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 2014  giugno 17 Martedì calendario

E DOPO «CAROSELLO» TUTTI DI CORSA A LETTO


Erano gli anni dei «Poveri ma belli». Gli spettatori, forse un po’ stanchi delle crude realtà messe in mostra dal neorealismo, si rifugiavano nei sogni. E Dino Risi, con una storia leggera destinata ad aprire la strada al filone della «commedia all’italiana», sbancava i botteghini. La gente faceva la fila davanti ai cinema per godersi le avventure acqua e sapone dei nuovi fusti all’amatriciana, Renato Salvatori e Maurizio Arena, moderne incarnazioni del maschio latino, alle prese con l’avvenente Marisa Allasio, tutte curve e mossettine.
Erano anche gli anni del boom della canzonetta. «Canta Napoli» era lo slogan inventato da uno scatenato Gegé di Giacomo, ma non era la Napoli delle nuove famiglie e delle nuove camorre che verranno dopo: era la Napoli di Renato Carosone che con il suo quartetto conquistava l’Italia, stanca di colombe che volano e di barche che tornano sole. Cantava «Maruzzella» e parlava di una ragazza che aveva «miso dint’all’uocchie ’o mare» e la dedicava ad Ava Gardner, la stupenda star americana che si era innamorata dell’Italia come l’Italia si era innamorata di lei. Nasceva quello sfrenato desiderio di mondanità che dal titolo del film di Federico Fellini prese il nome di «dolce vita». Erano i giorni dei grandi amori che si infiammavano sui set cinematografici e nelle bollenti notte romane. Liz Taylor e Richard Burton, a Roma per girare «Cleopatra», venivano presi d’assalto ad ogni ora da quelli che, da allora in poi, saranno chiamati «paparazzi». Nessuno sfuggiva al lampo dei loro flashes, soprattutto a quelli dello scatenato Rino Barillari, allora fotoreporter del nostro giornale, il quale ogni giorno consegnava in redazione uno scoop. Al suo obiettivo non era sfuggito l’amore - lampo tra Ava Gardner e l’intraprendente Walter Chiari, sorpresi di notte all’uscita dell’Excelsior di via Veneto. Ci scappò pure una scazzottata tra il nostro Rino e Walter Chiari che pretendeva di strappargli la macchina fotografica, ma alla fine il «king» dei paparazzi, sia pure con un occhio livido, riuscì a portare al giornale il suo trofeo. Roma divenne presto la «Hollywood sul Tevere»; accadeva di tutto, giovani e avvenenti turiste si immergevano di notte nella Fontana di Trevi per farsi fotografare nelle pose di Anita Ekberg; nei locali di Trastevere i rampolli della società capitolina stendevano le loro giacche per terra, a mo’ di tappeto, per assistere allo spogliarello di una ballerina turca, una certa Aiché Nanà.
Mentre la grande cultura scopriva Spoleto e il suo Festival dei due Mondi, mentre a teatro si «moriva d’amore» con la commedia di Peppino Patroni Griffi e mentre alla Mostra del cinema di Venezia Roberto Rossellini e Mario Monicelli si dividevano il Leone d’oro con «Il generale Della Rovere» e «La grande guerra», a Roma improvvisati caffè letterati nascevano sul calar della sera intorno ai tavoli all’aperto sui marciapiedi di via Veneto. Lì si radunavano scrittori, poeti, giornalisti, pittori per scambiarsi fino a tardi idee ed esperienze, dando vita, inconsapevolmente, a quello che Alberto Moravia ( di cui era uscito proprio in quel tempo uno dei suoi romanzi più famosi, «La noia») chiamava, a mò di sfottò, il «teatrino delle chiacchiere». C’erano Guido Piovene, Alberto Arbasino, Diego Calcagno, i coniugi Alberti, quelli dello «Strega», Elsa De Giorgi, Luchino Visconti, Elsa Morante, un giovanissimo Alberto Bevilacqua, Flora Antonioni, gli sceneggiatori Age e Scarpelli, Alberto Lattuada, Laura Betti, Romolo Valli e tanti altri ancora. Le loro conversazioni duravano fin quasi all’alba. A tarda notte arrivava anche Vincenzo Cardarelli con il suo cappotto blu che non si toglieva neanche a ferragosto. A vederli da lontano sembravano quei «quattro amici al bar che volevano cambiare il mondo» come dirà più tardi Gino Paoli in una delle sue canzoni più ispirate.
