le interessava la giustizia di Yara, ma solo la salvezza del figlio. Se le ricerche sono fondate, ci sarà invece la giustizia per Yara, e (mi ripeto) anche la salvezza del figlio, nella forma della redenzione. L’unica salvezza possibile. Yara, è poco, è tardi, ma di più non potevamo fare.
(fercamon@alice.it)
Ferdinando Camon, La Stampa 17/6/2014