Alessandro Madron, Il Fatto Quotidiano 16/6/2014, 16 giugno 2014
“IO UMANA PER PAGARE L’AFFITTO”
Non sto qui a dire perché, ma ne ho bisogno urgente, mi servono i siti dove posso trovare le offerte per cavie, no moralisti grazie”. Questo è solo uno dei tanti messaggi postati in rete da persone che, in cambio di denaro, sono disposte a sottoporsi a sperimentazione farmaceutica. Cavie umane, insomma. Persone spinte dal bisogno o attratte dai guadagni facili che scelgono di candidarsi. Bastano pochi clic per capire come fare. Un computer e una connessione: “Come diventare volontario sano”. Le possibilità ci sono. Non solo in Svizzera (Canton Ticino) ma anche in Italia. Si scopre presto che i centri che effettuano ricerche su volontari sani sono un po’ ovunque. Verona, Milano, Pavia, Cagliari, ma non solo. Si compila un modulo fornendo informazioni su abitudini alimentari, malattie pregresse, allergie, farmaci assunti. Si forniscono i dati, compreso il contatto del proprio medico curante, e il gioco è fatto. “Chiaramente – ci racconta Gianluca, ex cavia in Svizzera - non basta compilare un’informativa in maniera dettagliata, occorre sottoporsi a una visita accurata, la selezione è seria, se non sei sano non ti prendono, quando lo racconto qualcuno lo trova inconcepibile, ma sempre più spesso mi chiedono i contatti”.
L’ISTITUTO DI SANITÀ COPERTO DI RICHIESTE
Che il tema sia più che mai attuale lo dimostra anche un “avviso urgente” pubblicato lo scorso 6 febbraio sul sito dell’Istituto Superiore di Sanità: “Facendo seguito a ripetute richieste di informazioni relative all’arruolamento di volontari sani per sperimentazioni cliniche, si precisa che l’Istituto Superiore di Sanità non conduce sperimentazioni cliniche e pertanto non arruola volontari per le stesse”. Insomma, la spinta verso questo tipo di attività è così forte da indurre gli aspiranti volontari a cercare informazioni direttamente all’Iss, anche per candidarsi. Difficile ricostruire con precisione l’entità del popolo delle cavie in Italia (secondo CMR International 2013 Thonson Reuters siamo il ventitreesimo paese al mondo con meno di 5 mila soggetti arruolati in sperimentazione, ma non esistono dati disaggregati che distinguano cavie sane e malati). Il fenomeno trova però conferme che vanno oltre i messaggi postati nei forum online. Ad esempio all’associazione Difesa consumatori raccontano come ogni settimana decine di persone chiedano informazioni ai loro centralini su come diventare volontari sani.
Se è pacifico che ai centri di ricerca servano volontari (le norme internazionali lo impongono), lo è meno l’idea che siano in molti, sempre di più, a guardare con interesse alla possibilità di prestare il proprio corpo alla sperimentazione. Non per amore della ricerca, si intende, ma con la speranza di racimolare qualche euro in un periodo in cui i soldi sono un miraggio. Poche centinaia di euro a titolo di “rimborso spese” possono fare gola a chi si trova in condizioni di bisogno, anche solo per arrotondare stipendi che non bastano più.
“Mai avuto problemi di salute – racconta Francesco, 28 anni, quattro vissuti da cavia e sette test all’attivo - Sono soldi facili, con una settimana mi pago due mesi di affitto, lo faccio una o due volte l’anno e continuerò finché mi chiameranno o finché non interferirà con la mia vita lavorativa”. Una settimana in clinica può valere 1200 euro, circa 200 euro al giorno, questo lo standard europeo dei rimborsi riconosciuti ai volontari come risarcimento per il tempo trascorso in clinica: “Dimmi un lavoro che ti fa guadagnare così tanto senza fare nulla!”.
In Italia si effettua oltre il 16% delle sperimentazioni di tutta Europa (XII rapporto sperimentazione clinica Aifa) e i dati raccontano di un progressivo spostamento della ricerca verso le fasi precoci. Nel nostro paese le sperimentazioni di Fase I (quelle che richiedono il reclutamento volontari sani) nel 2007 erano solo il 2,9% del totale, nel 2011 la percentuale era salita al 6,8. Tuttavia i posti disponibili per le aspiranti cavie sono in numero limitato: “Non esiste una banca dati puntuale che raccolga i volontari sani in Italia – ha spiegato la dottoressa Patrizia Popoli dell’Istituto Superiore di Sanità -, si tratta di poche decine di soggetti all’anno, dai 10 ai 20 per ogni studio”. Nel 2012 in Italia sono stati effettuati 41 studi di Fase I: “Va però precisato – continua Patrizia Popoli – che ci sono studi di Fase I che non si avvalgono di soggetti sani, ad esempio per gli antitumorali e per tutti i principi attivi con un elevato profilo di tossicità ci si rivolge a soggetti con una patologia specifica in atto già nelle prime fasi di sperimentazione”.
ORA TOCCA A CINA E INDIA
Il Bengodi delle cavie italiane, soprattutto nei territori di confine, è sempre stata la vicina Svizzera. Negli anni passati si era arrivati a toccare la quota dei mille volontari sani all’anno a disposizione dei tre centri un tempo operativi in Canton Ticino (oggi ne sopravvive uno solo). “Nel 2013 i volontari sani che hanno partecipato a studi clinici con medicamenti in Ticino sono stati 403 (85% gli italiani)” ha spiegato il farmacista cantonale Giovan Maria Zanini, un numero in netto calo rispetto al passato: “L’offerta di studi è diminuita. Anche l’industria farmaceutica risente della crisi e ha meno farmaci da sviluppare. È possibile che il numero di persone interessate a mettersi a disposizione oggi sia maggiore, ma qui la domanda non ha proprio nessun influsso sull’offerta”. Una valutazione che forse vale nel ristretto mercato elvetico, ma i dati e le stime sugli investimenti globali delle industrie farmaceutiche indicano invece un trend in costante aumento. Gli investimenti mondiali ammontavano a 88 miliardi di dollari nel 2004 e sono arrivati a 136 nel 2013. Per il 2018 sono stimati in 149 miliardi (dati EvaluatePharma 2013).
L’indicatore dell’attrattività della sperimentazione nei vari paesi (A.T.Kearney Clinical Trial Attractiveness Index) racconta della crescita di nuove realtà come la Cina o l’India, che stanno rosicchiando posizioni su posizioni al colosso americano, facendo perdere terreno anche ad altri storici protagonisti dell’industria farmaceutica (come Germania, Inghilterra o Francia) in una classifica che non contempla il nostro paese entro le prime trenta posizioni mondiali. Quindi in Italia il mercato delle cavie non decolla perché il paese non è sufficientemente attrattivo per la sperimentazione. Troppo complesse le procedure burocratiche, troppo alti i costi, così gli investimenti restano relativamente bassi. L’esercito delle aspiranti cavie deve quindi mettersi l’anima in pace: il contesto non gioca a loro favore e il futuro della sperimentazione sarà sempre più lontano dal vecchio continente.
Alessandro Madron, Il Fatto Quotidiano 16/6/2014