Anche il mondo dello sport riempiva, in quel periodo, le prime pagine dei giornali con notizie non sempre liete. Accanto alle strepitose vittorie nelle Olimpiadi di Roma di Livio Berruti nei duecento metri e di Nino Benvenuti nei pesi medi di boxe, i giornali pubblicavano con grande evidenza in prima pagina la morte di Fausto Coppi. (...).
La televisione, introdotta da qualche anno, era ormai diventata la compagna e la gioia degli italiani. Le «signorine Buonasera», sempre più popolari, erano entrate a far parte dell’immaginario collettivo; affascinavano con la loro aria di brave figliole, di bell’aspetto ma non troppo vistose: Marisa Borroni, Fulvia Colombo, Nives Zegna. L’inventore dei quiz, Mike Bongiorno, continuava a sfornare puntate di «Lascia o raddoppia?» facendo la popolarità di numerosi personaggi di provincia come il filosofo della moda, Gianluigi Marianini, o come la tabaccaia di Casale, Maria Luisa Garoppo. Una sera di febbraio incominciò la pubblicità televisiva e fu subito «Carosello»: nella cornice di un teatrino si raccontavano alcune storie - lampo seguite ciascuna da un brevissimo messaggio pubblicitario.«Carosello» contava ogni sera almeno venti milioni di spettatori. Andrà avanti per vent’anni. Gli slogan dei messaggi entravano nel lessico degli italiani («Con quella bocca..» «Anch’io ho commesso un errore..», «Contro il logorio della vita moderna..» ). E, per i bambini «dopo Carosello, tutti a letto». Magari a sognare Calimero, il tenerissimo pulcino nero. Erano anche gli anni del «Musichiere», un gioco musicale importato dagli Stati uniti da Garinei e Giovannini e subito diventato un successo, grazie anche alla simpatia romanesca di Mario Riva. Ma in tanto splendore calava anche la censura televisiva. Alla seducente ballerina sudamericana Abbe Lane, che si presentava in un suo varietà con il marito musicista Xavier Cugat, veniva proibito di mostrare attraverso lo spacco del vestito, le sue gambe mozzafiato. La danzatrice Alba Arnova doveva astenersi dal fare la «mossa». Il film «L’amante del gangster» veniva ribattezzato «La donna del gangster» perché la parola amante poteva turbare le coscienze degli spettatori. Le lunghe calzamaglie nere non impedivano, tuttavia, agli italiani incollati davanti al video, di immaginare la morbidezza e la flessuosità delle lunghe gambe delle gemelle Kessler mentre si esibivano nel famoso Da-da Umpa in «Studio Uno», lo spettacolo del sabato sera ideato e realizzato da Antonello Falqui, figlio del famoso Enrico, critico letterario del nostro giornale(...).
Il caso letterario dell’anno era «Il dottor Zivago», capolavoro del grande poeta russo Boris Pasternack che viveva a Mosca in un’atmosfera di dissenso. L’editore Giangiacomo Feltrinelli, quello che anni più tardi fu trovato morto sotto un traliccio a Segrate, era riuscito a portare di nascosto il libro in Occidente e a pubblicarlo. Divenne l’avvenimento culturale della stagione e fece anche le fortune della casa editrice, fortune consolidate, qualche anno più tardi, da un altro grosso colpo, «Il Gattopardo» di Tomasi di Lampedusa. Erano gli anni che avevano portato l’Italia alla carica delle «600». Negli stabilimenti della Fiat di Torino nasceva un’utilitaria di concezione avveniristica per quei tempo, pudicamente battezzata «Nuova cinquecento». E con essa nascevano anche i week end. Addio pomeriggi in casa, addio file davanti ai cinema. La nuova auto trasferiva gli italiani al mare, nelle campagne. Nei loro sogni già si profilava il desiderio della seconda casa. L’Imu e la Tasi erano ancora sigle da scoprire.
Emidio Jattarelli