Kenneth Rogoff, Il Sole 24 Ore 16/6/2014, 16 giugno 2014
UN CLIC AIUTA LA POLITICA MONETARIA
Da un po’ di tempo aleggia il timore che i banchieri centrali abbiano "finito le munizioni". Dopo aver abbassato i tassi ufficiali quasi a zero, hanno intrapreso misure sempre più azzardate come il quantitative easing, l’allentamento monetario, o la forward guidance (l’indicazione, da parte di una Banca centrale, di come saranno modificati i tassi d’interesse). Con l’incertezza che è calata sull’attività economica a causa della crisi, è difficile dare una valutazione definitiva su quanto bene o male abbiano funzionato quelle misure, ma è evidente che debba esserci un modo migliore.
Non c’è più ragione di lasciare che il limite zero sui tassi nominali continui a ostacolare la politica monetaria. Una soluzione semplice ed elegante sarebbe quella di introdurre gradualmente una moneta completamente elettronica, dove per pagare gli interessi, positivi o negativi, basta un clic. E con la cartamoneta - in particolare le banconote di grosso taglio -, che si può dire faccia più male che bene, un cambiamento ci vorrebbe proprio. Con una moneta elettronica le Banche centrali potrebbero continuare a stabilizzare l’inflazione esattamente come fanno ora (il chief economist di Citigroup, Willem Buiter, ha suggerito diversi modi per ovviare ai limiti della cartamoneta, ma eliminarla sarebbe senz’altro la via più facile).
Una seconda idea meno elegante è fare in modo che le Banche centrali alzino semplicemente i loro target di inflazione dall’attuale 2% a un maggiore, ma pur sempre moderato, 4 per cento. L’idea di portare definitivamente i target inflattivi al 4% è stata proposta per la prima volta in un interessante e perspicace rapporto curato, fra gli altri, dal chief economist del Fondo monetario internazionale, Olivier Blanchard, e avallato da numerosi accademici, fra i quali ultimamente anche Paul Krugman. Peccato che una transizione ben fatta e convincente verso il nuovo target possa rappresentare un problema insormontabile.
La prima volta che Blanchard parlò della sua idea ne fui incuriosito, ma rimasi scettico. Intendiamoci, due anni fa, all’inizio della crisi finanziaria, io stesso proposi di portare l’inflazione al 4% o più, per qualche anno, in modo da arginare l’indebitamento e accelerare l’adeguamento salariale. Ma c’è una differenza abissale tra un aumento temporaneo dell’inflazione per far fronte a una crisi e uno stravolgimento delle aspettative a lungo termine.
Se, dopo aver detto per vent’anni che l’inflazione al 2% era l’ideale, i banchieri centrali dichiarassero di aver cambiato idea, e non di poco ma del tutto, provocherebbero lo sconcerto generale. Pensate solo ai taper tantrums del mercato - ovvero i "capricci da tapering" - di maggio 2013, quando l’allora presidente della Fed, Ben Bernanke, annunciò una virata molto più modesta della politica monetaria. La gente potrebbe benissimo chiedersi perché: se i banchieri centrali possono cambiare il loro target a lungo termine dal 2 al 4%, un bel giorno potrebbero anche decidere di portarlo al 5 o al 6 per cento. E davanti alla probabile reazione di disorientamento e diffidenza dell’opinione pubblica, è difficile trovare una logica razionale che giustifichi un target del 4 per cento. L’attuale 2% almeno ha un senso, perché i banchieri centrali possono venderlo come l’equivalente morale di zero (la maggior parte degli esperti ritiene che un indice dei prezzi realmente basato sul welfare rivelerebbe un’inflazione molto minore di quella indicata dalle statistiche fornite dal governo, perché i dati ufficiali non riescono a cogliere i vantaggi del flusso costante di nuovi beni nell’economia).
C’è un’analogia con i problemi del primo dopoguerra, quando i Paesi cercarono di ristabilire il sistema aureo, il cosiddetto Gold Standard. Prima della guerra, il denaro era garantito dall’oro e poteva essere riscattato a un tasso fisso. Pur essendo un sistema molto vulnerabile alle corse agli sportelli e con poco spazio per una politica di stabilità monetaria, grazie alla fiducia della gente riuscì a tener fede alle aspettative. Purtroppo il sistema crollò con lo scoppio della guerra nell’agosto 1914. I combattenti che avevano un bisogno impellente di entrate, furono costretti a una finanza inflattiva, non potevano svalutare la moneta e contemporaneamente garantirla con l’oro a un tasso fisso. Dopo la guerra, quando le cose si assestarono, i governi cercarono di tornare al sistema aureo, che in parte rappresentava anche un ritorno alla normalità, ma il Gold Standard ripristinato fra le due guerre finì per cedere, fondamentalmente perché era impossibile ristabilire la fiducia della gente. Se le Banche centrali passano a un target del 4% c’è il rischio che si scateni la stessa dinamica.
Per fortuna esiste un’alternativa di gran lunga migliore: la valuta digitale non richiederebbe uno stravolgimento destabilizzante del target inflattivo. I problemi tecnici minori potrebbero essere eliminati, per esempio il cittadino comune potrebbe avere la possibilità di concludere transazioni a interessi zero (fino a un certo limite). Probabilmente gli interessi nominali diventerebbero negativi solo in caso di una profonda crisi deflattiva.
Ma se ciò dovesse accadere, le Banche centrali potrebbero uscirne fuori molto più in fretta di quanto non possano fare oggi. E, come ho già detto (http://scholar.harvard.edu/rogoff/publications/costs-and-benefits-phasing-out-paper-currency), per molto tempo i governi sono stati miopi a stampare banconote di grosso taglio che vengono usate soprattutto dall’economia sotterranea o per finanziare attività illecite. L’adozione di un nuovo sistema valutario faciliterebbe così il passaggio verso un nuovo regime bancario.
(Traduzione di Francesca Novajra)
© Project Syndicate, 2014
Kenneth Rogoff, Il Sole 24 Ore 16/6/2014